Skip to main content

Basta bonus, è tempo di investire bene il denaro pubblico. Scrive Mastrapasqua

Prima di tornare a piangere in pubblico sulle tragedie che l’acqua – in eccesso o per carenza – produce nel nostro Paese, ai politici tocca di fare il loro lavoro: investire bene il denaro pubblico, per proteggere i cittadini, le loro famiglie e le loro imprese. Non sprecarlo in bonus per fare consenso. Il commento di Antonio Mastrapasqua

Mi è difficile immaginare quanto le tende da sole o le zanzariere possano essere parte di una strategia efficace per resistere agli effetti del “climate change”. Eppure, anche quest’anno sono oggetti di bonus fiscale. Due delle centinaia di sconti che gli italiani possono ottenere nella lotteria delle tasse. Due gocce nel mare delle risorse gettate dallo Stato per inseguire il consenso di qualche categoria sociale e produttiva. Nulla che possa essere paragonato al costo che lo Stato si è accollato per il superbonus 110%. Nell’audizione alla Camera del direttore generale del ministero dell’Economia, Giovanni Spalletta, si è indicata una cifra di 86 miliardi di euro.

Con queste cifre e queste incoerenze è difficile partecipare all’afflizione di circostanza che i politici e gli amministratori di turno della cosa pubblica ostentano dopo le catastrofi naturali che colpiscono il nostro Paese. È difficile tollerare il pianto comune esibito dai vertici dello Stato davanti all’ultima tragedia che in Emilia Romagna ha ucciso e devastato.

Non si tratta di inseguire il sogno di una miracolosa estraneità di fronte alle catastrofi naturali – l’Italia è Paese sismico e fragile dal punto di vista idrogeologico – ma di fare tutto il possibile per prevenire e mettere in sicurezza quello che si può e si deve, utilizzando le risorse pubbliche al meglio. Sono quasi 5 milioni gli italiani che vivono in territori a rischio piena con codice rosso. Sul totale delle frane registrate sul territorio europeo oltre l’80% riguardano l’Italia.

Se gli 86 miliardi che costa il superbonus fossero stati investiti (e poi spesi veramente) per fare opere di prevenzione (dalle casse di espansione mai realizzate per arginare le alluvioni, agli invasi contro la prossima siccità) e di mantenimento in sicurezza del territorio (che vuol dire almeno drenare regolarmente i corsi d’acqua) allora avremmo potuto guardare alle lacrime dei politici con più benevolenza. Oggi invece vediamo solo la drammatica disperazione delle vittime.

Il cambiamento climatico è ormai evidente e ineluttabile. Molte delle sue conseguenze sono prevedibili, e molti interventi sono programmabili. Sottrarre risorse pubbliche con provvedimenti clientelari ed estemporanei è colpevole e irresponsabile.

Ci vorrebbe coraggio a revocare tutti i bonus (rubinetti, tende da sole, zanzariere, giardini e terrazzi…) per ottimizzare la spesa pubblica verso iniziative con un impatto effettivo e tangibile sulla transizione ecologica ed energetica.

In queste settimane stiamo assistendo all’ennesima alluvione. Tra poche settimane torneremo a imprecare contro la siccità. Dopo le alluvioni, la siccità è il secondo rischio naturale più oneroso. Tra il 2000 e 2022, l’Italia è stata colpita da gravi periodi di siccità con danni complessivi tra agricoltura, alimentare, industriale, energetico, pari a 20 miliardi di euro. E non perché l’Italia sia senz’acqua.

Come ricordava poche settimane fa il primo rapporto completo sull’acqua in Italia – “Water Economy in Italy”, a cura di Proger – “l’Italia convive con la minaccia idrogeologica e con sofferenza idrica nonostante non difetti delle condizioni naturali per mantenere l’equilibrio tra la domanda e la disponibilità idrica. La piovosità in Italia è abbondante: su scala nazionale registra 301 miliardi di metri cubi di pioggia in media, ma solo l’11% delle precipitazioni è prelevata per tutti gli usi. Il nostro Paese si colloca al 5° posto in Europa per quantità di precipitazioni medie, Milano è l’area metropolitana più piovosa d’Europa e Roma è più piovosa di Londra”.

L’Italia è sostanzialmente ferma alle stesse capacità di invaso di mezzo secolo fa, ma con necessità e consumi aumentati enormemente. Ci sono 531 grandi dighe la cui capacità d’invaso sarebbe di 13,652 miliardi di metri cubi, ma i volumi reali sono inferiori del 35% (per ritardi nelle procedure di collaudo tecnico-funzionale, per interramento progressivo per mancato drenaggio e per carenza di nuovi investimenti). Abbiamo, come si sa, una rete colabrodo: quasi il 40% dell’acqua potabile prelevata non arriva ai rubinetti. L’Italia versa 165mila euro al giorno come sanzione all’Ue (circa 60 milioni l’anno) per effetto di diverse infrazioni in materia di infrastrutture idriche. In particolare, la mancanza dei sistemi di depurazione e filtraggio delle acque reflue, sia in ambito agricolo che industriale, e il loro riuso, anche in ambito civile.

Prima di tornare a piangere in pubblico sulle tragedie che l’acqua – in eccesso o per carenza – produce nel nostro Paese, ai politici tocca di fare il loro lavoro: investire bene il denaro pubblico, per proteggere i cittadini, le loro famiglie e le loro imprese. Non sprecarlo in bonus per fare consenso.


×

Iscriviti alla newsletter