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Perché la tutela della biodiversità deve essere una priorità. Scrive Illomei

Per centrare gli obiettivi europei e frenare la perdita di biodiversità entro il 2030, secondo Legambiente, servono azioni concrete a partire da una strategia nazionale adeguatamente finanziata e condivisa, nuove aree protette e marine, interventi per migliorare la tutela, la conservazione e la gestione della biodiversità, la convivenza tra animali selvatici e uomo

Tutte le specie animali, uomo compreso, e tutte le specie vegetali fanno parte di quell’ecosistema che chiamiamo pianeta Terra. Senza scomodare il libro della Genesi o i Fioretti di San Francesco (ricordate “fratello lupo”?), basta andare a rileggere l’articolo 9 della nostra Carta Costituzionale laddove dice testualmente che “La Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. I modi e le forme appunto. Bisogna trovarli e metterli in pratica. Come ci ricorda lo slogan scelto quest’anno per  la Giornata mondiale della Biodiversità: “Dall’accordo all’azione: ricostruire la biodiversità”, giornata che si celebra ogni anno il 22 maggio, come voluto dalle Nazioni Unite dal 2000.

Biodiversità quindi, tutti gli esseri viventi presenti sul nostro pianeta: esseri umani, animali, piante e microrganismi. Tutelare la biodiversità è fondamentale per la vita di tutti gli abitanti della Terra. Per questo l’Onu ha adottato, nel 1992, un trattato, la Convenzione sulla Biodiversità, che la riconosce come un elemento indispensabile all’evoluzione e alla conservazione della vita (“bio” appunto) in ogni sua forma. Il messaggio di quest’anno intende mettere a fuoco il concetto di ricostruzione: non basta salvaguardare e tutelare il patrimonio naturale degli ecosistemi, bisogno impegnarsi per rigenerare gli ambienti danneggiati o minacciati.

Nel dicembre dello scorso anno, alla Cop15 sulla biodiversità di Kunming-Montreal, è stato adottato dai 196 Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione, uno  storico accordo che prevede quattro obiettivi a lungo termine, entro il 2050, e 23 traguardi da raggiungere entro il 2030. Le azioni “urgenti” per raggiungere questi obiettivi, si legge nel comunicato finale, “dovrebbero essere attuate in modo coerente e i n armonia con la Convenzione sulla biodiversità biologica e i suoi protocolli e altri obblighi internazionali pertinenti, tenendo conto delle circostanze, delle priorità e delle condizioni socio-economiche nazionali”.

Gli obiettivi a lungo termine riguardano il mantenimento dell’integrità di tutti gli ecosistemi, aumentandone laddove possibile l’area, arrestando l’estinzione delle specie selvatiche; il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile della biodiversità a beneficio delle generazioni presenti e future; condivisione in modo equo e giusto dei benefici economici con le popolazioni indigene e locali; accesso e trasferimento di tecnologie per attuare pienamente l’accordo a tutti , in particolare ai Paesi in via di sviluppo. Una tappa intermedia riguarda i 23 traguardi da raggiungere entro il 2030, le cui azioni  possono essere riassunte in tre grandi temi: ridurre le minacce alla biodiversità; soddisfare i bisogni delle persone attraverso l’uso sostenibile e la condivisione dei benefici; implementare strumenti e soluzioni per il mainstreaming.

Sono diversi i fattori che oggi mettono a rischio la biodiversità, primo fra tutti il cambiamento climatico che provoca gravi danni agli ecosistemi terrestri e marini, come l’aumento della temperatura delle acque, lo scioglimento dei ghiacciai, la siccità e la desertificazione, le catastrofi naturali e gli eventi estremi sempre più frequenti. Senza dimenticare le attività dell’uomo che sfruttano in modo non sostenibile le risorse naturali, come il disboscamento delle foreste, che sottrae al pianeta uno dei mezzi più efficaci per catturare il carbonio. Le conseguenze si ripercuotono sulle fonti di approvvigionamento idrico e alimentare, sulla vulnerabilità verso disastri naturali, sull’aumento della Co2 in atmosfera.

Anche l’Unione Europa, in accordo con le Nazioni Unite, ha adottato, nel maggio 2020, la “Strategia per la biodiversità 2030” che fissa gli obiettivi per il prossimo decennio: “Proteggere almeno il 30% delle aree marine e terrestri dell’Unione fra cui foreste, torbiere, praterie, ecosistemi costieri e garantire che almeno il 10% delle aree marine e terrestri, comprese le foreste primarie esistenti e gli ecosistemi ricchi di carbonio, restino indisturbate”. Ulteriori obiettivi riguardano la riduzione del 50% dell’uso di pesticidi e prodotti chimici pericolosi; del 20% dell’utilizzo di fertilizzanti.

Allo stesso tempo la Commissione europea ha adottato la strategia “Dal produttore al consumatore” per un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente. Le due strategie favoriscono i rapporti tra natura, agricoltori, industria e consumatori affinché lavorino insieme per un futuro”competitivamente sostenibile”. In linea con il Green Deal, “propongono azioni e impegni ambiziosi per arrestare la perdita di biodiversità e trasformare i nostri sistemi alimentari in standard di riferimento per la sostenibilità competitiva a livello globale, la protezione della salute umana e del pianeta nonché la sussistenza di tutti gli attori della catena alimentare”.

La storia e la posizione centrale nel Bacino del Mediterraneo del nostro Paese hanno determinato le condizioni per uno sviluppo di specie tra i più significativi a livello europeo. In Italia si contano oltre il 30% di specie animali e quasi il 50% di quelle vegetali di tutta l’Europa. La Strategia nazionale  Biodiversità 2030, si legge sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica “rappresenta lo strumento attraverso il quale l’Italia intende contribuire all’obiettivo internazionale di garantire che entro il 2050 tutti gli ecosistemi del pianeta siano ripristinati, resilienti e adeguatamente protetti”. Come? Attraverso l’identificazione di una serie di obiettivi specifici declinati all’interno di alcuni ambiti tematici di intervento, come aree protette, agricoltura, foreste, acqua interne, mari.

Per centrare gli obiettivi europei e frenare la perdita di biodiversità entro il 2030, secondo Legambiente, servono azioni concrete a partire da una strategia nazionale adeguatamente finanziata e condivisa, nuove aree protette e marine, interventi per migliorare la tutela, la conservazione e la gestione della biodiversità, la convivenza tra animali selvatici e uomo. Tutto contenuto nel report “Biodiversità a rischio 2023” con al centro due osservati speciali: le Alpi e il Mediterraneo, dove “si concentrano alcune delle sfide e delle criticità più importanti da affrontare in termini di gestione e convivenza con la fauna selvatica, ma anche di ripensamento delle attività antropiche a partire dalla pesca intensiva”.

“Il decennio 2020-2030 sarà cruciale per la tutela della biodiversità a rischio – ha detto il presidente di Legambiente Stefano Ciafani – Il nostro Paese adotti una strategia, che ad oggi non è ancora vigente, senza risorse finanziarie e non ancora condivisa con le altre istituzioni. Una strategia che deve essere accompagnata anche dalle altre strategie nazionali e comunitarie come quella per i cambiamenti climatici e farm to fork per raggiungere gli obiettivi previsti”.

Alpi e Mediterraneo dicevamo. Sulle Alpi vivono più di 13 mila specie vegetali e 30 mila specie animali. Si assiste al ritorno dei grandi predatori: orso bruno, lupo e sciacallo dorato sono in crescita: oltre 900 i lupi, circa 100 gli esemplari di orso bruno, 50-80 gli sciacalli. Numeri che devono essere accompagnati da un nuovo modo di gestire la coesistenza con l’uomo, anche alla luce degli ultimi fatti di cronaca accaduti in Trentino con l’orso JJ4 e in Piemonte con i lupi.

Il Mare Nostrum è una delle aree più sensibili alle conseguenze della crisi climatica. Secondo uno studio del 2019 l’aumento della temperatura è stato di 2°C rispetto alla media degli ultimi 35 anni. A minacciarlo anche l’uso non sostenibile dell’economia blu e della pesca illegale e l’invasione di specie aliene, come il granchio blu e il pesce scorpione. Gli ultimi dati Ispra parlano di una presenza  in Italia di oltre 3 mila 500 specie aliene, mentre in Europa sarebbero più di 14 mila. Per tutelare il nostro mare, secondo Legambiente, occorre combattere le pratiche di pesca illegale, coinvolgendo i pescatori nella prevenzione dell’inquinamento e nel recupero della fauna marina.

La biodiversità, è bene ribadirlo,  è il nostro capitale naturale che va conservato, tutelato e, per quanto possibile, ripristinato. Per il suo valore intrinseco e perché solo così possiamo continuare a sostenere la prosperità economica e il benessere umano nonostante i profondi cambiamenti in atto a livello globale. Per dirla con un passo dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile: “Riconosciamo che lo sviluppo economico e sociale dipende dalla gestione sostenibile delle risorse naturali del nostro pianeta. Di conseguenza, siamo determinati a preservare e utilizzare in modo sostenibile mari e oceani, le risorse di acqua dolce così come le foreste, le montagne e la terraferma; e di proteggere la biodiversità, gli ecosistemi e la fauna selvatica”.



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