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La destra dà mentre la sinistra pretende. Il corsivo di Arditti

Volendo cercare una sintesi sui motivi delle evidenti vittorie di destra negli ultimi anni (dentro e fuori l’Italia) possiamo fare sintesi intorno ad un concetto tanto elementare quanto assai significativo: l’elettore ha buone chances di ottenere qualcosa se vince la destra, mentre in caso contrario ha la certezza che gli verranno avanzate richieste, più o meno onerose

Troppo facile dire che è tutta colpa di Elly Schlein. Primo perché non è vero e, secondo, perché non serve a niente.

Non è vero perché la sconfitta in questa tornata amministrativa ha caratteristiche identiche a quella delle politiche quando la segretaria non c’era: anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, la sinistra italiana non vince elezioni nazionali dal lontano 2006 (con Romano Prodi), perché poi ha sempre governato grazie ad accordi nati in Parlamento con eletti nell’altro schieramento (governo Renzi compreso).

E poi non serve a niente, perché butta addosso al leader di turno una responsabilità che è ben più diffusa ed articolata.

Volendo però cercare una sintesi sui motivi delle evidenti vittorie di destra negli ultimi anni (dentro e fuori l’Italia) possiamo fare sintesi intorno ad un concetto tanto elementare quanto assai significativo proprio in termini elettorali, che vorrei riassumere così: l’elettore ha buone chances di ottenere qualcosa se vince la destra, mentre in caso contrario ha la certezza che gli verranno avanzate richieste, più o meno onerose.

Facciamo degli esempi, così ci capiamo. Partiamo dai complessi temi dell’immigrazione, che però tanto pesano al momento del voto. La destra dice: diamoci una regolata, così non si può andare avanti. La sinistra risponde: solidarietà ed accoglienza, perché è un dovere. Vista in un dotto convegno si può mettere a dibattito tra le due posizioni, ma vista da un condominio di periferia di una qualunque città d’Italia non c’è partita: la sinistra pretende un atteggiamento di apertura che costa emotivamente e (spesso) economicamente, la destra semplifica e scommette su ansie e paure (non immotivate in molti casi) con effetti ovvi sul piano elettorale.

Guardiamo alla sicurezza. La destra prova dire serve più rigore e più forza dello Stato. La sinistra si perde in mille distinguo e cautele verbali, che saranno pur nobili ma certamente incomprensibili ai più. Andiamo alle tasse, tema sensibilissimo. A destra c’è voglia di abbassarle e di rendere più facile la vita a chi è in debito con lo Stato. A sinistra si punta sui soldi che servono per fornire buoni servizi, bollando sempre le proposte degli altri come favore agli evasori o giù di lì.

Potremmo continuare a lungo, ad esempio parlando di diritti civili. Vissuti a sinistra come un “mantra” in perenne agitazione, con l’effetto di sconcertare spesso una mentalità che sarà pure un po’ obsoleta e tradizionalista, ma che non è certamente “fascista” o retrograda. È semplicemente quello che è sempre stata, l’idea della vita “piccolo-borghese” che non piacerà ai registi che vanno a Cannes ma non per questo è un canestro di orrori.

Si dirà: la sinistra garantisce buona amministrazione a livello locale. Tutto sommato vero, ma oggi il tema non fa più la differenza, perché anche i partiti di destra sono ricchi di bravi amministratori, spesso in sintonia forte con i propri elettori.

La sinistra europea (ed anche italiana) è oggi potabile da chi na ha niente da chiedere o da sperare, è un voto di pura appartenenza disinteressata. Non a caso vince sull’asse Milano-Padova (Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza) come giustamente fa notare il sindaco di Bergamo Giorgio Gori.

Cioè la zona più ricca d’Italia, dove i bisogni, pur presenti, riguardano una quota relativa della popolazione.

Gli altri, tutti o quasi, guardano a destra.

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