Il Parlamento subisce da anni un effetto di spiazzamento per la tendenza a governare attraverso decreti legge. La situazione è resa ancor più difficile dal taglio indiscriminato del numero dei parlamentari. Il modello di fatto affermatosi nel sistema politico è quello della “capocrazia”, interpretato da Meloni e Schlein con risultati diversi. L’opinione di Luigi Tivelli
Nella vita politico istituzionale c’è una vera e propria architrave fondamentale tanto più in una forma di governo parlamentare come è (almeno per ora) quella italiana che comincia a mostrare per qualche verso un po’ di ruggine e per altro verso ad essere meno conosciuta e indagata di quanto dovrebbe: il Parlamento. Come capita in questo strano Paese, finisce che del Parlamento se ne parli solo quando scoppia un incidente significativo, come è avvenuto nei giorni scorsi quando non si è conseguita la maggioranza sul Def. Ma si tratta di aspetti di colore, del fatto che i capigruppo di maggioranza non hanno una “frusta” adeguata per mandare e mantenere in aula i deputati, dell’angolo vicino a Montecitorio dove il giovedì stazionano troppi trolley che poi i deputati devono accalappiare al volo per dirigersi verso aerei o treni verso le loro destinazioni, o poco altro.
Ad esempio non c’è stata una riflessione adeguata sull’effetto del taglio del numero dei parlamentari né sul funzionamento delle Assemblee parlamentari né sul funzionamento delle Commissioni. Né di altri aspetti di questa riforma fatta un po’ di corsa come se i parlamentari al momento di quelle votazioni fossero su una sorta di tapis roulant senza né interrogarsi a dovere sugli effetti né prevedere contromisure adeguate. Il Parlamento subisce poi, ad esempio, un effetto di spiazzamento perché questo Governo è quello che nel primo periodo considerato ha emanato più decreti legge rispetto ai governi degli ultimi dieci anni. È ormai palese che si stia affermando uno scambio perverso tra Governo e Parlamento (o parlamentari) per cui il Governo sostanzialmente legifera tramite l’emanazione dei decreti legge e il Parlamento in qualche modo crede di legiferare e amministrare.
Larga parte, infatti, delle norme e dei commi aggiunti in Parlamento nei decreti legge in sede di conversione sono norme-provvedimento o in certi casi norme-fotografia, varie delle quali indicano una attività di tipo amministrativo che dovrebbero competere ai direttori generali dei ministeri. Siamo tornati alla formula del Governo come “comitato direttivo della maggioranza”. Nulla di male di per sé in questo ma siamo di fronte ad un Governo che ha avuto l’investitura popolare tramite il Parlamento. Il problema è poi che l’opposizione sembra essere presa dal gioco di “acchiappare farfalle” essendo tra l’altro dotata di retine col buco, per cui spesso scappano anche le farfalle che si crede di riuscire a prendere. Non mi pare che il principale partito di opposizione, il Pd della Schlein, manifesti quella cultura di governo che anche una opposizione per esercitare in modo efficace il suo ruolo deve dimostrare. Certo, c’è una segreteria con più di venti componenti che non si sa per certi aspetti come siano stati pescati e non sempre si parlano molto tra loro, ma non mi pare certo che questa sia una sorta di governo ombra…
Mi sembra molto di più un’ombra stesa sul buon funzionamento del Parlamento e sul rapporto fra maggioranza e opposizione piuttosto che un governo ombra. D’altronde, il modello di fatto affermatosi nel sistema politico è quello della “capocrazia”, interpretato oggi soprattutto da due cape, ma mentre la “capa” Meloni sembra aver trovato il suo ubi consistam e non le manca la capacità di esercitare sia la premiership sia la leadership, la “capa” Schlein, invece, ha trovato il suo ubi consistam nelle piazze e nelle manifestazioni di popolo ma deve ancora trovare per sé stessa, e per il suo Pd, un ubi consistam anche nelle aule parlamentari. Questo è un problema serio per la democrazia.
La nostra Costituzione materiale per un verso funziona bene in presenza sia di un governo forte sia di un Parlamento forte e sulla base di un approccio diverso funziona bene in presenza sia di una maggioranza forte che di una opposizione forte. Non abbiamo però oggi nessuna delle due cose. Qualcuno sostiene che è in atto una sorta di “presidenzialismo di fatto” ma a me sembra che sia solo l’effetto della debilitazione del ruolo del Parlamento. Un ruolo centrale secondo la nostra Costituzione, sia quella formale sia quella materiale, con una centralità che si è manifestata in modi e formule diverse negli anni del centrismo o del centrosinistra o del pentapartito o negli anni della cosiddetta Seconda Repubblica, ma la cui centralità oggi sembra in larga parte dispersa.
Non mi pare che i costituzionalisti siano molto dediti a osservare la questione, ma spesso ho registrato che una parte consistente dei costituzionalisti sta ben attenta a non disturbare quanto avviene nel carro del vincitore e di fatto pochissimi si dedicano alla grave questione della debilitazione del ruolo del Parlamento per non correre il rischio di turbare l’equilibrio dei loro rapporti con chi incarna in questa fase il potere di governo. Una classe dirigente intellettuale seria in queste condizioni di sostanziale debilitazione del Parlamento sarebbe dedita a come ricercare vie per un recupero da parte del Parlamento di qualche forma di centralità, quale che sia la versione nei tempi che corrono di questo possibile e necessario recupero di centralità.
Abbiamo invece più che mai bisogno del risveglio (finalmente!) dei costituzionalisti e degli scienziati politici, ma anche del risveglio dell’opposizione a cominciare dalla individuazione dell’ubi consistam del Pd per una ripresa, almeno dignitosa, del ruolo che compete ad una opposizione, tanto più in una forma di governo parlamentare. Ad esempio, nessuno pone la questione del rafforzamento del potere di controllo del Parlamento, che è oggi un potere cruciale per i Parlamenti di molte democrazie: si pensi ad esempio al potere di controllo del Senato degli Usa sulle nomine pubbliche, che nel nostro Paese si sa come funzionano… Ma questo è un paese in cui si parla e si discute solo in troppi talk show e non mi pare che questi siano le sedi migliori per affrontare una questione seria come questa e non credo che i troppi figuranti o dichiarazionisti in servizio effettivo permanente da troppo tempo presenzialisti nei talk show siano i soggetti migliori per tentate di affrontare e risolvere una questione così complessa, delicata e cruciale per il funzionamento della nostra democrazia.