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Ci serve una svolta sulla dipendenza tecnologica dalla Cina. Il commento di Mayer

Se si eccettua un ristretto numero di decisioni del presidente Mario Draghi in questi anni non è stato fatto molto per ridurre l’evidente eccesso di dipendenza tecnologica dell’Italia dalla Cina, soprattutto nelle reti di telecomunicazioni, in quelle energetiche e nell’universo digitale. Ora è il momento giusto per agire

Su Formiche Andrea Manciulli ed Enrico Casini hanno delineato in modo chiaro la crescente rivalità strategica che si delinea tra la comunità euroatlantica e la Cina. Proprio ieri, il 1° maggio, l’emittente americana CNBC ha dedicato a questa competizione una delle sue trasmissioni accendendo i riflettori sul ruolo che l’Italia sarà chiamata a svolgere in questa grande sfida geopolitica e di valori. La tv statunitense ipotizza che il governo di Giorgia Meloni si opporrà al rinnovo del memorandum per la Via della Seta fortemente voluto nel 2019 da Giuseppe Conte e dal suo governo gialloverde. Per il presidente del Consiglio non sarà una scelta facile: Pechino ha già dato istruzioni al suo ambasciatore a Roma per mettere in atto le opportune contromisure.

Vedremo se Meloni riuscirà a tradurre in pratica le sue intenzioni. In ogni caso, al di là dell’esito del memorandum l’Italia deve muoversi subito per adeguare le politiche pubbliche alle sfide che si delineano nel prossimo futuro in coerenza con scelte strategiche dell’Alleanza Atlantica che nel campo della sicurezza tecnologica coincidono con i nostri interessi nazionali.

Sotto questo profilo segnalo la grande rilevanza e vastità della dimensione duale che costituisce la minaccia più sfuggente e proprio per questo forse la più difficile da prevenire e contrastare con efficacia. Sono, infatti, moltissimi i segmenti industriali, i servizi e le attività gestionali su cui è impossibile tracciare un confine netto tra uso civile, sicurezza pubblica e difesa. Nell’ultimo decennio l’Italia ha importato dalla Cina torri, antenne, gru per i porti, cavi di rete, router, apparati di video sorveglianza, servizi cloud, tecnologie e servizi per il 5G, componentistica per 3D, smartphone, tablet, monopattini “intelligenti” e altri vettori per smart city, e chi più ne ha più ne metta, per decine di miliardi di euro.

Aziende come Hickvision, Huawei, WindTre, Lenovo, Dauha, Zte, Alipay, Alibaba Cloud, eccetera controllano quote significative nei rispettivi comparti di competenza. E dal 2014 (governo Renzi) il colosso statale dell’energia State Grid Corporation of China, tramite la sussidiaria State Grid Europe Limited, detiene una partecipazione del 35% in CDP Reti, azionista di controllo delle principali società di reti infrastrutturali italiane (Snam, Italgas, Terna), cioè in settori chiave delle nostre infrastrutture critiche sia per gli usi civili e sia per la dimensione militare.

Se si eccettua un ristretto numero di decisioni del presidente Mario Draghi in questi anni non è stato fatto molto per ridurre l’evidente eccesso di dipendenza tecnologica dell’Italia dalla Cina, soprattutto nelle reti di telecomunicazioni, in quelle energetiche e nell’universo digitale. Ora è il momento giusto per agire. Per inciso, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha dichiarato di voler estendere il riconoscimento facciale alle stazioni ferroviarie. Non so se il provvedimento è costituzionale. Ma sarebbe davvero un paradosso se il governo dei “confini sigillati” e del “blocco navale” si avvalesse di flussi informativi e data center a cui il governo di Pechino può accedere quando e come vuole.

Una particolare attenzione deve essere dedicata alla Consip e a tutte le stazioni pubbliche appaltanti (Pnrr compreso). Qualora i fondi di Next Generation EU finissero direttamente e/o indirettamente ad aziende cinesi sarebbe un vero e proprio smacco. Nelle forniture pubbliche e nelle gare di appalto il diavolo è nei dettagli, come dimostra una nota gara per la videosorveglianza. L’importante protocollo d’intesa firmato tra il ministero dell’Economia e la Guardia di Finanza è uno degli strumenti che può facilitare questo genere di monitoraggio soprattutto nel delicato campo delle subforniture e nelle cessioni di know how dove frodi, corruzioni e conflitti di interesse sono più frequenti

Oggi a Bari si apre Italsec, la più importante conferenza accademica annuale in materia di cybersecurity. Tra gli sponsor ci sono Huawei e Zte. Niente di male, perché la libertà accademica e le autonome scelte delle università sono valori costituzionali di fondamentale importanza ogni Paese democratico. Non sarebbe male però se chi interverrà in rappresentanza del governo approfitti di questa autorevole sede scientifica per esporre con puntualità la linea del governo su questa importante materia.

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