In politica estera lo sfidante propone di ribaltare completamente la posizione del Paese, portando in Turchia tutte le regole democratiche previste dall’Unione europea. Se sarà eletto, chiederà formalmente l’ingresso della Turchia nell’Ue. Erdogan promette una Costituzione civile e più diritti
“Porteremo la democrazia in Turchia”, sta dicendo durante gli ultimi comizi il candidato presidenziale turco Kemal Kilicdaroglu, a poche ore dalle urne più incerte degli ultimi due decenni. La Turchia si specchia in un appuntamento elettorale non solo importante in sé, ma perché si inserisce in un contesto delicatissimo, caratterizzato dalle politiche turche su dossier sensibili come Ucraina, energia, Nato e alleanze con Russia e Cina. I sondaggi accreditano lo sfidante di Recep Tayyip Erdogan come un candidato appaiato al presidente uscente, ma a queste latitudini è sempre difficile non tener conto anche di altri elementi, come gli agenti esterni (terremoto dello scorso febbraio e 20 anni di potere, denso e incontrastato).
Temi
Lo scorso martedì è terminato il voto anticipato per i cittadini turchi che vivono all’estero, ovvero 3,4 milioni dei 64 milioni complessivi, di cui circa 1,5 milioni residenti in Germania, un bacino estremamente significativo per il governo uscente. Rispetto alle scorse elezioni datate 2018 hanno votato più turchi all’estero, con la caratterizzazione di una certa polarizzazione nella diaspora per il loro sostegno al presidente Erdogan. I temi al centro della campagna elettorale sono essenzialmente tre: l’inflazione alle stelle, al 72% su base annua; il terremoto dello sorso febbraio che ha flagellato la parte orientale del Paese sommandosi ai profughi siriani in fuga dalla guerra; il ruolo turco nella crisi del grano e nella partita con Mosca connessa allo status turco di membro ibrido della Nato.
Il programma dello sfidante
In politica estera Kilicdaroglu propone di ribaltare completamente la posizione del Paese, portando in Turchia tutte le regole democratiche previste dall’Unione europea, passaggio confermato dai leader dell’alleanza anti Erdogan, chiamata Nation Alliance. Se sarà eletto, chiederà formalmente l’ingresso della Turchia nell’Unione europea, un processo che è iniziato nel 1999 ma che poi è andato svanendo. La sua opinione è che la Turchia debba rivolgersi all’Occidente e alla civiltà occidentale, provando anche ad avere buoni rapporti con la Russia, dal momento che sono in piedi solide relazioni commerciali tra Ankara e Mosca, ma di contro ha definito inaccettabile l’invasione russa dell’Ucraina.
Infine il tema dei diritti, molto sentito nel Paese vista la concomitanza di oppositori politici e giornalisti arrestati nelle ultime settimane: come il filantropo Osman Kavala e il politico curdo Selahattin Demirtas. Kilicdaroglu ha promesso di rimetterli in libertà, dal momento che vi sono già pronunce per il loro rilascio, certo che nessuno dovrebbe essere in prigione a causa delle proprie convinzioni.
Ieri da Batman, una provincia prevalentemente curda, Erdogan ha chiesto unità nazionale, impegnandosi a proteggere i diritti dei curdi. Al contempo ha denunciato il blocco dell’opposizione per il sostegno ricevuto dai gruppi terroristici, in particolare dal Pkk, che “sfrutta la comunità curda per la sua campagna di violenza sotto il nome di creazione di uno Stato curdo”.
Ha inoltre promesso una Costituzione redatta dalla volontà nazionale, una costituzione civile e pro-libertà e si è impegnato a portare la questione all’ordine del giorno del Parlamento e a lavorare alla sua attuazione dopo il voto.
Inoltre ha toccato più volte il tasto delle infrastrutture, come il terzo tunnel sotto il Bosforo, che verrà aperto da qui a cinque anni. Collegherà il lato europeo e quello asiatico di Istanbul, ufficialmente chiamato dal governo “Grande tunnel di Istanbul”, con la capacità di servire 1,3 milioni di passeggeri al giorno: lungo 28 chilometri, sarà composto da 13 stazioni.
Geopolitica e pane
Qualcuno sottolinea anche il rapporto tra geopolitica e pane: ovvero quanto sta spendendo Erdogan per tutte le sue mire espansionistiche (molto) e quanto per ovviare all’inflazione e alle difficoltà di cittadini e imprese (poco). Un’immagine dice molto: qualche giorno fa a Smirne, città non casuale, perché si affaccia sull’Egeo, quindi sull’Occidente, è arrivata la prima portaerei turca, il TCG Anadolu, in grado di trasportare veicoli pesanti come carri armati, corazzati e anfibi.
Ma, senza gli F-35 Usa, ora la nave diventerà di fatto il trampolino di lancio naturale per i droni, il Bayraktar TB3, Uav che Ankara vende anche a Libia e Ucraina e il Kizilelma, un caccia senza pilota ancora in fase di (caro) sviluppo. La portaerei è costata 1 miliardo di dollari, mentre l’inflazione in ottobre è stata dell’86%, che è stato il tasso principale più alto registrato dal 1998.