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Meno clamore, più concretezza. Hass (Brookings) sulle relazioni Usa-Cina

Secondo Ryan Hass, senior fellow del Foreign Policy Program di Brookings, ci sono una serie di interessi che spingono verso un riavvicinamento tra le due potenze. Ma ci sono tre fronti principali su cui Washington dovrebbe agire. In vista dei bilaterali di Gina Raimondo, Katherine Tai, Janet Yellen, Antony Blinken e John Kerry

Fino a pochi mesi fa, vi era la convinzione generale che il 2023 sarebbe stato testimone di una distensione nei rapporti tra Stati Uniti e Cina. L’assenza di importanti appuntamenti elettorali in ambo i paesi (e nell’isola di Taiwan, epicentro dei contrasti tra le due potenze), così come la prevista visita di Xi Jinping negli Stati Uniti originariamente organizzata per l’autunno 2023, costituivano un contesto perfetto in cui incastonare un processo di riavvicinamento.

Fino al gennaio di quest’anno, quando un pallone aerostatico cinese ha violato lo spazio aereo americano con finalità non meglio chiarite, le speranze di una riconciliazione, anche parziale, tra Washington e Pechino si sono sgonfiate rapidamente. I rapporti tra i due attori in seguito all’incidente hanno cominciato a deteriorarsi sempre di più, con un continuo e reciproco scambio di accuse su pressoché ogni aspetto delle loro relazioni bilaterali.

Ma nelle ultime settimane ci sono dei tentativi di cambiare le cose. I due paesi hanno ristabilito i contatti tra alti funzionari, e non sono mancate dichiarazioni sull’intenzione di rafforzare ulteriormente questi contatti nel prossimo futuro. Il Presidente Biden stesso, durante una conferenza stampa tenutasi all’interno della cornice del G7, ha predetto uno ‘scongelamento’ delle relazioni sino-americane nel breve periodo.

Secondo Ryan Hass, senior fellow del Foreign Policy Program di Brookings, gli interessi egoistici dei due paesi sono i principali driver che spingono verso il riavvicinamento. La necessità domestica statunitense di ridurre il rischio di un’escalation con Pechino e le sfide che si prospettano all’orizzonte per la Cina (rallentamento nella crescita, incremento della disoccupazione giovanile, cambio nella percezione del potere cinese sul piano internazionale) hanno fatto sì che le due superpotenze rivali riducessero i contrasti esistenti. Inoltre, il ricercatore individua tre fronti principali su cui Washington deve agire, se intende migliorare i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese nei prossimi mesi.

Il primo è quello della private diplomacy. Anziché puntare su grandi eventi e spettacolari dichiarazioni, rischiosa arma a doppio taglio per la reputazione internazionale dei paesi coinvolti, gli Stati Uniti dovrebbero privilegiare un approccio più sommesso, portato avanti da diplomatici e funzionari di stato di entrambe le potenze e incentrato su singole questioni d’interesse pratico per entrambi; perseguendo questa strada sarebbe molto più facile ricostruire il clima di fiducia reciproca necessario per portare allo stadio successivo il grado di collaborazione tra Cina e Usa.

In secondo luogo, prosegue il politologo statunitense, Washington deve mettere da parte l’idea di costituire un  meccanismo di crisis management condiviso e regolato da rigidi principi. Allo stato attuale delle cose, un simile sforzo diplomatico rischia non solo di essere inefficace, considerando il background relazionale su cui esso si andrebbe impiantare, ma addirittura controproducente: tanto Washington quanto Pechino potrebbero cedere alla tentazione di utilizzare questo strumento per ‘intrappolare’ l’attore rivale su questioni strategiche, andandone a intaccare la percezione del competitor. Piuttosto, gli sforzi diplomatici dovrebbero puntare a risultati di interesse condiviso e di effetto più immediato, come un accordo sulla limitazione nell’utilizzo degli armamenti che utilizzano l’Intelligenza Artificiale.

L’ultima prescrizione di Hass per la classe dirigente statunitense è quella di canalizzare in modo costruttivo le ambizioni del Presidente cinese. “Xi vuole essere considerato un leader globale e un peace-maker”, afferma lo studioso americano. ”Invece di sottolineare come Pechino non sia stata in grado di svolgere un ruolo da mediatore nei confronti dell’aggressione russa all’Ucraina, gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero cercare questioni rilevanti per sollecitare la Cina ad assumersi maggiori responsabilità nel ridurre le tensioni e alleviare le sofferenze. Washington potrebbe spingere Pechino, ad esempio, a prendere l’iniziativa di fare pressione sulla Russia affinché mantenga aperte le rotte del grano attraverso il Mar Nero per il bene della sicurezza alimentare globale. Washington e i suoi partner potrebbero incoraggiare Pechino a prendere l’iniziativa per far sì che Mosca e Kiev si aspettino che gli attacchi contro centrali nucleari come quella di Zaporizhzhia costituiscano terrorismo nucleare e provochino una dura risposta internazionale. Pechino potrebbe anche essere sollecitata a organizzare gli sforzi internazionali per mettere insieme i finanziamenti per la ricostruzione dell’Ucraina, che ammonta a 411 miliardi di dollari, dopo la fine della guerra.”

Finché gli Stati Uniti continueranno a puntare su minacce e punizioni nel gestire i suoi rapporti con la Cina, grandi cambiamenti nello stato attuale delle cose sono difficili da prevedere, conclude il ricercatore di Brookings.

Nei prossimi mesi non mancheranno le occasioni di mettere in pratica i consigli di Hass. Dopo l’incontro a Vienna tra Wang Yi, capo della diplomazia del Partito comunista, e Jake Sullivan, consigliere alla sicurezza nazionale della Casa Bianca, tenutosi pochi giorni fa, il ministro del Commercio cinese Wang Wentao ha organizzato un viaggio negli States, dove si incontrerà con il Segretario al Commercio degli Stati Uniti Gina Raimondo e il Rappresentante del Commercio Katherine Tai. E anche la Casa Bianca starebbe pianificando una serie di missioni in territorio cinese, che vedrebbero impegnati la segretaria al Tesoro Yanet Jellen, il segretario di Stato Antony Blinken e il rappresentante per il clima John Kerry.

Se questi incontri avranno esito positivo, non è da escludere che in futuro potremmo assistere a un incontro bilaterale tra Joe Biden e Xi Jinping. Magari in occasione del prossimo G20, che si terrà a Delhi nel settembre di quest’anno.

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