Il problema è sempre il debito. Nell’ultima riunione del Polibturo del Partito comunista, il massimo organismo decisionale cinese, è stato affrontato nemmeno dieci giorni fa. Gli alti dirigenti e i vertici delle autorità di vigilanza finanziaria hanno spiattellato sotto gli occhi del leader cinese, Xi Jinping, la drammatica situazione delle finanze cinesi. Una montagna di debito, sovrano o corporate, fa poca differenza, allocato per la la maggior parte nelle lontane e immense province cinesi.
E pensare che l’obiettivo del governo sarebbe quello di ritornare, già nel 2024, a una crescita di gran lunga superiore e tonica rispetto al 5% previsto (se tutto andrà bene) per quest’anno. Ma lo stato comatoso delle finanze del Dragone rischiano di mandare all’aria i piani. All’origine del grande male cinese c’è un po’ di tutto: il mattone indebitato fino al collo e incapace di rimborsare i prestiti ricevuti, dunque insolvente. Le amministrazioni locali che hanno chiesto soldi alle banche per finanziare le infrastrutture, ma incapaci di stare dietro alle rate, dunque insolventi anche loro. I cittadini, furiosi con gli stessi istituti che per i guai poc’anzi citati non hanno più cassa e per questo sono stati costretti a congelare i depositi, innescando a loro volta la reazione dei risparmiatori, che si sono rifiutati di pagare il mutuo. Quindi insolventi anche loro.
Non è finita. Poi ci sono i mercati e gli investitori, troppo spesso diffidenti verso la seconda economia globale e che altrettanto spesso voltano le spalle a Pechino, negandole la liquidità necessaria. E poi c’é stato il Covid e i lockdown alla cinese. Insomma, in Cina si fa un po’ tutto a debito. La prova? Il dato messo sotto il naso di Xi, alla fine di aprile: il debito cinese oggi vale il 279,9. Si tratta del dato relativo al primo trimestre del 2023 e che porta in dote un aumento del 7,7% rispetto al trimestre precedente. Per la Repubblica popolare si tratta del più alto incremento negli ultimi tre anni. La colpa è tutta, o quasi, degli enti locali. La cui esposizione, dati dell’Ispi alla mano, oggi vale circa 100 mila miliardi di yuan.
Nella riunione del partito, è scattato l’allarme rosso e non poteva essere altrimenti. La strategia sembra essere quella del contenimento, una specie di lockdown finanziario. Perché affrontare la montagna di debiti nascosti accumulati dalle amministrazioni locali cinesi è, ancora una volta, in cima all’agenda politica. Tanto che lo stesso Politburo ha chiesto di mettere sotto strettissima sorveglianza la gestione del debito degli enti locali e di controllare rigorosamente l’aumento dell’esposizione. Tradotto, ogni spesa va rendicontata, fino all’ultimo yuan.
Pare che lo stesso Xi Jinping abbia dato precise e perentorie direttive in materia. “È necessario consolidare la responsabilità dei governi provinciali nel prevenire e risolvere i problemi legati ai debiti nascosti, aumentando gli sforzi per smaltire i debiti in sospeso, ottimizzando la struttura delle scadenze dei debiti, ridurre l’onere degli interessi, promuovere costantemente la supervisione unificata dei governi locali e dei debiti in bilancio e frenare risolutamente l’aumento dei passivi”. Basterà?