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Henry Kissinger, un secolo da protagonista. Il ritratto di D’Anna

Sono molte e di grande rilevanza le impronte storiche che il più longevo stratega di politica internazionale ha lasciato e continua a lasciare nell’ambito della geopolitica mondiale. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Cento anni da stratega, protagonista dei più delicati equilibri internazionali della politica americana, Consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato fra il 1969 ed il 1977 durante le presidenze Nixon e Ford, vincitore del Premio Nobel per la Pace del 1973, Henry Kissinger ha dimostrato durante tutta la sua storica e tutt’ora in corso partecipazione all’elaborazione della politica estera degli Stati Uniti che il potere – come sosteneva Martin Luther King – “é la capacità di raggiungere degli scopi e di effettuare dei cambiamenti”.

Eppure, nonostante i molti successi diplomatici e le altrettanto numerose ombre che hanno disseminato la sua esperienza, il golpe cileno, la precipitosa fuga da Saigon, l’incontro teso e a tratti minaccioso col leader italiano Aldo Moro, negli ambienti di Washington era ricorrente la battuta “Kissinger sarebbe stato un ottimo presidente, ma per fortuna non era candidabile”. Lungo le rive del Potomac per anni si sono infatti rincorsi veleni e insinuazioni sulle molte similitudini ricorrenti fra l’allora professore di Harvard e il personaggio dell’eccentrico stratega nucleare Dottor Stranamore del film di Kubrick.

Per una singolare coincidenza infatti nella tesi di dottorato di Kissinger ad Harvard, centinaia di pagine erano focalizzate sulle posizioni dei filosofi Spengler e Toynbee riguardanti il declino della civiltà occidentale, ed altrettante pagine erano riservate a Kant ed alla filosofia della ragione e dell’etica, in relazione all’equilibrio tra cosa governa il mondo e la libertà dell’uomo. Certo è che rispetto ai sofisticati e impalpabilmente classisti e razzisti ambienti politici yankee di allora, Heny Kissinger si era fatto da solo partendo come emigrato dall’Europa.

Di origini tedesche, con la sua famiglia ebrea che nel 1938 fu costretta a fuggire dalla Germania nazista, approdò nei bassifondi newyorkesi del Bronx ed acquisì la cittadinanza americana solo nel 1943 arruolandosi nell’esercito come traduttore dal tedesco, aggregato all’intelligence militare. Laureatosi con una tesi su Pace, legittimità ed equilibrio: uno studio sulla politica di Castlereagh e Metternich venne scoperto dal magnate Nelson Rockefeller e nel 1955 divenne Direttore dell’ufficio studi Fondazione Rockefeller ed iniziò a collaborare con l’amministrazione Eisenhower e successivamente fornì consulenze per la politica estera al presidente Kennedy.

Dopo l’assassinio di Kennedy collaborò con Lyndon Johnson avvertendolo del disastro imminente del Vietnam. Una previsione talmente azzeccata che quando Richard Nixon divenne presidente gli offrì la carica di Assistente per la Sicurezza nazionale. Ed è l’inizio della leggenda kissingeriana e dell’affermazione della teoria della “guerra limitata”, del linkage, la connessione, del negoziato permanente per mantenere un equilibrio mondiale, del controllo degli armamenti e del “non può esserci pace senza equilibrio di forze”.

La pietra miliare resta la visita del 1972 a Pechino al cospetto del mitico Mao e dell’intera leadership cinese, da Zhou Enlai a Deng Xiaoping. Un blitz epocale col quale Kissinger e Nixon spaccarono l’unità internazionale comunista isolando la Russia sovietica di Leonid Brežnev, già avviata sul viale del tramonto e all’epilogo di Michail Gorbačëv. L’apertura alla Cina rilancia l’economia americana e facilita, ma non senza alto prezzo strategico, la fine dell’emorragia dell’impegno americano in Vietnam.

Paradossalmente a causa dello scandalo del Watergate e delle dimissioni di Nixon, il vertice con Mao segna contemporaneamente il maggior successo ed insieme il tramonto del ruolo di Segretario di Stato di Kissinger, emarginato non soltanto dall’amministrazione democratica di Carter, ma soprattutto da quelle di Reagan e George Bush, esponenti dell’ala conservatrice ed anti realista del partito repubblicano.

Iperattivo, Kissinger rimane tuttavia nei decenni successivi, ed è tutt’ora, un lucido protagonista sulla scena americana e globale, quinta essenza di gruppi politici come la Trilateral Commission e il Center for Strategic and International Studies della Georgetown University, oppure svolgendo attività di consulente, conferenziere, commentatore televisivo e scrittore, tanto da fondare un propria società di consulenza, la Kissinger Associates. Le sue più recenti tesi riguardano l’esigenza di una svolta negoziale fra Stati Uniti e Cina e la capacità di Pechino di “convincere” Putin o chi per lui a porre fine all’invasione dell’Ucraina.

“Ma davvero ha cent’anni” si esclama sentendolo commentare con grande perspicacia e padronanza la situazione internazionale. E dietro lo sguardo sempre vivido di Henry Kissinger si può probabilmente scorgere uno dei suoi retropensieri: lasciare un buon ricordo di sé è come sottrarre la propria vita al dominio del tempo.

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