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Montecatini ed Edison, luci e ombre della fusione delle fusioni. La verità di La Malfa

Nel 1965, all’indomani del boom, le due principali società chimiche italiane decisero di andare a nozze, per la regia di Mediobanca, dando vita alla futura protagonista dell’industria nazionale, la Montedison. Un libro di Giorgio La Malfa e Taddeo Molino Lova racconta i retroscena della “fusione delle fusioni”, grazie alle preziose carte dell’Archivio Storico Mediobanca “Vincenzo Maranghi”

C’era una volta la chimica italiana, forte, competitiva. Ma non così solida finanziariamente. Privata o pubblica aveva poca importanza, quello che contava era vincere le sfide del mercato, all’indomani del boom dei primi anni ’60. Ed è in quel frangente, nel bel mezzo di quel decennio, che si inserisce l’operazione industriale simbolo per il settore chimico tricolore, la fusione tra la Montecatini e la Edison.

Due giganti, già allora, da cui nacque la Montedison, l’azienda protagonista nel bene e nel male di una lunga stagione imprenditoriale, finanziaria e politica non certo priva di ombre, cominciata quasi sei decenni fa e conclusasi tra le drammatiche vicende industriali e giudiziarie dei primi anni ’90, preludio alla sua completa dissoluzione, nel 2002.

Della fusione, raccontano con dovizia di particolari Giorgio La Malfa e Taddeo Molino Lova nel volume “La fusione Montecatini – Edison (1965-1971. Materiali dall’Archivio di Mediobanca” edito dall’Archivio Storico Mediobanca “Vincenzo Maranghi”, oggi presentato presso Mediobanca. L’archivio, digitalizzato e online, è un pozzo di documenti, testimonianze, carte e bilanci, a cui Piazzetta Cuccia ha in questi anni tolto il coperchio per restituire agli appassionati o semplici curiosi, uno spaccato della storia della grande finanza italiana.

In astratto, la fusione aveva un solido senso industriale, Edison da una decina di anni aveva avviato importanti investimenti nella chimica, ma anche finanziario (il gruppo ex elettrico poteva contare sulle ricche rate annuali dell’indennizzo ex nazionalizzazione per coprire i fabbisogni finanziari). Eppure, alla fine, l’operazione si è rivelata sostanzialmente un fallimento per ragioni diverse. Questo nonostante la fusione, avvenuta nel 1965, tra due delle maggiori società industriali italiane dell’epoca, presenti con quote significative nei settori della chimica primaria e della chimica fine, e le successive vicende della Montedison, suscitarono nel momento del loro svolgersi un’enorme attenzione in sede politico-parlamentare, nel mondo economico-finanziario e sul piano giornalistico.

Per approfondire, Formiche.net ne ha parlato con Giorgio La Malfa, ex ministro del Bilancio nonché economista e direttore Scientifico dell’Archivio Storico Mediobanca. “Dalle carte che abbiamo visionato, non emerge la vera motivazione della fusione. Chi abbia pensato l’operazione non è chiaro. Alcuni dicono che l’idea partì dalla Montecatini di Giorgio Macerata (ceo dell’epoca della Montecatini e braccio destro del presidente Carlo Fainandr) e che poi se ne discusse negli Stati Uniti tra Leopoldo Pirelli e Gianni Agnelli“, spiega La Malfa. “Altre voci dicono che fu un’idea di Enrico Cuccia. Ma anche qui non è chiaro. Quello che possiamo certamente dire è che la fusione tra Edison e Montecatini fu ragionevole: si trattava di trovare una sposa danarosa per la Montecatini, che era in condizioni economiche difficili”.

“La Edison aveva una piccola ma significativa attività chimica ed era piena di soldi, Montecatini aveva una grande attività chimica ma non aveva cassa. Di qui qualcuno pensò all’occasione della vita. Risulta evidente però come Mediobanca sia stata interpellata dalle due società per stimare i termini della fusione. Cuccia dunque nel 1965 entrò nella partita, mettendo insieme i pezzi della fusione”, racconta La Malfa. Domanda, oggi un’operazione di simile portata sarebbe possibile?

“Partiamo da un assunto, quella fusione in realtà non fu mai pienamente privata, perché nella Montecatini c’era anche l’Iri, l’Istituto per la ricostruzione industriale, dunque lo Stato. Tra il ’65 e il ’67 ci si rese conto che occorreva rafforzare il capitale della Montedison, a valle della fusione, ma i privati non ci misero una lira. Dunque, c’è poco di privato in questa faccenda. La grande lezione che possiamo trarre è che il capitalismo privato aveva grandi disponibilità di cassa ma al momento di metterci i soldi si tirò indietro. E chi ce li mise? Lo Stato, che anch’esso di soldi non ne aveva”, chiarisce ancora l’ex ministro.

Insomma, “fu lo Stato a farla da padrone, almeno da un punto di vista finanziario. E questo nonostante gli sforzi di Cuccia di tenere in piedi il capitalismo privato. Un’altra cosa che colpisce è il fallimento manageriale. Il caso Montedison lo dimostra, i manager della società, a cominciare da Giorgio Valerio, non capirono i cambiamenti dell’industria italiana della chimica. E quando tale industria si trovò a competere a livello globale, il castello crollò”.

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