Presentato il nuovo libro di Enrico Casini e Andrea Manciulli, “La guerra tiepida. Il conflitto ucraino e il futuro dei rapporti tra Russia e Occidente”, un volume che analizza le cause e i possibili scenari dello scontro tra democrazie e autocrazie in un mondo sempre più complesso e fragile
Gli strumenti della deterrenza e dell’equilibrio non bastano più. Lo scenario internazionale è caratterizzato contemporaneamente dalla competizione globale “fredda” tra potenze e da conflitti “caldi”. È la guerra tiepida, teorizzata nel nuovo libro chiamato appunto “La guerra tiepida. Il conflitto ucraino e il futuro dei rapporti tra Russia e Occidente”, di Enrico Casini e Andrea Manciulli (edito dalla Luiss University Press), presentato ieri alla sede dell’ateneo con la moderazione di Flavia Giacobbe, direttore delle riviste Airpress e Formiche. Questo nuovo tipo di confronto “intermedio tra lo scontro militare e l’equilibrio della tensione”, come lo ha definito il direttore generale dell’Università Luiss Guido Carli, Giovanni Lo Storto, richiede “l’analisi di specialisti che possano ipotizzare come sarà il monto dei prossimi anni, con una Europa nel vortice della Storia”. Per la vice presidente della Luiss, Paola Severino, il libro “analizza le premesse e il contesto di questa guerra tiepida” attraverso una “metodologia seria con diversi studiosi che analizzano i fenomeni”.
La Guerra tiepida
Alla base del libro, per Enrico Casini c’è “la volontà di fare chiarezza nel caos in cui siamo stati immersi, dove si confondevano invasi e invasori e non si distinguevano le origini del conflitto”. Per questo scopo il volume è diviso in due parti, una dedicata alle radici storiche, dal rapporto tra Mosca e Kiev dopo la dissoluzione dell’Urss, alla svolta impressa alla politica russa da Putin. La seconda parte è invece dedicata a una riflessione sulle possibili conseguenze. Sul titolo “Guerra tiepida” è intervenuto anche Andrea Manciulli, che ha spiegato come si tratti di un “termine per il futuro”. “Non stiamo assistendo solo alla guerra in Ucraina, ma siamo in una fase della storia di discrimine geopolitico”. Dopo la fine della guerra fredda, per l’autore, ci si è illusi che la democrazia avesse vinto; invece, “è stata coltivata con attenzione scientifica la disgregazione dei valori dell’Occidente”. Le sfide del resto sono tante, oltre quella ucraina a est, c’è l’Artico, ormai navigabile, e le fragilità dell’Africa. “L’Europa è circondata” ha detto Manciulli e si trova “in una nuova fase della storia in cui non c’è più solo l’equilibrio del freddo, ma ci sono tanti conflitti, importanti sia per la geopolitica che per la nostra vita quotidiana.
Lo scontro tra democrazia e autocrazia
Per la Difesa italiana è evidente che questa guerra abbia superato i confini europei, e si sia spostata in tutto il mondo e, più vicino a noi, nel Mediterraneo. A dirlo è stato il ministro della Difesa, Guido Crosetto. Quello che serve, dunque, è che la politica “assuma uno sguardo più che decennale”. Il problema, ha sottolineato il ministro, è che “l’Europa per troppo tempo ha assunto un approccio burocratico, ma manca una volontà politica complessiva, cosa che hanno invece singolarmente i Paesi del Vecchio continente”. La domanda che si è posto il ministro, infatti, è “come si comporterebbe l’Unione se gli Usa ritirassero il proprio sostegno all’Ucraina?”. La complessa risposta è che se per alcuni non cambierebbe nulla, per altri invece sì. “È un momento in cui si scontrano due modelli, le democrazie e le autocrazie; il problema è che le democrazie sono più lente nelle decisioni, che possono sempre cambiare, e hanno catene di comando più lente”. Inoltre, il modello democratico, ha sottolineato Crosetto, prevale nella parte agiata del mondo, “incapace di avere la stessa voglia di combattere di chi vive nella parte povera”. Ci troviamo nella condizione di dover difendere “il modello di società dove si sta meglio, ma che sconta delle debolezze quando si scontra con le autocrazie”.
Un cambio culturale
Uno scontro che si combatte anche sul piano della comunicazione. “La Russia ha dimostrato di avere una StratCom più avanzata di noi; noi parliamo di pace o guerra, mentre dovremmo parlare di resa o resistenza, repressione o libertà. Noi stessi siamo stati contaminati”. “Come ho detto al Copasir – ha raccontato ancora Crosetto – la guerra finirà quando chi sta bombardando smetterà di farlo”. Per il ministro “la guerra è una cosa brutta, ma purtroppo l’unico modo per allontanarla è combattere chi vuole la guerra”. Quello che serve, dunque, è uno sforzo dell’intera classe dirigente per cercare di capire cosa potrà succedere tra vent’anni, “individuando i passi da fare per cambiare la cultura del nostro Paese ed europea, togliendo la sedimentazione di decenni per cui ci faceva schifo quello di cui avevamo bisogno”. Per Crosetto, “riscoprire questo percorso è l’unico per assicurare un futuro incarnato dalle democrazie”.
Destabilizzazione globale
Per il presidente della Fondazione MedOr, Marco Minniti, “non solo è una guerra tiepida, ma sarà anche una guerra lunga”. Il punto è che non può esserci pace “fondata sulla pace di un popolo, e chi lo chiede non sa di cosa parla”. Per Minniti, la guerra si combatte su due fronti, il primo materiale, sui campi di battaglia ucraini, “poi c’è una guerra asimmetrica, fatta di molte cose, dall’energia, al cyber”. L’obiettivo, spiega ancora il presidente di MedOr, è la destabilizzazione del mondo “che ha un epicentro: il Mediterraneo”. Per Minniti, infatti, l’obiettivo delle autocrazie è creare “tali e tante tensioni che sfaldano i legami e colpiscono lo schieramento occidentale” e l’elemento oggi più preoccupante è la conduzione di questa guerra asimmetrica in Africa. “Non c’è una grande regia strategica dietro, ma ci sono eventi e fatti che fanno comodo a Mosca e Pechino”.
Serve un’analisi approfondita
Come ha registrato il direttore generale dell’Agenzia industrie difesa, Nicola Latorre, “c’è stata superficialità nel valutare la strategia di Putin alla conferenza di Monaco nel 2007, in Georgia nel 2008, e poi in Crimea nel 2014”. Una superficialità dettata dal prevalere degli interessi economici invece che geopolitici. “La storia non si fa con i se – ha continuato il direttore generale – ma bisogna fare tesoro delle esperienze”, e non è la prima volta che succede all’Europa di sbagliare valutazioni, come successo con le Primavere arabe. L’obiettivo dell’analisi, allora, deve essere sviluppare un “margine di prevedibilità nella complessità di una partita enorme come quella che si sta giocando per ridefinire gli equilibri mondiali”.
Lo scontro sull’informazione
Il tentativo di destabilizzazione non si limita agli scenari esteri, ma accade anche nelle nostre società. “Nel nostro Paese il fenomeno della disinformazione ha due facce” ha spiegato la giornalista Monica Maggioni, “da una parte c’è chi decide di usare le informazioni per portare avanti un proprio credo ideologico, dall’altro c’è invece un deficit di consapevolezza”. Il punto, è che la guerra si combatte a Kiev e dentro le case di ognuno di noi: “si scontrano due visioni del mondo, progetti diversi sugli equilibri del globo”. Il problema è che negli Stati totalitari, in cui l’informazione è controllatissima, e i media tradizionali sono sotto scrutinio estremo da parte dello Stato, si è costruito un sistema di disinformazione sistematica a uso del nemico tra i più avanzati al mondo”.