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Il benessere economico degli italiani migliora ma la media europea è lontana

Nell’insieme, gli italiani non hanno ragione di essere pessimisti sul loro benessere presente. Dovrebbero, piuttosto, impegnarsi molto di più investendo maggiormente in competenze, innovazione e propensione al lavoro per raggiungere e superare i livelli medi dell’Ue. Questo è un imperativo per un Paese che ambisce a stare con quelli del Gruppo dei Sette più avanzati. L’analisi di Salvatore Zecchini

Che il benessere di un Paese non possa misurarsi semplicemente guardando al reddito medio pro-capite è una conclusione largamente condivisa tanto dalla società quanto dagli accademici. Per abbracciare una più ampia interpretazione del benessere umano nelle sue molte sfaccettature, si sono sviluppati, particolarmente negli scorsi decenni, diversi indicatori alternativi, che vanno oltre il ristretto perimetro dei valori monetari della produzione. Aspetti quali l’andamento demografico, la salute, l’istruzione, la giustizia e la sicurezza pubblica sono stati misurati con indici quantitativi ed aggregati in valori medi ponderati per giungere a un unico indicatore da monitorare negli anni. In questo secolo si sono aggiunte indicazioni sulle fondamentali condizioni dell’ambiente che rendono il pianeta vivibile, e sulla sostenibilità anche sociale.

In questa prospettiva nel 2009 il legislatore italiano ha introdotto l’esigenza di una periodica relazione, che dal 2016 è entrata a far parte della definizione delle politiche dei Governi ed inserita in un allegato del Def annuale dedicato a monitorare le condizioni per un Benessere Equo e Sostenibile. L’Istat si è allineata con un opera di analisi più dettagliata ed approfondita, esaminando molti indicatori, presentati in un Rapporto diretto a cogliere, tra l’altro, le dimensioni territoriali, culturali e di genere dell’evoluzione sociale.

L’’indagine sul benessere preso in considerazione nel Def spazia oltre quello economico, per coprire otto aree attraverso dodici indicatori, di cui sette hanno una specifica rilevanza per la dimensione economica. La ridotta selezione risponde all’esigenza di compattare una notevole massa di informazioni in un aggregato che offra uno sguardo d’insieme sia sul variare delle condizioni di anno in anno o nel recente periodo di crisi, sia sulle prospettive per i prossimi anni. Sorprende che non si faccia riferimento a importanti fattori demografici, quali le tendenze alla diminuzione della natalità, il continuo invecchiamento della popolazione, il tasso di morbosità e la sicurezza sul territorio. Né si accenna a un confronto con gli andamenti dei paesi partner nell’Ue.

Non si considera, altresì, l’andamento della ricchezza personale o familiare, né per la componente reale (abitazioni e beni), né per quella finanziaria netta, grandezze che incidono sul benessere individuale e concorrono a determinare i livelli dei consumi e il tenore di vita. Probabilmente l’esclusione è dovuta ai tempi più lunghi che richiede la valutazione della ricchezza e alla variabilità relativamente maggiore dei suoi valori. Per esplorare un maggior numero di aspetti del benessere soccorre l’indagine dell’Istat che pur coprendo dodici aree, analizza 152 indicatori e di alcuni evidenzia l’evoluzione rispetto all’anno prima della crisi pandemica. Per la dimensione della ricchezza l’esplorazione si ferma al 2020, ovvero a un anno di recessione economica, non consentendo di esaminare la variazione nel triennio di crisi. Peraltro, un’indicazione può derivarsi indirettamente dall’indicatore sulla capacità di sostenere un determinato livello di spesa imprevista.

Il quadro che emerge dal Def non presenta tinte molto scure, come ci si potrebbe attendere dopo tre sconvolgenti crisi in continuità l’una con l’altra, benché faccia stato di peggioramenti non drammatici in alcune condizioni. Nel 2022 il reddito disponibile pro-capite, che include anche i trasferimenti in natura, continua a riprendersi dopo il crollo del 2020 e supera i livelli prepandemici. Nell’anno in corso, al netto dell’inflazione, rimarrebbe stabile, con la previsione di un lieve aumento fino al 2026 sulla base delle politiche annunciate dal Governo. Positiva anche la diminuzione dell’indice di povertà assoluta familiare, stabile il rischio di povertà, ma si amplia, secondo le stime del Def, il distacco tra il reddito del quinto di popolazione dei più abbienti rispetto a quello dei meno abbienti. Al miglioramento dei redditi ha contributo il positivo andamento dell’occupazione e il calo dei disoccupati e degli inattivi disponibili al lavoro. L’aspetto più sorprendente di questa fase di uscita dalle tre crisi globali sta proprio in questa rinnovata propensione al lavoro, che riesce a essere soddisfatta dalla disponibilità delle imprese a rilanciarsi investendo nel rinnovo delle produzioni e nelle assunzioni di forze di lavoro a tempo indeterminato e non solo a scadenza.

Un collegamento può vedersi anche con la contrazione dell’abbandono prematuro dei sistemi di istruzione e formazione da parte dei giovani, evento che tenderebbe a venire incontro alla pressante domanda di competenze sempre più qualificate ed aggiornate per progredire nella transizione al digitale dei processi produttivi e di marketing. Le crescenti opportunità di lavoro non mitigano, tuttavia, il senso di incertezza sul futuro della propria situazione, con riflessi sull’incremento della propensione al risparmio e sulla cautela negli acquisti. L’elevata inflazione, gli sviluppi della guerra al confine orientale dell’Europa e le tensioni commerciali non aiutano a infondere stabilità nelle aspettative di lavoro e di reddito.

Qualche segnale di insicurezza si rileva dall’indagine dell’Istat, che peraltro non è sufficientemente aggiornata al 2022. Secondo questa, la quota di coloro che giudicano peggiorata la loro situazione economica si è dilatata dal 25,8% nel 2019 al picco del 35,1% l’anno scorso. In espansione pure le quote di coloro che riescono con difficoltà a fronteggiare le spese di mantenimento fino a fine mese e di quelli che vivono in famiglie con disagio abitativo, ma si tratta di percentuali contenute, rispettivamente al 9,1% e al 5,9%. In controtendenza va il calo della quota di quanti si trovano in grave deprivazione materiale, benché sia in leggero aumento nel 2021 la parte di coloro non in grado di sostenere spese impreviste di 850 euro. In forte miglioramento anche l’indice di fiducia dei consumatori, che dall’ultimo trimestre del 2022 è in rapida ascesa nella valutazione sia dell’andamento economico generale sia della propria situazione.

Le discordanze tra indicatori non cancellano né la prevalenza dei segnali positivi su quelli negativi, né all’opposto l’impressione d’insicurezza degli italiani sull’evoluzione futura della situazione personale, una sensazione giustificabile dopo un triennio di shock straordinari e ripetuti. Non vanno nemmeno trascurate le differenze tra le condizioni nel Mezzogiorno e quelle del Nord, differenze che si sono accentuate a svantaggio del primo nonostante i particolari sostegni pubblici al reddito e alle imprese. Le disparità, peraltro, si approfondiscono anche tra le stesse regioni del Mezzogiorno. Altri indicatori non strettamente afferenti al benessere economico ma rilevanti per la crescita del benessere socio-economico degli italiani danno segnali in peggioramento. In particolare, appaiono in regresso le competenze alfa-numeriche degli studenti della scuola secondaria di primo grado, il numero dei laureati e di coloro che hanno conseguito titoli d’istruzione terziaria, a cui si aggiunge una maggiore incidenza di occupati “sovraistruiti”, segno di un persistente disallineamento tra indirizzi d’istruzione e mondo della produzione. Una nota positiva, invece, si riscontra nel crescente impegno nelle attività di ricerca ed innovazione.

Allargando la valutazione del benessere dalla cerchia individuale a quella della società nel suo insieme e nella prospettiva dell’incremento della prosperità futura, va considerato l’insieme degli indicatori dell’Istat. Tra questi, più della metà segna miglioramenti fin oltre i livelli prepandemici, un 14% presenta stabilità e solo un terzo una regressione. Pertanto, appare incoraggiante che grazie agli interventi pubblici e allo spirito di reazione degli italiani alle avversità, dopo tre anni di crisi si rilevi una tenuta sostanziale del benessere economico. Di contro, dovrebbe inquietare che la posizione degli italiani sia ben al di sotto dei livelli medi raggiunti nell’Ue a 27 Paesi.

Su 26 indicatori di benessere, solo in 6 la situazione italiana sorpassa la media Ue. Tra questi pochi sono importanti il relativamente basso tasso di omicidi (0,5 per 100 mila abitanti), il minore smaltimento di rifiuti in discarica, il ridursi del tasso di emissioni di CO2 e il miglioramento della speranza di vita alla nascita. Tra i peggiori, rilevano per il benessere economico il comparativamente basso livello di istruzione e formazione, la maggior presenza dei giovani Neet (19% contro 11,7%) e il basso tasso di quelli che hanno completato l’istruzione terziaria (27,4% contro 42,8% nell’Ue). Al di sotto della media europea anche il tasso di occupazione, la spesa in ricerca ed innovazione, le competenze digitali e gli investimenti nella proprietà intellettuale. Questi sono fattori di debolezza gravi, perché rendono più difficile tenersi al passo delle economie più avanzate e costruire la prosperità futura.
Importante in specie il confronto con la valutazione del benessere dei cittadini americani, che la Fed ha appena pubblicato, un confronto che non si può dare per scontato considerando il dislivello di reddito pro-capite, che vede quello italiano raggiungere poco più della metà del livello americano. L’attenzione è, in realtà sulla variazione del benessere nel 2022 rispetto all’anno precedente. I criteri di valutazione sono sostanzialmente uguali, tranne una maggiore attenzione alla spesa dei consumatori, alle loro condizioni finanziarie e alla capacità di risparmiare per il periodo di pensionamento.

Malgrado la crescita più rapida dell’economia americana rispetto all’italiana, la disoccupazione ai minimi storici e gli incrementi salariali, la situazione finanziaria delle famiglie non risulta più solida a causa dell’inflazione che sopravanza gli incrementi di reddito. La situazione, inoltre, si presenta con notevoli disparità a seconda del livello di istruzione, di reddito e di gruppo etnico. Più dei due terzi dei laureati ritiene che i rendimenti dell’investimento nell’istruzione avanzata ecceda il costo sostenuto e le loro condizioni di lavoro risultano migliori degli altri. Ma la quota di americani che ha registrato un peggioramento della loro condizione finanziaria è salita al picco del 35%. Si conferma anche la tendenza a spendere più del reddito percepito e quindi ad attingere ai risparmi (il 51%) o al credito. Nel contempo, è scesa al 32% dal 40% del 2021 la quota di coloro che sono riusciti a rispettare i programmi di risparmio per la pensione. Nondimeno, non bastano i redditi risparmiati, perché il 18% degli intervistati dichiara di non potere coprire spese impreviste superiori a 100 dollari e un altro 14% non riesce a sostenere esborsi superiori a 499 dollari. Sono segni di una precarietà che supera probabilmente quella riscontrata in Italia e getta ombre sulla ripartizione dei redditi e della ricchezza nella società americana.

La precarietà del benessere si può desumere anche dalla rilevazione che circa due terzi di abitanti in case di affitto è costretto ad affittare perché non in grado di acquistare un’abitazione. Parimenti, è un segnale nello stesso senso che nel paese con la più alta innovazione finanziaria, solo il 3% degli adulti ricorrono alle criptovalute per i pagamenti e il 12% ai nuovi sistemi di vendite rateali (Buy Now, Pay Later), con un’incidenza maggiore tra gli afroamericani e gli ispanici.

Nell’insieme, gli italiani non hanno ragione di essere pessimisti sul loro benessere presente, anche rispetto agli americani, in quanto è in miglioramento. Dovrebbero, piuttosto, impegnarsi molto di più investendo maggiormente in competenze, innovazione e propensione al lavoro per raggiungere e superare i livelli medi dell’Ue. Questo è un imperativo per un Paese che ambisce a stare con quelli del Gruppo dei Sette più avanzati.

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