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A Civiltà Cattolica ieri si è vista la Chiesa globale, e parla anche cinese

Trovarsi in un pomeriggio romano in un salone stracolmo di sacerdoti cinesi che parlano perfettamente italiano dovrebbe avvisarci di novità rilevanti, già in atto. Il racconto di Riccardo Cristiano

Anni fa, in occasione del sinodo sulla famiglia, per la prima volta nella storia della Chiesa cattolica due vescovi cinesi furono autorizzati a partecipare ai lavori sinodali. Le loro fotografie in piazza San Pietro pubblicate da tanti giornali indicarono la sorpresa di molti osservatori. Si spiega anche così la sorpresa – classica di un non addetto ai lavori – con cui ieri, in occasione della presentazione della guida scritta in cinese al magistero di papa Francesco dal direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, ho notato che la grande sala della pubblicazione dei gesuiti era piena di sacerdoti, cinesi, o di giovani candidati a diventarlo. E anche di giovani donne cinesi, forse suore o candidate a diventarlo. Devono studiare a Roma, come tanti altri sacerdoti stranieri, e capiscono bene l’italiano, visto che hanno seguito tutta la presentazione in lingua italiana. È questo il fatto più importante dell’incontro di ieri, che rende la Chiesa cinese non più un’eccezione rispetto alle altre Chiese. L’ingresso di questa Chiesa locale (ma anche continentale) nel corpo della Chiesa universale è un fatto che probabilmente a noi sfugge, ma che ieri – all’occhio di un osservatore poco attento ai fatti interni della Chiesa mondiale – è apparso evidente e a mio avviso rilevante.

Perché il processo sia completo anche il cattolicesimo deve diventare culturalmente cinese, inculturarsi, come si dice in linguaggio ecclesiale, sentirsi e diventare pienamente inserito nella storia e nella cultura cinese. Forse è per questo, o anche per questo, che il cardinale Antonio Tagle, già arcivescovo di Manila, ha concluso il suo intervento con un non certo casuale riferimento a Matteo Ricci, il gesuita che tanti secoli fa giunse a Pechino, studiò a tal punto la lingua e la cultura cinese da divenire il simbolo dell’inculturazione. Una scelta non da subito apprezzata da tutti nella Chiesa cattolica, che vedevano la fedeltà cattolica più che ai paesi di missione a quelli di origine, cioè occidentali. Questo aspetto, che ha avuto molto peso nella storia delle relazioni tra questi due mondi, Cina e cattolicesimo, e che poi sarebbe tornato a pesare al tempo della guerra dell’oppio, è oggi cruciale per la formazione di una vera e autentica Chiesa cattolica cinese, cioè fedele al successore al Pietro come le altre e come le altre culturalmente espressione del proprio Paese e non di presunti o possibili “colonizzatori”. È questo un snodo decisivo per la trasformazione della Chiesa “cattolica”, che vuol dire universale, in una vera e propria Chiesa “globale”, e non “occidentale”, geograficamente, culturalmente, politicamente.

Nella sua relazione il cardinale Tagle, non a caso, non si è certo limitato a concludere il suo intervento citando Matteo Ricci, per la sua Chiesa finalmente un “venerabile”, ma ha voluto cominciare con un lungo e apparentemente noioso elenco di occasioni in cui la Chiesa in Cina e cinese, negli anni recenti, ha seguito e partecipato alle richieste del Papa di celebrare l’anno della fede, l’anno Paolino e tanto altro. Nulla di strano e dunque importante, perché propria questa normalità indicava la fine di una eccezionalità, per cui la Chiesa in Cina era fedele a Pechino, ma non al successore di Pietro. E’ stata l’indicazione di un fatto che a noi sfuggiva: la storia in Cina del cattolicesimo stava cambiando, non era più la semplice storia di una associazione patriottica e cattolica, ma di un cattolicesimo nazionale come tutti i cattolicesimi inserito nella dimensione universale della Chiesa. Il cammino è cominciato ai tempi di Giovanni Paolo II, è proseguito in quelli di Benedetto XVI, è proseguito in questi tempi di Francesco, arrivando all’importantissima firma dell’accordo provvisorio sui criteri di nomina dei vescovi cinesi. Un processo difficilissimo e delicato, soprattutto se si considera che l’imperatore cinese, di cui il segretario del Partito Comunista è chiaramente l’erede, si è sempre fatto chiamare “il figlio del cielo”. Il pluralismo, o la separazione dei poteri, non si costruisce in poche ore.

La storia dunque sta cambiando la storia più di quanto di noi si riesca a cogliere soprattutto al riguardo di un mondo ancora lontano e poco conosciuto qui da noi come quello cinese. Ma è un cambiamento che ci riguarda e che conterà più di quanto sappiamo immaginare. Già trovarsi in un pomeriggio romano in un salone stracolmo di sacerdoti cinesi che parlano italiano dovrebbe avvisarci di novità rilevanti, in atto.

Ma i fatti sorprendenti non sono solo quelli “normali”, lì dove noi credevamo ci fosse una eccezionalità, ma anche quelli che ci appaiono eccezionali per la loro analogia con ciò che riguarda noi e che riguardano – guarda un po’ – anche loro, come quelli che il cardinale Tagle ha evidenziato al riguardo della rilevanza del magistero di Francesco per i cinesi. La rilevanza di questo magistero per noi, euro-occidentali, sta soprattutto nel rilievo dato alla questione ambientale anni fa e alla fratellanza in tempi più recenti. Nel discorso del cardinale è emerso che i temi rilevanti per i cinesi sono gli stessi. Ecco un passaggio del suo intervento: “Laudato si’ e Querida Amazzonia toccano problemi e pericoli legati alla questione ambientale, questione che anche in Cina rappresenta un’emergenza. Il grande sviluppo economico degli ultimi decenni in Cina ha portato anche problemi ambientali crescenti in molte aree, e ora tra la popolazione aumenta sempre più la sensibilità alle questioni ecologiche e ai pericoli per la salute di tutti. Sono i pericoli legati all’inquinamento, alle contaminazioni, all’adulterazione dei cibi. L’enciclica Fratelli Tutti chiama a riconoscere che tutti gli uomini e le donne sono fratelli e sorelle perché figli e figlie dello stesso Padre. Questa enciclica, ispirata anche essa a San Francesco, afferma questa realtà nel nostro mondo, il mondo ferito da quella che il Papa non chiama più ‘guerra a pezzi’, perché è chiaramente una guerra globale. Questa Enciclica è arrivata dopo anni di guerre culturali (cultural wars) e guerre in armi, e dopo tante stragi compiute in nome di ideologie e parole religiose. L’enciclica Fratelli Tutti è arrivata anche dopo la pandemia. E anche la pandemia ha mostrato ancora una volta e per sempre che nessuno può salvarsi da solo, come scrive Papa Francesco. L’enciclica Fratelli Tutti dice che proprio il fatto di riconoscere la fratellanza tra tutti gli esseri umani non è un idealismo ingenuo. Quel riconoscersi fratelli rappresenta l’unica alternativa realistica allo scontro, alla cultura dello scarto, alle xenofobie, ai progetti di dominio delle menti attraverso i social network. Solo nel riconoscersi fratelli c’è l’unica possibilità realistica per evitare che popoli interi siano travolti e sterminati dai programmi messi in atto per accelerare l’Apocalisse”.

Qui sembra emergere l’indicazione papale per la diplomazia: la fratellanza, o l’amicizia, riguarda anche i popoli e quindi il lavoro della diplomazia, che richiede affidabilità. Un conto sono le Chiese guidate dai chierichetti dei loro Capi di Stato, un conto le Chiese globali. Questo sarà evidente anche per chi governa a Pechino e potrebbe rendere affidabile l’interlocutore. Una affidabilità che potrebbe avere un suo peso in questo momento così importante. È in questo, forse, la vera mediazione vaticana: forse…


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