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Ballottaggio in Turchia, non solo voti e alleanze. Il gas è il convitato di pietra

A sorpresa il presidente uscente incassa l’appoggio di Sinan Oğan che al primo turno ha preso il 5%, sbarrando la strada a possibili rimonte di Kılıçdaroğlu. Resta la primizia di un’elezione dove i giochi sono stati aperti fino alla fine, con l’inflazione stabile al 44% e dove la grande partita geopolitica del gas nel Mediterraneo orientale avrà un ruolo primario

27mila preferenze contro 24.500. Pur essendo stata risicata la differenza di voti nel primo turno elettorale fra Recep Tayyip Erdogan e Kemal Kılıçdaroğlu ecco che, alla vigilia del ballottaggio di domenica 28 maggio, come in una partita a scacchi, il presidente uscente trova la mossa (potenzialmente) vincente, anche se inaspettata.

Sinan Oğan ha improvvisamente annunciato il suo appoggio al leader che da 20 anni amministra la Turchia, per cui il suo 5% promette di far spostare l’ago della bilancia in favore di Erdogan. Non è detto che, automaticamente, anche tutti i sostenitori di Oğan sposino la causa di Erdogan, ma è altamente probabile che il terzo classificato sarà ago della bilancia in un Paese dove restano intatte le emergenze dell’ultimo biennio: crisi economica e inflazione.

Quadro finanziario

La crescita economica che ha caratterizzato i mandati di Erdogan si è fermata nel 2018, quando ha preso avvio la caduta della lira turca: è quello uno dei momenti, assieme alle proteste di Gezi Park represse con il sangue dal governo, che hanno fondato i movimenti anti erdoganiani, manifestatisi in tutta la loro interezza in occasione del golpe del 2016, a cui ha fatto seguito una serie di arresti di massa tra politici, militari e giornalisti.

Negli ultimi cinque anni la lira turca ha perso qualcosa come l’80% del suo valore rispetto al dollaro, situazione a cui va sommata l’inflazione e il costo del tragico terremoto del febbraio scorso, quantificato in nove punti percentuali di Pil, circa 100 miliardi di dollari. Un quadro economico che somiglia, per i danni arrecati, al biennio pandemico. La reazione di Ankara è stata duplice: da un lato ha aumentato il salario minimo e ha distribuito una serie di bonus, dall’altro ha “accettato” il soccorso finanziario dell’Arabia Saudita, che ha iniettato circa 7,6 miliardi di dollari all’inizio di maggio. In questo modo la banca centrale turca ha potuto tirare una boccata di ossigeno, favorita anche da una serie di accordi con Qatar e Russia. Denari che andranno restituiti, forse, anche con la moneta della geopolitica e delle relazioni internazionali che abbracciano altri players.

Quadro (geo)politico

Il primo dossier che il nuovo presidente dovrà affrontare risponde al nome di gas, prima ancora di grano o guerra in Ucraina. Il perché si ritrova alla voce geopolitica, dal momento che le decisioni prese nel corso del 2023 sul dossier energetico, proprio per la visione ampia che offrono indirizzi come le infrastrutture energetiche, saranno determinanti per le sorti economiche dei Paesi coinvolti. Come ribadito giorni fa dall’ad di Eni, Claudio Descalzi, l’eventuale progetto del gasdotto EastMed non potrebbe essere realizzato senza un accordo con la Turchia: accordo che, allo stato dei fatti, è difficile, considerate le tensioni e le rivendicazioni con Grecia e Cipro.

Ankara sul punto ha siglato un accordo per la zona economica esclusiva con la Libia, che però taglia verticalmente Creta, isola greca dell’Egeo e quindi stato membro Ue, sollevando le proteste in seno all’Onu di Atene.

Di contro Nicosia, al fine di accelerare una decisione relativa allo sfruttamento dei copiosi giacimenti presenti nel Mediterraneo orientale, ha deciso di costruire un primo gasdotto con Israele. Una mossa che può essere letta sotto due punti di vista: sia come stimolo affinché, dopo il segmento israelocipriota, possa essercene un altro con la Grecia e, di conseguenza, aprire la strada all’EastMed; sia come punto di partenza per avviare finalmente lo sfruttamento, se non dovesse materializzarsi una forma di accordo con la Turchia.


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