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Il risultato di Giorgia e lo scivolone dei leader

La conferma dei successi elettorali e l’abilità manovriera della premier Giorgia Meloni stanno già mettendo a soqquadro gli scenari politici in vista delle europee del prossimo anno. L’opinione di Gianfranco D’Anna

Elezioni dopo elezioni, l’accelerazione della politica sta imprimendo una profonda trasformazione all’assetto istituzionale del Paese. L’evidente catalizzazione del consenso popolare attorno alla premier Giorgia Meloni ha avviato una fase di transizione costituzionale di fatto che tende ad una premiership forte. Gli scenari sono in continua evoluzione, ma il quadro degli stress test dei protagonisti è già delineato.

Giorgia Meloni

l’evidente feeling con il presidente americano Biden, il premier inglese Sunak, la presidente della Commissione europea von der Leyen e soprattutto con papa Francesco e in generale lo straordinario impatto positivo internazionale e nazionale, stanno determinando una moltiplicazione di apprezzamenti e di voti che proiettano la premier a livelli di consensi e di riscontri d’opinione pubblica raramente registrati in Italia per esponenti politici. L’onda lunga della vittoria elettorale alle politiche e alle amministrative cela tuttavia non pochi rischi di risacca. Il rullo compressore decisionale sulle nomine, la qualità della classe dirigente, la resistenza occulta della burocrazia e soprattutto la rivalità sotterranea e l’aumento esponenziale della ”concorrenza” della Lega tendenza Salvini potrebbero innescare, se non una vera e propria crisi di governo, quanto meno un rimescolamento della maggioranza. Paradossalmente, la progressiva escalation dei successi e la caparbietà decisionale della presidente del Consiglio potrebbero provocare uno smottamento all’interno della Lega col coinvolgimento dell’ala salviniana di Forza Italia che fa riferimento a Licia Ronzulli e ad Alessandro Cattaneo.

Sempre più consistente, la nuova dimensione politica della premier attende soltanto l’eclissi di Salvini, alle prese con la sotterranea resa dei conti all’interno di via Bellerio e l’esito dell’imperscrutabile duello con l’immortalità politica di Silvio Berlusconi. Attorno alla governabilità e alla stabilità assicurata anche in campo internazionale da Giorgia Meloni si stanno saldando un vasto movimento di opinione pubblica, intellettuali, protagonisti dei settori produttivi, rappresentanti delle istituzionali e gli esponenti politici nazionali e regionali spiazzati dalla polverizzazione dei partiti originari.

Evidente sullo sfondo la lievitazione di un Meloni party più pragmatico che ideologico, a metà strada fra i repubblicani progressisti e i democratici non liberal americani, in grado secondo i sondaggisti di superare il 40% dei consensi elettorali. Un progetto di “grand’Italia” che prevede la dimensione di un’area ben più ampia dell’originaria base di Fratelli d’Italia, comprendente il contesto post berlusconiano, della Lega, dei centristi e punta a conquistare consensi soprattutto nel bacino elettorale dell’astensionismo, dei giovani e dell’opinione pubblica. È un progetto politico che oltre all’appeal di Giorgia Meloni si basa su una semplice duplice previsione: l’auspicabile fine della guerra in Ucraina e la conseguente formidabile ripresa economica globale che vedrebbe l’Italia e il suo attuale governo al centro degli equilibri euro mediterranei e della rinsaldata alleanza con gli Stati Uniti. Oppure un non affatto auspicabile avvitamento della crisi ucraina, l’inasprirsi della situazione internazionale e la necessità di un ulteriore passaggio ad una fase di governo di unità nazionale. I cerchi concentrici originati dalle elezioni del 25 settembre e delle amministrative di primavera hanno in ogni caso avviato tutta una serie di inevitabili cambiamenti e la capacità di trasformare i cambiamenti in una nuova dimensione politica che al momento soltanto Giorgia Meloni evidenzia di essere capace di compiere.

Elly Schlein e il pianeta della sinistra

Al conseguente riassetto della maggioranza, e all’eventuale rimpasto di governo, corrisponde una nuova configurazione delle opposizioni. La neo segretaria del Pd sta pagando un prezzo altissimo in termini di collasso di voti e di credibilità per il grave ritardo, i ricatti, i doppi e tripli giochi di scuola democristiana e comunista in relazione ai tempi e ai modi con cui sono state attuate e gestite le dimissioni della segreteria Letta e la successione congressuale. A meno di una svolta radicale, e per questo traumatica, il Nazareno sembra condannato alla convivenza sull’orlo della disintegrazione di due anime politiche inconciliabili, ricollegabili alla tradizione riformista della sinistra Dc e alla intransigenza post comunista, ambientalista e Lgbt con venature marxiste leniniste. A meno del tentativo di aggregare un nuovo soggetto politico in vista delle europee, la scissione del Pd equivarrebbe ad un suicidio parlamentare e determinerebbe l’emarginazione nell’ambito della stessa opposizione.

Giuseppe Conte

Oltre al Pd, il rischio di una disintegrazione per mancanza di leadership performante investe anche il Movimento 5 Stelle, che a parte qualche accordo do ut des per le nomine nomine Rai, non è finora riuscito a caratterizzare né in Parlamento quanto nel Paese l’azione di contrasto alla maggioranza di governo. Distinta e distante dai “vaffa” di Grillo e contestata dall’alla movimentista che si riconosce nella ex sindaca di Torino Chiara Appendino, la segreteria Conte viene accusata di aver cavalcato il revanscismo sul versante della contestazione dell’abolizione del reddito di cittadinanza. Un revanscismo dietro il quale – osservano gli ambienti parlamentari – c’é il vuoto politico di un movimento ormai trasformatosi in un supermarket di rivendicazioni contraddittorie: pseudo ambientalista e sostanzialmente giustificazionista della devastante invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, di ostracismo contro le infrastrutture essenziali per il Paese e di strizzate d’occhio alla pervasività di Cina e Russia.

Calenda & Renzi

La delusione maggiore la sta provocando il crollo dell’alternativa e insieme della prospettiva di poter rappresentare l’ago della bilancia, attribuita dopo le politiche del settembre scorso al terzo polo costituito da Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi.

Un terzo polo, si sperava, in grado di inglobare la galassia in frantumi del Pd, di interpretare la tumultuosa evoluzione sociale ed economica in corso e di rappresentare la necessaria alternativa democratica. Tutto crollato a causa dei contrasti personali fra due leader dotati di notevole visione politica ma sprovvisti della necessaria capacità di coerente attuazione.

Matteo Salvini e l’ineffabile ponte

Come i gasdotti ed i termovalorizzatori per i 5 Stelle, il miraggio del ponte sullo stretto sta intrappolando Salvini, legando la sua già offuscata immagine di leader non più vincente al traino di Giorgia Meloni, alla promessa che non si può mantenere di realizzare un’opera ormai mitologica, incompatibile con l’alta velocità e molto probabilmente geosi-smicamente irrealizzabile, ma soprattutto di difficile o impossibile finanziamento. Un fallimento annunciato, a campata unica.

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