Conversazione con l’economista e direttore della Fondazione Edison, Marco Fortis. La Germania ora è in recessione perché per anni ha fatto la cicala, non capendo fino in fondo che la crisi della sua industria era cominciata prima del Covid. L’Italia ha azzeccato alcune scelte e ha saputo rimettere il made in Italy al centro. Il Pnrr? Quello che conta è realizzarlo
Fa sempre una certa impressione quando si associa la parola recessione alla Germania. Specialmente se chi è sempre stato considerato un problema per la salute e la stabilità dell’Europa, quell’Italia che non faceva mai i compiti a casa, sorpassa a sinistra. L’economia della Germania è scivolata in recessione durante l’inverno, con il Prodotto interno lordo in calo dello 0,3% nei primi tre mesi dell’anno rispetto al trimestre precedente. E questo dopo che la crescita era già caduta in territorio negativo alla fine del 2022.
Gli economisti parlano di recessione tecnica. Ciò non significa, tuttavia, che l’intero anno sia negativo. Grazie soprattutto a un inverno mite in Germania, non si sono verificati gli scenari peggiori, come una carenza di gas, che avrebbe lasciato profonde cicatrici sull’economia. Di contro, l’Italia ha macinato crescita, toccando lo 0,5% nel primo trimestre, anche grazie al passo decisamente svelto, dell’industria. Ce ne è abbastanza per farsi una domanda: che succede? Formiche.net lo ha chiesto a Marco Fortis, economista della Cattolica di Milano e direttore della Fondazione Edison.
“La Germania sta attraversando un periodo difficili, il Pil del primo trimestre del 2023 oggi è ancora inferiore a quello del quarto trimestre del 2019. Questo la dice lunga su una crisi del sistema tedesco, una volta vero motore dell’Europa. Berlino è ancora sotto i livelli pre-pandemia, l’Italia sopra”, mette subito in chiaro Fortis. “Ricordiamoci sempre i problemi dell’industria automobilistica prima del Covid, con la concorrenza cinese e il dieselgate. Molte produzioni tedesche di qualità, si sono dovute fermare, innescando un blocco generalizzato della produzione. Insomma, è un momento lungo, una crisi che viene da lontano. Berlino da locomotiva è diventata l’anello debole, anche vittima della sua stessa austerità, predicata per anni. Perché la gente a un certo punto ha smesso di comprare e dunque di consumare”.
Poi c’è il riscatto italiano. E anche qui Fortis mette a fuoco. “Se in questi anni la Germania si è cullata su rendite e allori, facendo la cicala e beneficiando anche di buoni tassi di cambio che hanno consentito a Berlino di esportare dove voleva, l’Italia batosta dopo batosta alla fine è uscita fuori, cominciando a fare delle riforme, a cominciare da Industria 4.0, che ha permesso alle nostre imprese di investire tantissimo. E poi abbiamo preso le misure con la Cina, cominciando a spingere forte sul made in Italy. Dal punto di vista del Pil, l’Italia ha creato maggiore valore aggiunto rispetto alla Germania, riuscendo a guarire la sua manifattura”, spiega ancora Fortis.
“Un altro punto di forza è stata la mancata delocalizzazione. Mentre tutti andavano a produrre in Cina, noi abbiamo continuato a farlo qui e quando la Cina si è bloccata, l’Italia ha potuto esportare quando gli altri non lo potevano più fare. Insomma, una serie di decisioni e di manovre, ha creato i presupposti perché Roma sorpassasse Berlino e persino la Francia”.
Certo, c’è un Pnrr su cui occorrerebbe fare dei ritocchi. Ma volerci rimettere le mani potrebbe essere controproducente. “Le posizioni sono ancora poco chiare, è difficile negoziare con l’Ue un cambiamento radicale del Pnrr. Il problema vero è realizzare il Piano, rimboccarsi le maniche e non lamentarci. Alcuni capitoli si possono cambiare, certo, ma nella sostanza la bontà degli investimenti rimangono. Ora serve la spinta delle stazioni appaltanti, delle grandi aziende, ogni euro di Pil che portiamo a casa non può che farci bene”.