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L’incidente sull’Autonomia e il rischio “dismissione”. Mirabelli sulla riforma

Al di là che la pubblicazione sul web del documento coi rilievi critici alla proposta di legge sull’Autonomia sia stato un errore o meno, gli effetti dell’applicazione potrebbero essere controproducenti. Secondo il presidente emerito della Corte Costituzionale occorre evitare che i poteri statali siano dismessi e che si permetta allo Stato di intervenire direttamente nelle materie di interesse nazionale

È il classico esempio di come un “inciampo” (?) tecnico si trasforma in caso politico. La pubblicazione dello studio sul disegno di legge sull’Autonomia differenziata – di matrice calderoliana – postato su Linkedin contiene i rilievi critici alla proposta legislativa, elaborati dal servizio Bilancio del Senato. Il documento ha un profilo molto tecnico ma, leggendo alcuni passaggi, emerge che la criticità principale sia legata al rischio “a carico della finanza pubblica” di maggiori oneri. Non solo. Tra le righe del documento si legge che “le Regioni più povere, ovvero quelle con bassi livelli di tributi erariali maturati nel territorio regionale potrebbero avere maggiori difficoltà ad acquisire le funzioni aggiuntive”. Le reazioni alla pubblicazione della “bozza provvisoria” non si sono fatte attendere, ma il punto di fondo è che questo disegno di legge “va rivisto”. L’opinione è di Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale.

Al netto delle polemiche, arriviamo ai rilievi di sostanza. È concreto il rischio di una divaricazione territoriale, qualora dovesse passare questo ddl?

Il rischio è concreto nella misura in cui si è immaginato che questa riforma potesse riguardare esclusivamente le regioni che chiedano e, magari, ottengano l’autonomia. E tutte le altre? L’articolo 119 della Costituzione va letto nel suo complesso. Specie nella parte in cui si fa riferimento al fatto che la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Insomma una riforma ben fatta non può essere parcellizzata: deve servire a riequilibrare il Paese, non a squilibrarlo ulteriormente.

Sotto il profilo della attribuzioni che la proposta di legge elaborata dal ministro Calderoli avanza, ossia territorializzando molte competenze, che idea si è fatto?

Il punto dirimente è più che altro concettuale. L’autonomia differenziata può anche funzionare ma non può significare una dismissione totale delle competenze statali. Tanto più, a mio giudizio, sulle questioni legate all’interesse strategico e nazionale.

Lo schema della competenza concorrente è già definito dalla Costituzione. 

Certo, ma qui si tratta di trovare un punto di caduta accettabile per l’applicazione dell’autonomia differenziata evitando riverberi negativi anche sull’integrità del territorio nazionale e cercando di garantire ai cittadini pari condizioni.

Quale sarebbe la strada migliore secondo lei?

Si può anche adottare l’autonomia differenziata, purché si preveda una clausola in favore dello Stato per le questioni di interesse nazionale nel solco del principio di sussidiarietà. A doppio senso: sia verso il basso che verso l’alto. Insomma sulle questioni di interesse nazionale, anche in caso di autonomia differenziata, occorre dare allo Stato la possibilità di intervenire direttamente. Rendendo, peraltro, questo intervento il più “agile” possibile.

Insomma la sua non è un’ostilità pregiudiziale all’autonomia differenziata. 

No, semplicemente una considerazione sul merito di come sarebbe ideale che fosse formulata la proposta di legge. Mi chiedo, comunque, se prima di formulare questa proposta non sarebbe stato utile avviare un’analisi approfondita – come accade peraltro negli altri Paesi europei – su quanto effettivamente l’autonomia differenziata possa essere o meno un beneficio per il Paese.

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