Incontrare il leader militare di Bengasi, Khalifa Haftar, rientra nella prassi comune degli affari libici. Tuttavia c’è una grammatica per certi meeting, e averlo ospitato per due ore a Palazzo Chigi può aprire a dei rischi, spiegano tre analisti esperti di Libia
Il capo miliziano di Bengasi, Khalifa Haftar, è stato in Italia per incontri con il governo durante i quali è stato trattato il tema immigrazione, quello della ricerca della stabilizzazione politica in Libia e della crisi armata in Sudan.
Haftar ha avuto due ore di colloquio con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Palazzo Chigi questa mattina e prima con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, nel tardo pomeriggio di mercoledì. La premier era stata a Tripoli il 28 gennaio, accompagnata dai ministri Tajani e Matteo Piantedosi, ma in quel suo primo collegamento con le autorità libiche aveva saltato Haftar. Ora il leader di Bengasi viene inviato anche perché si è riaccesa la questione dell’immigrazione, argomento caro al governo Meloni — sia per ragioni di carattere securitario, sia per ragioni di contatto con il proprio elettorato.
Focus immigrazione
Il Paese è da anni il principale rubinetto per le migrazioni che partono dall’Africa subsahariana e arrivano in Italia attraverso il Mediterraneo. Nei nuovi dati del Viminale — riportati da Agenzia Nova — la Libia è il secondo Paese di partenza dopo la Tunisia, per quanto riguarda gli arrivi di migranti via mare in Italia. Sono stati 16.637 gli arrivi al 2 maggio (dall’inizio dell’anno), in aumento del 166% rispetto ai 6.237 sbarcati nello stesso periodo del 2022. Più della metà dei nuovi arrivi, circa 10 mila, è partito dalla Cirenaica.
Il traffico di migranti attraverso l’Est della Libia è orchestrato da Saddam Haftar, figlio di Khalifa, e da gruppi a lui collegati nell’area tra Tobruk e Bengasi. La presenza haftariana nel traffico di migranti non è nuova, ma adesso le reti orientali hanno stabilito i propri punti di partenza attraverso la Cirenaica e non spostano più i traffici verso Occidente. Se da un lato i viaggi sono più pericolosi per chi affronta il mare, dall’altro sono più redditizi per il network criminale della Libia orientale.
A marzo, il ministro della Difesa Guido Crosetto aveva alzato l’attenzione riguardo alla situazione, accusando il Wagner Group russo di aver innescato una guerra ibrida contro l’Italia. “Mi sembra che ormai si possa affermare che l’aumento esponenziale del fenomeno migratorio che parte dalle coste africane sia anche, in misura non indifferente, parte di una strategia chiara di guerra ibrida che la divisione Wagner, mercenari al soldo della Russia, sta attuando, utilizzando il suo peso rilevante in alcuni Paesi africani”, aveva dichiarato il ministro.
Haftar e le divisioni libiche
Il ruolo di Haftar all’interno delle dinamiche libiche è stato a lungo problematico. “Il generale”, così si fa chiamare utilizzando un grado acquisito ai tempi in cui era un ufficiale gheddafiano (poi fuggito perché non più tra le grazie del rais), è stato protagonista di una stagione di conflitto che ha segnato l’ultimo decennio nel Paese.
La Libia da anni è avviluppata in un’instabilità interna prodotta dalla presenza di un contesto politico (e militare) totalmente diviso tra Est e Ovest. Divisioni create da posizioni ideologiche, dalla competizione per la spartizione degli interessi interni (molti quelli connessi al mondo degli idrocarburi) e da un ruolo giocato nel Paese da attori esterni. Haftar è ed è stato protagonista di queste divisioni e figura centrale nello spingerle verso una deriva violenta.
Ossia nel creare una condizione di impasse, anche con l’uso delle armi, che ha bloccato i vari processi di stabilizzazioni lanciati dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea – processi in cui l’Italia ha sempre avuto un ruolo centrale. La sua milizia ha inoltre ricevuto assistenza operativa dalla Wagner. Anche per questo, Haftar è stato sempre mantenuto tra gli interlocutori, seppure con un occhio critico, sia dall’Italia che da diversi degli altri Paesi attivi sul dossier libico. Per esempio, nel recente viaggio in Libia (e poi in Egitto) il direttore della Cia, William Burns, potrebbe aver avuto un colloquio con il leader di Bengasi. Colloquio focalizzato essenzialmente sul ruolo della Wagner: gli Stati Uniti vorrebbero che Haftar si sganciasse dai collegamenti con la società militare privata che il Cremlino usa per il lavoro sporco. Molte delle intelligence occidentali e regionali intrattengono regolarmente colloqui con il capo miliziano.
I rischi della visita a Roma
“Il contesto dell’incontro odierno è rischioso, perché potrebbe aprire a un’ulteriore sdoganamento del ruolo di Haftar, figura discutibile”, spiega Giuseppe Dentice, direttore del Mena Desk del Cesi. “Val la pena ricordare infatti che l’unica volta che fu ospitato a Palazzo Chigi, anche in quel caso con una scelta discutibile, l’Italia stava preparando la Conferenza di Berlino per la stabilizzazione libica. Ora siamo in condizioni molto diverse, infatti il processo onusiano vive una fase di riconsiderazioni e ricostruzione. In questo senso, l’incontro odierno però non sembra essere un tentativo di intestarsi la questione libica: piuttosto appare come un modo per ingaggiare una delle parti e affrontare uno dei temi indiretti del conflitto, come dimostra il porre grande attenzione al focus migrazioni”. In altre parole — spiega Dentice — “non stiamo affrontando un dossier internazionale, ma guardiamo a privilegiare un aspetto della questione all’interno del nostro interesse nazionale”.
“Con Haftar non c’è dubbio che occorra farci i conti, lo sappiamo da tempo”, spiega Karim Mezran, senior fellow del Rafik Hariri Center for the Middle East dell’Atlantic Council. “È chiaro che essendo un attore libico sia necessario trattare anche con lui. Però dargli tutta questa attenzione nuoce al profilo dell’Italia. Roma si è costruita un ruolo di Paese difensore delle istituzioni legittime e del processo per una istituzionalizzazione pluralista in Libia: stante ciò, il rischio è aver concesso un’esposizione eccessiva con l’invito di Haftar”.
“È comprensibile essere molto preoccupati della crescita dei flussi migratori dalla Cirenaica, area sotto il controllo del generale, tuttavia se si decide di accoglierlo come rappresentante politico ciò che lui chiederà in cambio sarà qualcosa di politico”, aggiunge Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma dell’Ecfr, secondo cui questo alla lunga contribuisce a scompensare l’opera di mediazione delle Nazioni Unite e la linea politica tenuta finora dall’Italia. “La famosa weaponization non avrà probabilmente risvolti economici, o non solamente, ossia una richiesta di fondi per combattere il traffico, ma anche risvolti politici. Un’ulteriore presa di potere e condizionamento del generale sul Paese. Il reiterarsi di un ricatto politico, appunto”.
Secondo alcune informazioni raccolte da Formiche.net, in questi giorni era atteso a Roma Khaled al Mishri, presidente dell’Alto consiglio di Stato, organo consultivo con sede a Tripoli, e leader del Partito di Giustizia e Sviluppo — formazione di orientamento islamista. È possibile che Mishri, che ha posizioni politiche contro cui Haftar ha combattuto, abbia rinviato la visita dopo aver saputo della coincidenza dell’arrivo del leader dell’Est libico.