L’inflazione è il nemico pubblico numero uno della crescita, Francoforte ha semplicemente dato seguito al suo mandato. Con ogni probabilità i tassi si fermeranno al 4%. Giusto prevedere piani di rientro per il debito su misura. Meloni? Un fisco più amico aprirà la strada alla riduzione delle tasse. Intervista a Lorenzo Codogno, economista della London School of Economics
La Banca centrale europea ha deciso, la scorsa settimana, di mettere mano nuovamente ai tassi, portando il costo del denaro a ridosso del 4%. Con tutti i risvolti negativi del caso su mutui e finanziamenti. Poco male, spiega a Formiche.net Lorenzo Codogno, professore alla London School of Economics, fondatore della società di consulenza LC Macro Advisors ed ex capo-economista al ministero dell’Economia. Perché in fin dei conti Francoforte ha fatto quello che doveva. Ma se può essere di consolazione, il giro di boa è vicino.
La Banca centrale europea ha alzato ancora una volta i tassi, aumentando forse il livello di insofferenza verso una politica monetaria giudicata talvolta miope e poco accorta verso la crescita. Come stanno secondo lei le cose?
La Banca centrale fa il suo mestiere, che è quello di mantenere la stabilità dei prezzi nel medio e lungo periodo. Deve farlo anche a rischio di essere impopolare. Se supportasse la crescita economica nel breve periodo rischierebbe di prolungare il processo di disinflazione che porterebbe a costi ancor maggiori per le imprese e le famiglie. L’inflazione è una tassa iniqua e la principale minaccia per la crescita economica nel medio e lungo periodo. E quindi la banca centrale fa bene a cercare di riportare l’inflazione verso l’obiettivo il prima possibile.
Non per fare l’avvocato del Diavolo. Ma c’è chi ha fatto notare un eccesso di velocità nel rialzare i tassi…
Ovviamente si può discutere sulla rapidità ottimale con cui portare i tassi verso l’alto. Ma mi sembra di condividere quanto ha detto la presidente Lagarde, e cioè che la banca centrale ha ancora del lavoro da fare sui tassi. La buona notizia è che ormai non manca molto alla fine del ciclo restrittivo.
Davvero vede l’orizzonte? Possiamo immaginare una cifra?
Io penso che il terminal rate sarà il 4,0% dall’attuale 3,25%, ma se anche fosse il 3,75% non cambierebbe molto per l’economia. Per contrastare l’inflazione le banche centrali non hanno altra scelta se non quella di deprimere la domanda aggregata, e sino ad ora l’economia ha resistito bene al rialzo dei tassi. Sarebbe un grande successo se l’inflazione tornasse verso l’obiettivo del 2,0% nell’area dell’euro senza passare attraverso una recessione. E ci sono le condizioni affinché questo possa avvenire.
Codogno, il nuovo Patto di stabilità contiene un principio: piani di rientro del debito cuciti su misura per i Paesi, in relazione alle loro finanze. Le pare sufficiente per superare la vecchia architettura europea in materia di conti?
Dal punto di vista economico ha certamente molto senso adottare percorsi di rientro dall’alto debito pubblico cuciti su misura per ciascun Paese. Il problema ovviamente è che questo può risultare controverso ed aprire la strada a conflitti tra Paesi e tra ciascun Paese e la Commissione europea. Per questo è essenziale che ci sia ownership, ovvero che il processo e gli obiettivi siano pienamente condivisi da ciascun governo e che ciascuno Stato li faccia propri nel processo di formazione del bilancio e più in generale nella strategia economica complessiva. Da un punto di vista tecnico, mi sembra molto difficile superare la logica dei saldi corretti per il ciclo economico. Questa correzione è risultata essere controversa in passato e indubbiamente le stime sono a volte molto incerte, ma è quanto di meglio si possa fare per modulare l’aggiustamento a seconda della fase economica.
L’Europa ha capito che era ora di cambiare approccio…
Quindi mi aspetto che queste considerazioni riemergano in modo diverso ma con la stessa finalità nel disegnare il percorso di rientro del debito e il percorso ottimale della spesa pubblica primaria. Tuttavia, avere un percorso chiaro e semplice di riduzione del debito ha dei vantaggi di comunicazione e di gestione politica del percorso. Come sempre accade, l’implementazione pratica e l’interpretazione delle regole saranno più importanti delle regole stesse.
Guardiamo all’Italia. Il governo di Giorgia Meloni ha dato due anni di tempo al Parlamento per elaborare una solida e convincente riforma fiscale. Facciamo un piccolo menù? Quali le priorità, quelle vere?
La riforma fiscale dovrebbe innanzitutto dare agli operatori economici la struttura per incentivi più corretta per supportare la crescita economica. In altre parole, gli operatori dovrebbero avere regole fiscali certe, semplici e incentivanti. Dovrebbero sprecare poco tempo nella preparazione delle dichiarazioni fiscali, nella gestione della loro contabilità, e la fiscalità dovrebbe avere un ruolo marginale nell’allocazione delle risorse e nelle strategie e nelle scelte aziendali e dei lavoratori. La tassazione dovrebbe incoraggiare l’attività produttiva e scoraggiare comportamenti che hanno dei costi sociali ed economici per la collettività. Dovrebbero essere poi eliminate tutte quelle distorsioni che rendono la tassazione iniqua tra le varie categorie di lavoratori e di imprese, riducendo drasticamente le cosiddette spese fiscali, che a volte sono veri e propri incentivi ad personam per settori industriali, imprese, e categorie di lavoratori.
Perché?
Perché entro certi limiti, le spese fiscali sono essenziali perché sono parte delle politiche del governo, ma ora si sono trasformate in una vera a propria giungla che dev’essere disboscata. Infine, l’amministrazione pubblica deve dotarsi di strumenti che le consentano un dialogo collaborativo veloce e semplice con il contribuente, anche in funzione della lotta contro l’evasione. Quindi per riassumere, in primis, ci dovrebbe essere un efficientamento dell’amministazione tributaria sia per rendere il rapporto con il cittadino meno problematico e più dialogante sia per contrastare l’evasione. Secondariamente, la normativa fiscale e le procedure dovrebbero essere fortemente semplificate. Terzo, ci dovrebbe essere una revisione incentivante di tutta la tassazione per far sì che i cittadini e le imprese dirigano i loro sforzi verso l’attività produttiva e non perdano tempo e denaro nel tentativo di ridurre il loro carico fiscale o addirittura di evadere le tasse. Con un gioco di parole, in inglese si dice taxes should not be taxing, ovvero la tassazione non dovrebbe essere troppo onerosa per il contribuente.
Ma si possono ridurre le tasse?
Ci stavo arrivando. Si potrà notare che non ho fatto riferimento alla riduzione della tassazione. In effetti la tassazione elevata è anch’essa un problema a la sua riduzione dovrebbe essere un obiettivo di politica economica. Tuttavia, dovrebbe venire come conseguenza delle riforme, e non solo di quella fiscale. Se le riforme saranno abbastanza ambiziose e genereranno più crescita economica, questo consentirà anche una riduzione della pressione fiscale, gradualmente negli anni, senza minare la sostenibilità delle finanze pubbliche.