Alla presentazione al Senato del libro di Martina Carone “La candidata vincente” (Utet) si è aperto il confronto su cosa significhi la leadership femminile, se una donna al comando può bastare per aprire le porte a tutte le altre, il ruolo del sistema mediatico. Il punto di vista di Gelmini, Gribaudo, Fedeli e Sensi
C’è chi pensa che il bicchiere sia mezzo pieno, chi mezzo vuoto, e chi invece vorrebbe brindare perché finalmente, dopo 75 anni di storia repubblicana, l’Italia ha una donna alla presidenza del Consiglio, Giorgia Meloni, ma non solo. Alla guida del principale partito di opposizione, il Partito democratico, c’è un’altra donna, Elly Schlein, diventata segretaria lo scorso febbraio.
La domanda che riempie l’aria della Sala Nassirya del Senato in cui si è tenuta, ieri, la presentazione del libro “La candidata vincente” di Martina Carone, consulente Quorum/YouTrend e docente di Analisi dei Media all’Università di Padova, è se effettivamente una donna al potere possa considerarsi un obiettivo raggiunto oppure se la leadership femminile, di cui ci sono dieci esempi nel libro di Carone, “Da Margaret Thatcher a Giorgia Meloni, storie di donne che hanno cambiato la politica”, come recita il sottotitolo, non sia necessariamente sinonimo di progresso di genere.
Un punto certamente positivo, è che inizia a esserci uno spazio di analisi su cosa significhi la leadership femminile, ha sottolineato nel suo intervento introduttivo il senatore del Partito democratico Filippo Sensi, “un vero femminista” (cit. Chiara Gribaudo), come testimoniano le biografie politiche raccolte nel libro. “Ci interrogano anche le esperienze di quelle leader che hanno deciso di lasciare i loro ruoli, come Jacinda Arden e Sanna Marin. C’è il segno della vittoria, ma anche il suo rovescio, problematico, che ci interroga”.
Così come ci interroga, ha proseguito Valeria Fedeli, già ministra dell’Istruzione e senatrice, ora al comitato organizzativo della Fondazione Nilde Iotti, la consapevolezza che la prima donna presidente del Consiglio, in Italia ma non solo, sia conservatrice. “L’esempio della prima presidente della Camera donna ci offre spunti sul passato ma che ci uniscono al presente: Nilde Iotti fu osteggiata per le sue scelte personali, per il suo modo di vestire, eppure fu capace di aprire al dialogo”, ha sottolineato Fedeli, aggiungendo quella che ritiene una provocazione: “Una leader donna, a prescindere dalla sua estrazione politica, cambia le cose”. Eppure, ha aggiunto, non è sufficiente. “Basta vedere quello che sta succedendo con la Rai, in cui gran parte delle direzioni andranno agli uomini. Ecco, questo dimostra che una donna al potere non basta, nonostante tutti gli ostacoli superati per arrivare al vertice”.
E sulla Rai l’appello è unanime: “Essendo anche in Commissione vigilanza, l’appello che faccio alla presidente Meloni è di considerare che la parità di genere è importante”, ha detto Mariastella Gelmini, senatrice di Azione. A cui ha fatto coro Chiara Gribaudo, deputata e vicepresidente del Partito democratico, secondo cui non solo la Rai, ma anche nella scelta dei nuovi vertici di Inail e Inps bisognerebbe cercare di fare scelte innovative, “soprattutto all’Inps”. Per la deputata dem, molto vicina alla segretaria Pd, quello che distingue Meloni da Schlein è la scelta di redistribuzione del potere. “Siamo ancora tanto indietro, lo dice l’Ocse”, e solo quando “si parlerà di questioni economiche relative alle donne, su cui c’è un enorme silenzio, potremmo dire di aver rotto davvero un soffitto di cristallo”.
Eppure c’è chi dissente. Secondo Gelmini, infatti, il punto chiave per rompere l’esclusione delle donne dai luoghi di potere si chiama “merito”. “Per affermare una vera rappresentanza delle donne la parola attorno a cui tutto gira attorno è il merito. E non basta la titolazione del ministero fatta da questo governo per premiarlo veramente. La mia prima proposta di legge, quando entrai in Parlamento, fu proprio su questo: dove c’è merito, le donne emergono e ce la fanno. Accanto alla parola merito c’è quello della valutazione: le donne non hanno paura di essere valutate”.
Non è indifferente il ruolo, importantissimo, che rivestono i media nel momento in cui si parla di leader donne. Lo ha sottolineato, in conclusione, l’autrice del libro. “La campagna elettorale è il momento di sintesi estrema del vissuto di queste donne anche con qualche sgambetto. Su questo bisogna provare a ribaltare il punto di vista”, ha concluso Carone. “Madre della nazione, regina guerriera, estensione del ruolo di cura. Nasce prima la responsabilità della donna politica o prima il sistema mediatico che favorisce questi schemi?”, si è domandata l’analista, secondo cui non è un caso che siano donne dell’area conservatrice ad emergere: “Propongono degli schemi che non mettono in crisi la società patriarcale”.
C’è una conclusione? No, sicuramente tante domande aperte su cui interrogarsi collettivamente. E, come ha chiosato Nathania Zevi, giornalista del Tg3 e moderatrice dell’incontro, va bene cambiare i giocatori, ma forse è tempo di cambiare anche il campo da gioco, “come i banchi di questa sala, immaginati per le proporzioni maschili. La forma, che è anche contenuto, forse non ci sta più tanto bene”.