Skip to main content

Stiamo tornando al Pliocene? Perché l’Italia è più vulnerabile ai cambiamenti climatici

I livelli di CO2 sono ora paragonabili al Pliocene Climatic Optimum, tra 4,1 e 4,5 milioni di anni fa. Nel Pliocene la pianura padana era sott’acqua. Adesso siamo sulla Terra 8 miliardi di persone, abitiamo le pianure e le zone costiere. Forse non sarebbe male ridurre, o almeno rallentare, la crescita della CO2 in atmosfera. E adattare i nostri territori al clima che cambia. L’analisi di Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente

Il 5 luglio del 2022 Formiche.net aveva pubblicato un mio intervento “Cambiamenti Climatici non possiamo più aspettare”, nel quale avevo ricordato la mancanza di misure “infrastrutturali” per far fronte alla sempre più evidente vulnerabilità dell’Italia ai cambiamenti climatici: misure che erano state individuate dalla delibera del Cipe del 12 dicembre 2012 “Linee strategiche per il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, la gestione sostenibile e la messa in sicurezza del territorio”.

Purtroppo gli eventi drammatici di questi giorni in Emilia, pochi mesi dopo quelli nelle Marche e ad Ischia, confermano l’accelerazione negli ultimi decenni della sequenza di “alta temperatura – siccità – piogge intense – inondazioni”, che fino agli anni ’70 del secolo scorso avevano “tempi di ritorno” molto più lunghi.

Questi eventi mettono a dura prova un territorio molto vulnerabile con infrastrutture di protezione e drenaggio che risalgono a “età climatiche” con regimi di pioggia diversi, mentre l’intensa antropizzazione dei decenni scorsi ha ridotto la capacità naturale di adattamento, così come l’abbandono di gran parte dell’Appennino e la scarsa manutenzione dei corsi d’acqua e dei boschi hanno accelerato il degrado di vasti territori del nostro Paese.

Finalmente il ministro Pichetto Fratin si è impegnato per la rapida approvazione del Piano di adattamento ai cambiamenti climatici.
Intanto sono passati 10 anni.

Seguendo il “filo d’Arianna” del Piano possiamo avere un’idea concreta di come la sicurezza del territorio è in coda alle priorità della politica che si misura sui tempi brevi delle scadenze elettorali.

La delibera del Cipe aveva individuato le misure infrastrutturali e le risorse finanziarie da impegnare in 15 anni:
• l’assunzione obbligatoria dei dati e delle previsioni sul cambio climatico nella programmazione degli usi del territorio e nella realizzazione delle infrastrutture;
• il divieto di uso dei territori vulnerabili e la rilocazione delle strutture edilizie, produttive, stradali e ferroviarie ubicate in questi territori;
• la realizzazione delle attività e delle opere per la messa in sicurezza del territorio con il supporto di finanziamenti misti pubblico-privati;
• la protezione delle coste e delle infrastrutture costiere, contro l’erosione e l’infiltrazione salina;
• la ricalibratura di fiumi e canali, fognature per adeguarli ai nuovi regimi di precipitazioni;
• la realizzazione di invasi per favorire il drenaggio delle piogge intense e la conservazione dell’acqua;
• Il finanziamento delle misure, stimato in circa 2,5 miliardi/anno per 15 anni, garantito da:
o almeno il 40% dei proventi dalle aste dei permessi di emissione (direttiva Ue2009/29);
o investimenti privati incentivati con credito di imposta;
o un’assicurazione obbligatoria per i rischi connessi agli eventi climatici estremi.

Avevo negoziato la delibera con la Commissione europea, al fine di escludere il piano dal “patto di stabilità”, considerato che l’Italia nel Bilancio 2013 non aveva la disponibilità di risorse pubbliche per le misure infrastrutturali e le opere necessarie alla messa in sicurezza del territorio.

La Commissione aveva espresso un parere favorevole di massima, ma aveva richiesto l’elaborazione di un piano dettagliato che l’Italia avrebbe dovuto sottoporre quanto prima.

Di conseguenza, nel 2013 il ministero dell’Ambiente aveva incaricato il Centro euro mediterraneo suicambiamenti climatici (Cmcc) di elaborare il piano sulla base delle linee guida approvate dal Cipe.

Il Piano (Pnacc) era stato consegnato dal Cmcc nel 2015, ma era stata chiesta una revisione conclusa solo nel 2018. Da allora è iniziato il “gioco dell’oca” della Valutazione Ambientale Strategica, non ancora conclusa.

E intanto, dal 2013 gli interventi per far fronte agli eventi climatici estremi sono stati guidati prevalentemente dalla logica dell’emergenza, che assorbe risorse ingenti (fino a 3 miliardi €/anno) senza risolvere in modo stabile i nodi critici della vulnerabilità del territorio. Senza considerare che in molti casi il dedalo delle procedure ha impedito anche l’impiego delle risorse messe a disposizione per l’emergenza.

In questo contesto, a fronte della mancanza del piano di adattamento e della scarsa capacità di spesa, il Pnrr ha destinato 4 miliardi di euro circa per “prevenire e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici sui fenomeni di dissesto idrogeologico “, di cui 500 milioni risorse aggiuntive a quelle disponibili ma non spese.

Evidentemente il Pnrr non ha considerato la vulnerabilità del nostro territorio una barriera alla crescita, ovvero una priorità di Next Generation Italy.

Mentre impazza il festival delle chiacchere in libertà sui cambiamenti climatici. Bastano due citazioni per chiarire.

Nel giugno 2021 l’Unione europea ha adottato la “Strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici”. In premessa viene affermato che “arrestare tutte le emissioni di gas a effetto serra comunque non impedirebbe gli effetti dei cambiamenti climatici che sono già in atto e che proseguiranno per decenni, anche nel caso in cui gli sforzi globali ed europei per ridurre le emissioni di gas a effetto serra dovessero risultare efficaci”.

La CO2 misurata al Mauna Loa Atmospheric Baseline Observatory della Agenzia governativa degli Usa (Noaa) ha raggiunto in aprile 2023 425 parti per milione. Il dato conferma il trend di crescita costante negli ultimi 60 anni (nel 1960 310 ppm). “I livelli di CO2 sono ora paragonabili al Pliocene Climatic Optimum, tra 4,1 e 4,5 milioni di anni fa, quando erano vicini o superiori a 400 ppm. Durante quel periodo, il livello del mare era compreso tra 5 e 25 metri più alto di quello attuale, e grandi foreste occupavano l’odierna tundra artica”, ha affermato l’amministratore della Noaa, Rick Spinrad.

Niente paura, “i cambiamenti climatici sono un fenomeno ciclico”, ripetono in questi giorni alcuni esperti titolati climatologi.

Ma sarebbe utile ricordare che nel Pliocene la pianura padana era sotto acqua, ed eravamo – nella linea evolutiva- alla fase dell’Australopithecus.

Oggi siamo nell’Anthropocene, 8 miliardi di umani, abitiamo le pianure e le zone costiere. Forse non sarebbe male ridurre, o almeno rallentare, la crescita della CO2 in atmosfera. E adattare i nostri territori al clima che cambia.


×

Iscriviti alla newsletter