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Manzoni, il pontefice e l’omaggio de La Civiltà Cattolica. Scrive Cristiano

Dagli attacchi alla riabilitazione. La Civiltà Cattolica, nella monografia, parla del rapporto tra il padre de “I Promessi Sposi” e i padri della rivista. L’ostilità verso il “gran lombardo” si trasforma in un apprezzamento, anche grazie all’opera di Pio XI. Manzoni è, anche per papa Francesco, un importante punto di riferimento.

Quasi tutti conoscono il detto relativo alla scarsa utilità del “portare vasi a Samo”. Il senso del detto è facilmente comprensibile da chi non lo conoscesse: l’isola greca di Samo, dove l’argilla del suolo è finissima, era molto famosa per i vasi che produceva. Dunque portarvi vasi non era di grande utilità. Ecco che leggere che una pubblicazione cattolica, quale indubbiamente è La Civiltà Cattolica, dedica una monografia ad Alessandro Manzoni potrebbe, sbagliando, indurci a sorvolare, pensando che essendo Manzoni un noto e grande cattolico le lodi celebrative de La Civiltà Cattolica siano un po’ come lodare se stessi, o, appunto, portare vasi a Samo.

E però questa, sebbene radicalmente sbagliata, è la postura migliore per approcciare la monografia presentata con acume e senso della storia dal direttore della rivista dei gesuiti, gli scrittori del papa, padre Antonio Spadaro. Per altro, ci ricorda Spadaro proprio all’inizio della sua presentazione del volume, il Manzoni morì in seguito a una rovinosa caduta proprio sulle scale della chiesa dei gesuiti, San Fedele. E’ un dettaglio che può confermarci nell’idea che si siamo proprio in quel portare vasi a Samo. E invece poche righe dopo scopriamo che è proprio il contrario. Manzoni morì il 22 maggio di 150 anni fa e i suoi funerali furono un evento nazionale e internazionale: “Tuttavia- prosegue il testo firmato dal direttore della Civiltà Cattolica–  il fascicolo della nostra rivista immediatamente successivo all’evento non riportò la notizia o quasi. Se ne trova solo un accenno – nove righe, 97 parole in tutto – in una «Cronaca contemporanea», nella parte dedicata alle «Cose italiane», che tratta delle morti illustri tra i «protagonisti della rivoluzione». Nel medesimo articolo, per inciso, vengono concesse oltre 45 righe a Urbano Rattazzi. Il tono di queste poche parole su Manzoni è vagamente sarcastico, e comunque per nulla mesto e luttuoso. Era il tono che caratterizzava la polemica aperta da tempo dai gesuiti della Civiltà Cattolica contro i liberali. Come è possibile? E cosa c’entra Manzoni con la “rivoluzione”? Non è egli sempre stato considerato un “campione” del cattolicesimo e un esempio della moderazione borghese? È anche sulla spinta di queste domande che abbiamo voluto dedicare il 24° volume delle nostre monografie ad Alessandro Manzoni”.

Siccome stiamo parlando di una monografia su Manzoni e ovviamente di quanto di lui ha scritto La Civiltà Cattolica, in nota abbiamo le parole precise che la rivista dei gesuiti gli dedicò: “Anche per un altro uso serve mirabilmente la guardia nazionale, cioè per le pompe funebri, onde si vogliono onorare gl’illustri patrioti; e di questi ne vien morendo un buon numero da qualche tempo in qua. A cotesti liberali, alcuni pochi eccettuati, gli onori funebri della chiesa non piacciono punto; e, se non avessero il corteggio del Palladio, invece di quello dei frati, n’andrebbero al cimitero poco meno che alla maniera delle bestie. Bisogna dunque mantenere il Palladio. E questo diede mostra bastevolmen-te bella in Milano, dove concorse al mortorio, pomposo sì ma religioso eziandio, con che furino portate alla tomba le spoglie dell’illustre romanziere e senatore Alessandro Manzoni, morto può dirsi di vecchiaia, in età di 88 anni, la sera del 22 maggio. I liberali ne celebrarono i meriti sotto il riguardo del liberalismo; i cattolici pregheranno di cuore per lui, che certamente fu di sensi cristiani, ben costumato come si conviene a un cattolico, e seppe con singolari pregi, qual letterato congiungere al dilettevole l’onesto nelle sue scritture […]”.

Siamo dunque al cospetto di un lavoro molto importante, a una ricostruzione estremamente  significativa di quel tempo, di cosa si pensava allora nei Sacri Palazzi, e di come rileggere oggi aiuti a capire. Cosa? Un’idea ce la facciamo con quel che si legge poco dopo: “ Il pregiudizio degli scrittori della Civiltà Cattolica su Manzoni – definiti allora “i pretoriani di via di Ripetta”(prima sede romana della rivista) – riguarda le sue scelte politiche. Un pregiudizio che li ha portati talvolta a difendere idee che magari personalmente non condividevano, ad attaccare sul piano dei princìpi persone che in fondo stimavano. Una censura puntigliosa e sostanzialmente ingiusta che deve essere letta dunque come un episodio della lotta di quegli anni da parte della Chiesa e dei cattolici “impegnati” contro il liberalismo teorico e politico”. Eccoci al punto.

Manzoni, cattolico liberale, favorevole all’unità d’Italia, anche giansenista. Accuse alle quali lo stesso Manzoni rispose con toni che Spadaro definisce accorati, in una lettera citata da papa Paolo VI: “ Colla Chiesa voglio sentire, esplicitamente dove conosco le sue decisioni, implicitamente dove non le conosco: sono e voglio essere colla Chiesa fin dove lo so, fin dove veggo e oltre”. Si capisce meglio il valore di quel che stiamo presentando se si considera che il fondatore de La Civiltà Cattolica,  padre Carlo Maria Curci, “da antiliberale e difensore del potere temporale del Papa, dopo la breccia di Porta Pia e l’inizio della “questione romana”, cominciò a vedere nello Stato unitario un’autorità civile con cui bisognava ormai venire a patti in qualche modo. Una posizione molto vicina a quella di Manzoni e Rosmini, peraltro, e che lo portò all’espulsione dalla rivista, dalla Compagnia di Gesù e persino alla sua sospensione a divinis nel 1884. La durezza delle conseguenze sulla vita di Curci meglio di ogni altra considerazione fa cogliere il clima in cui si sviluppava la critica al Manzoni”.

Proseguiamo nella lettura: “Finito il Risorgimento, l’ostilità dei padri della rivista – e di una buona parte della Chiesa – verso Manzoni si trasformerà piuttosto rapidamente, anche perché quelle energie a quel punto vengono dirottate sulla polemica antimodernista. In particolare La Civiltà Cattolica, in presenza di smisurati attacchi alla cultura e alla morale cattolica del Manzoni, inizia a rilevarne i meriti. […] Sul piano politico-ecclesiale la riabilitazione ufficiale del “gran lombardo” la farà direttamente Pio XI, inserendo un’ampia citazione delle sue Osservazioni sulla morale cattolica nella Divini illius magistri (1929), una Enciclica sull’educazione dei giovani, pubblicata nell’anno del Concordato con lo Stato italiano”.

Dobbiamo correre, arrivare al documentato interesse di papa Francesco per Manzoni che viene spiegato benissimo da Spadaro, a lungo critico letterario della pubblicazione dei gesuiti e autore di uno studio internazionale su Bergoglio e la letteratura: “Bergoglio è chiaramente colpito dalle opere che mettono in campo la misericordia, una letteratura della misericordia. Notiamo che le parole di Lucia davanti all’Innominato sono state citate in un momento chiave dell’inizio del pontificato, a Lampedusa, l’8 luglio 2013: “Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto”.  Ma non basta. Spadaro ci racconta altro su Francesco e Manzoni: “In un’intervista che Francesco ha concesso a Austen Ivereigh durante la pandemia si fa riferimento all’opera manzoniana. Nota giustamente Ivereigh che nel romanzo “appaiono diversi personaggi ecclesiastici: il prete codardo don Abbondio, il santo cardinale arcivescovo Borromeo, i frati cappuccini che si prodigano nel “lazzaretto”, una specie di ospedale da campo dove i contagiati vengono tenuti rigorosamente separati dai sani”. Per questo chiede al Pontefice come vede la missione della Chiesa alla luce del romanzo e della crisi pandemica. Risponde Bergoglio: “Il cardinale Federigo è un vero eroe di quella peste a Milano. In un capitolo, tuttavia, si dice che passava salutando la gente, ma chiuso nella lettiga, forse da dietro il finestrino, per proteggersi. Il popolo non ci era rimasto bene. Il popolo di Dio ha bisogno che il pastore gli stia accanto, che non si protegga troppo. Oggi il popolo di Dio ha bisogno di avere il pastore molto vicino, con l’abnegazione di quei cappuccini, che facevano così”.

C’è dunque la storia, da capire, e il presente, nel quale entrare. Il presente di un pontificato radicato nella misericordia. Tutto questo viene a galla in una monografia che ricostruisce tutto il cammino che si è fatto da allora a oggi, attraverso gli articoli dedicati dalla rivista dei gesuiti ad Alessandro Manzoni. Ma perché? La spiegazione migliore la dà, in chiusura della presentazione del volume, lo stesso autore: “Lo consegniamo ai nostri lettori con l’augurio che possa servire a meditare più in profondità sull’opera manzoniana per apprezzarla più consapevolmente”.

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