La libertà, evidentemente, al pari del senso del ridicolo, non è in cima ai pensieri dell’Ordine dei giornalisti. Ma l’Ordine dei giornalisti era in cima ai pensieri di Luigi Einaudi. Il quale, in un celebre saggio pubblicato nel 1945 su Risorgimento liberale, così liquidò la questione: “Albi di giornalisti! Idea da pedanti, da falsi professori, da giornalisti mancati, da gente vogliosa di impedire altrui di pensare colla propria testa”. Nulla da aggiungere. L’opinione di Andrea Cangini
Tira una brutta aria per chi crede nella libertà di opinione e nel senso di responsabilità personale di chi fa informazione. Il caso Porro è solo l’ultimo della serie. Prima c’è stato il caso Cairo. Ovvero il fatto che l’editore de La7 dovrà rispondere alla magistratura della decisione di chiudere la trasmissione di Massimo Giletti. Una scelta imprenditoriale dovuta ai costi esorbitanti e ai ricavi insufficienti? No, un favore alla mafia. Questo è il sospetto. Le indagini sono in corso, la libertà di impresa resterà di conseguenza appesa a un filo fino al giorno in cui, com’è evidente, un provvedimento di archiviazione non chiuderà lo spericolato caso.
È poi scoppiato il caso Natangelo. Il caso è noto. Mario Natangelo ha pubblicato sul Fatto quotidiano una vignetta che ritrae la sorella di Giorgia Meloni, Arianna, a letto non col marito, il ministro meloniano Francesco Lollobrigida, ma con un extracomunitario. “Sostituzione etnica”, erano le parole chiave, a riecheggiava la recente uscita, con relativa scivolata, del cognato più famoso d’Italia. Vignetta di cattivo gusto, certo, ma da qui a deferire Natangelo al Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti con l’accusa di “sessismo” davvero ne corre.
Stemperata la polemica, si è saputo che, contraddicendo una propria sentenza del 2018, la Corte di Cassazione ha stabilito che fare il saluto romano è reato. Non occorre avere simpatia per i neofascisti per accorgersi di quanto tale sentenza, per quanto intrecciata alle molteplici interpretazioni della legge Mancino, confligga con l’articolo 21 della Costituzione. Quello che, appunto, sancisce “il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero”. Diritto che va ovviamente tutelato indipendentemente dal pensiero in questione.
E veniamo così al caso Porro. Caso, in sé, grottesco. Il conduttore di Mediaset è stato deferito al Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti per aver intervistato un viceministro degli Esteri ucraino “senza alcun rappresentate della parte avversa”. Serviva un russo, evidentemente. Come dire, ha celiato Mattia Feltri sulla Stampa di oggi, che se intervisti in Tv la Segre devi obbligatoriamente invitare anche un nazista.
È chiaro che, su queste basi, sarebbe difficile tenere il conto dei talk show che andrebbero sanzionati per amor di deontologia professionale. È altrettanto chiaro che tutto finirà a tarallucci e vino. Ma intanto, e non era un atto dovuto, la macchina disciplinare del glorioso Ordine dei giornalisti si è messa in moto ed è partita in quarta per la vanità di chi la guida.
La libertà, evidentemente, al pari del senso del ridicolo, non è in cima ai pensieri dell’Ordine dei giornalisti. Ma l’Ordine dei giornalisti era in cima ai pensieri di Luigi Einaudi. Il quale, in un celebre saggio pubblicato nel 1945 su Risorgimento liberale, così liquidò la questione: “Albi di giornalisti! Idea da pedanti, da falsi professori, da giornalisti mancati, da gente vogliosa di impedire altrui di pensare colla propria testa”. Nulla da aggiungere.