Il presidente americano continua a lavorare pancia a terra per un accordo sul tetto al debito federale, ma la strada appare ancora in salita. Molti Stati potrebbero perdere in poco tempo migliaia di posti di lavoro. Ma non è la prima volta che gli Usa camminano sull’orlo del burrone. Le paure tedesche e il dibattito al G7
Un gioco di nervi, di quelli da non dormirci la notte. La strada verso un accordo tra Repubblicani e Democratici per l’innalzamento del tetto al debito americano è ancora lunga. Da quando Joe Biden ha incontrato i membri del Congresso per discutere il nuovo debt ceiling, la missione non appare impossibile. Attualmente il limite massimo del debito prefissato è di 31 mila miliardi di dollari, una cifra record, ma che Washington è ormai sicuro di oltrepassare. Il tempo stringe: rimangono solo tre settimane prima che la Casa Bianca debba dichiarare default il primo giugno.
Qualcuno, però, comincia a fare due conti. Gli Stati Uniti sono un sistema federale variopinto e ogni Stato ha suoi precisi equilibri economici e finanziari. Come a dire, chi rimetterebbe di più? Alla Cnn, dove i due conti hanno cominciato a farli, non hanno dubbi. Un default americano danneggerebbe in modo sproporzionato gli Stati con grandi concentrazioni di lavoratori federali o che hanno un numero di posti di lavoro che dipendono dai finanziamenti del governo. Ciò include Washington, DC e Stati confinanti o che fanno affidamento su istituzioni federali come laboratori nazionali o basi militari come Alaska, Hawaii e New Mexico. E anche la Florida, l’Ohio e la Pennsylvania perderebbero probabilmente centinaia di migliaia di posti di lavoro.
Tutto questo mentre tra le due anime del Congresso è in corso un gioco di nervi. I Repubblicani usano il rischio del default parziale come leva negoziale per le proprie richieste: hanno una lieve maggioranza alla Camera, e vogliono un taglio della spesa pubblica. Biden promette di prenderlo in considerazione, ma lo speaker repubblicano, Kevin McCarthy non si è detto soddisfatto. Insomma, i repubblicani puntano a mettere il presidente alle strette. Nel momento in cui il tetto venisse superato, il Dipartimento del tesoro sarebbe impossibilitato a prendere in prestito nuovi fondi per finanziare tutti i servizi pubblici.
Forse anche per questo anche fuori dagli Stati Uniti qualcuno comincia ad averte paura, optando per i debiti scongiuri. Tra questi, il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, non certo un pavido. E la stesso segretario al Tesoro, Janet Yellen, che è tornata ad agitare lo spettro. “Anche senza arrivare al default, il rischio politico calcolato sul tetto del debito può comportare costi economici gravi”. Senza dimenticare che della questione si è parlato al G7 finanziario in Giappone, dove l’agenda è stata stravolta.
Come finirà? Secondo l’Ispi lo sforamento del livello massimo di debito non è un’eventualità così improbabile. Dal 1960 ad oggi il tetto è stato innalzato, spostato o rivisto ben 78 volte. Certo, per Biden sarebbe un problema non indifferente, perché nel 2011 le tensioni tra i partiti su questo tema portarono a uno storico abbassamento del rating sul debito Usa e a un’impennata degli interessi. Uno scenario che i democratici vorrebbero scongiurare. La chiusura parziale dei servizi sarebbe un enorme danno auto-inflitto. In assenza di fondi, il governo non potrebbe più spendere per gli stipendi dei funzionari, il rimborso del debito, i sussidi statali, le pensioni. Con conseguenze sociali ed economiche gravissime. E altrettante conseguenze, forse, politiche.