Dopo la nomina della suora Nathalie Becquart, prima donna sottosegretario alla Segreteria generale, l’organismo consultivo del Vaticano, il Sinodo, avrà cinque suore e trentacinque laiche. Tutte con diritto di voto. Religiose, teologhe, accademiche esultano. Ecco perché nella riflessione di Elvira Frojo
È “rosa” anche il Sinodo dei vescovi. Continua l’affermazione del genere femminile per papa Francesco che crede nella forza della “rivoluzione” spirituale e materiale delle donne.
Un cambiamento epocale in Vaticano. La più coriacea istituzione governata dagli uomini apre, ora, il Sinodo al voto femminile. Dopo la nomina della suora Nathalie Becquart, prima donna Sottosegretario alla Segreteria generale (“Non sono qui per me, vivo tutto questo con semplicità ma con un grande senso della Storia”), l’organismo consultivo avrà, infatti, cinque suore e trentacinque laiche. Tutte con diritto di voto. Religiose, teologhe, accademiche esultano.
Affidare alle donne maggiori responsabilità significa far funzionare meglio le cose. Parola di papa Bergoglio. Perché “la donna ha la capacità di avere tre linguaggi insieme: quello della mente, del cuore e delle mani. E pensa quello che sente, sente quello che pensa e fa, fa quello che sente e pensa”, ha detto il pontefice incontrando la redazione di “Donne Chiesa Mondo” dell’Osservatore Romano.
Una svolta in un periodo in cui, per la prima volta dal 1993, in Italia, la componente religiosa regolarmente praticante tra le donne è inferiore a quella praticante (secondo l’Istat, si registra una decrescita trasversale di circa un quinto negli ultimi venti anni). Un fenomeno che, come rilevato da Linda Laura Sabbadini, potrebbe avere conseguenze sul modo di vivere, di pensare e di interpretare l’esistenza.
Anche nella società civile si guarda al futuro riconoscendo sempre più il merito e il valore femminile. A prescindere da “quote rosa”, le donne al vertice di istituzioni pubbliche e private hanno rotto il “soffitto di cristallo” in vari settori. Traguardi spesso considerati, tuttavia, un’eccezione individuale.
E le donne del passato affascinano, continuando a indicare prospettive e ideali. Nella top ten televisiva, la figura di Tina Anselmi ha fornito al pubblico, nei giorni scorsi, contenuti emozionanti sul coraggio, la forza e il ruolo delle donne nella lotta alla discriminazione. In una vita nutrita da impegno e determinazione ma anche da amore e entusiasmo.
Fiere testimoni di conquiste e traguardi, sono, ancora, le donne dai capelli bianchi dei nostri giorni a svelare orizzonti di speranza, anche per i giovani, in una società disorientata da continue incertezze.
È il messaggio di fiducia delle ultranovantenni Liliana Segre e Edith Bruck, sopravvissute alla tragedia dei lager, come della ex partigiana, staffetta, informatrice e, prima donna paracadutista militare, quasi centenaria Paola Del Din. Mentre Amalia Ercoli Finzi, classe 1937, la “signora delle comete”, prima donna, in Italia, laureata in ingegneria aeronautica, professore onorario al Politecnico di Milano, attiva per le pari opportunità, spiega che il modello empatico che accetta anche la fragilità è la chiave del successo aziendale.
A ben sedici donne del passato che l’hanno preceduta nel percorso di emancipazione si è rivolta la premier Giorgia Meloni nel suo discorso di insediamento da presidente del Consiglio dei ministri, prima donna a ricoprire l’incarico.
In contesti maschili, le donne hanno saputo ascoltare e ascoltano il richiamo della mente e del cuore per tracciare nuove strade. Le donne megafono di salvezza e mediatrici di pace.
Ma non mancano gli uomini, ancora una volta dalla lunga vita, a rappresentare riferimenti e visioni. L’ultracentenario filosofo Edgar Morin, già anti-nazista attivista della Resistenza francese, autorità morale e intellettuale riconosciuta nel mondo, spiega ai nostri giorni la complessità globale indagando su una realtà interconnessa in cui è necessario prendere coscienza di errori e illusioni della condizione umana. “Svegliamoci!” è il monito di Morin per essere “restauratori della speranza”, in un periodo in cui “siamo al cuore della crisi e la crisi è nel cuore dell’umanità”.
“Dove c’è odio fa’ che io porti amore, dove ci sono le tenebre fa’ che io porti la luce”, ricorda San Francesco. E sempre papa Bergoglio: “Le donne sono brave, sanno creare cammini nuovi, sanno dare. Sono coraggiose. Sono seminatrici di speranza”.
Le donne ai più alti vertici di istituzioni pubbliche e private, oggi, sono determinate ad affermare competenza e capacità professionali senza dimenticare i valori “femminili”. Empatia e umiltà, dialogo e ascolto sono il loro credo.
Mettono d’accordo la dimensione affettiva, sociale e professionale e puntano a trasformare l’ostilità di un mondo, spesso, conflittuale e ostile per l’universo femminile.
La loro sfida non è essere “riconosciute” ma essere quello che “semplicemente” sono. Un’autodeterminazione che significa sfuggire a confronti, attese troppo serrate anche con la bellezza e gli anni che passano, secondo canoni imposti da altri.
Secondo un’indagine di AstraRicerche per l’Osservatorio Sòno, quasi un terzo delle donne italiane tra i 18 e 75 anni si dichiara infelice, circa il 60% più degli uomini che, invece, dicono di esserlo per il 18%. Ma sarà poi vero?
Sentirsi stimate, valorizzate, poter raggiungere i propri obiettivi è il passaporto femminile per la felicità. E cosa manca, oggi, alle donne anche in ruoli di successo?
Mentre la filosofia ci aiuta a capire il senso del nostro tempo, uscire dall’oscurità vuol dire, forse, recuperare quella forza alimentata, nelle donne del passato, dal desiderio di un’indipendenza interiore che significa dignità della specificità femminile e “diritto” alla felicità. Anche attraverso maggiore amicizia e solidarietà tra le donne. Aiutando, sostenendo, accogliendo senza giudicare e rivedendo aspettative troppo elevate verso un idealizzato modello maschile.
E mentre è una donna, la direttrice della rivista online del Washington Post, ad evidenziare la crisi dei social e il ritorno al passato nella qualità dell’informazione, l’Università di Pisa fa ricorso alla realtà virtuale per spiegare agli uomini cosa prova una donna molestata. Un progetto (“Engine”) denuncia un sessismo dalle varie forme, persino in ambito accademico o in apparenza benevolo, che racconta i disagi e le violenze subìte dalle donne a partire da sguardi, comportamenti, parole.
Contro una cultura discriminatoria è, ora, persino Barbie, la bambola della seduzione. Dopo i modelli della Mattel per categorie più fragili, in un film di Greta Gerwig in uscita nei prossimi mesi, la bambola è decisa a rompere gli steccati infrangendo ogni forma di stereotipo. La protagonista, giudicata non perfetta, abbandona, infatti, il mondo delle bambole per scoprire, in quello reale, che la perfezione si trova solo in se stessa. Riuscirà, finalmente, ad abbattere l’intramontabile “cultura” che ha ispirato stilisti del rosa shocking integrale, amato da donne comuni e da star sin dagli anni ’50?
Forse, è proprio il tempo giusto per spezzare condizionamenti e stereotipi. Le voci femminili, unite tra passato e presente, possono segnare il passo per una ridefinizione antropologica, intellettuale e interiore capace di risvegliare ideali e realizzare progetti e azioni condivise.
Le donne del passato insegnano che questo è possibile. Le loro vittorie sono la speranza della società, non solo per le donne. Per un mondo che è già un futuro migliore.