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La gigantesca opera di trasparenza voluta dal papa sul passato argentino

Senza dover aspettare i 70 anni previsti dalle regole vigenti, abbiamo già oggi, poco più di 40 anni dopo i fatti, una pubblicazione impressionante per quantità di fonti e testimonianze sin qui riservate su quanto accadde in Argentina prima e durante una delle dittature più feroci. La riflessione di Riccardo Cristiano

Arriva dall’Argentina una delle novità più importanti del pontificato di Francesco. Ed essendo un’operazione di verità su una delle pagine più tragiche della storia del Novecento non poteva che avere ramificazioni e deviazioni politiche che rischiano di farci distrarre, perdendo di vista la grande novità emersa.

“La verità vi renderà liberi”. È questo il titolo dell’opera in tre volumi, due dei quali già pubblicati e superiori alle mille pagine ciascuno, con cui la Conferenza Episcopale Argentina, che ne ha affidato la realizzazione a un gruppo di studiosi religiosi e laici, dà conto della storia Argentina e dei proprio comportamenti prima e durante la dittatura, di alcune complicità, di una diffusa inadeguatezza, ma anche del comportamento opposto, a volte eroico, di molti ecclesiastici negli anni feroci e terribili della dittatura, della giunta Videla. Nell’introduzione i vescovi parlano chiaramente delle scuse che devono per le manchevolezze innegabili di quelli anni, che videro tanti silenzi e circa 30mila desaparecidos, il furto dei figli alle madri di cultura o militanza marxista e molto altro. Tutto questo ora viene raccontato con trasparenza e fonti grazie all’apertura con decenni di anticipo di tutti gli archivi episcopali e vaticani, inclusi quelli della Segreteria di Stato Vaticana. Questa deroga fu decisa da papa Francesco proprio per la necessità di far emergere la verità.

La notizia dell’apertura anticipata degli archivi vaticani ebbe risalto, ma ora che escono migliaia di pagine sull’orrore argentino, sulle complicità, sulle debolezze, come sul coraggio di tanti ecclesiastici, comprese lettere sin qui sconosciute dell’allora nunzio a Buenos Aires che informava Roma che quella dei desaparecidos era un’operazione preordinata, la questione non è stata molto dibattuta. Ma il più autorevole quotidiano non confessionale spagnolo, El Pais, ad esempio, ha lungamente intervistato uno dei curatori dei volumi, che ricorda come Francesco dispose prima di digitalizzare tutti gli archivi, un lavoro enorme e che consentì di accertare che 3115 argentini si erano rivolti alla nunziatura per avere notizie dei propri cari scomparsi. Le risposte, spiega padre Galli, furono sempre evasive, consentendogli di affermare che il primo biennio della giunta Videla fu quello del più feroce terrorismo di Stato.

Leggendo emerge che esiste una lista di almeno 30 nomi, sono quelli che furono salvati dall’attuale pontefice, Jorge Mario Bergoglio. Si deve proprio all’attuale pontefice la notizia di questa opera, visto che l’ha citata, senza far alcun cenno a questa lista di cui ho trovato traccia solo su El Pais, neanche nei giornali argentini. Il papa ne ha parlato infatti con i gesuiti che ha incontrato in Ungheria durante il suo recente viaggio apostolico, rispondendo a una domanda sulla questione dei due gesuiti, Orlando Yorio e Francisco Jalics, che “per sua responsabilità” sarebbero stati arrestati e torturati a quel tempo dai golpisti. Il punto è affrontato nei volumi in questione ed emerge che Bergoglio – al tempo superiore dei gesuiti argentini – scrisse personalmente ai vertici della giunta militare e si attivò insieme al Nunzio Apostolico per ottenerne la liberazione. Uno dei due sequestrati, padre Jalics, in una dichiarazione pubblica ha chiarito che non ci furono complicità di Bergoglio con il loro arresto, che determinò anche la loro tortura, piuttosto l’arresto da parte dei militari di un collaboratore laico di padre Bergoglio.

Ciò che emerge è che Bergoglio chiese ai due gesuiti di lasciare un’opera pastorale in una borgata per la presenza di guerriglieri. Le parole precise, e sofferte, del papa, sono state pubblicate integralmente da La Civiltà Cattolica. E hanno fatto emergere che per questa storia, basata sul terribile dolore di due religiosi e del loro ex superiore, in anni recenti è stata costruita una speculazione politica che doveva portare all’arresto di Bergoglio poco prima che divenisse papa. Stiamo innanzitutto a quanto detto dal papa, riferito da La Civiltà Cattolica: “Alcuni del governo volevano ‘tagliarmi la testa’, e hanno tirato fuori non tanto questo problema di Jálics, ma hanno messo in questione proprio tutto il mio modo di agire durante la dittatura. Mi hanno, quindi, chiamato in giudizio. […] È durato 4 ore e 10 minuti. Uno dei giudici era molto insistente sul mio modo di comportarmi. Io ho sempre risposto con verità. Ma, dal mio punto di vista, l’unica domanda seria, con fondamento, ben fatta, è venuta dall’avvocato che apparteneva al partito comunista. E grazie a quella domanda le cose si sono chiarite. Alla fine, fu accertata la mia innocenza. Ma in quel giudizio non si parlò quasi per nulla di Jàlics, ma di altri casi di persone che avevano chiesto aiuto. Io poi ho rivisto qui a Roma da Papa due di quei giudici. Uno insieme a un gruppo di argentini. Non lo avevo riconosciuto, ma avevo l’impressione di averlo visto. Io lo guardavo, lo guardavo. Tra me e me dicevo: ‘Ma io lo conosco’. Mi ha abbracciato e se n’è andato. L’ho poi rivisto ancora e si è presentato. Gli ho detto: ‘Io merito cento volte una punizione, ma non per quel motivo’. Gli ho detto di stare in pace con questa storia. Sì, io merito un giudizio per i miei peccati, ma su questo punto voglio essere chiaro. È venuto anche un altro dei tre giudici, e mi ha detto chiaramente che avevano ricevuto indicazione dal governo di condannarmi. Ma voglio aggiungere che quando Jálics e Yorio sono stati presi dai militari, la situazione che si viveva in Argentina era confusa e non era per nulla chiaro che cosa si dovesse fare. Io ho fatto quel che sentivo di fare per difenderli. È stata una vicenda molto dolorosa. Jálics era un uomo buono, un uomo di Dio, un uomo che cercava Dio, ma è stato vittima di un entourage al quale lui non apparteneva. Lui stesso l’ha capito. Era l’entourage della guerriglia attiva nel luogo dove lui andava a fare il cappellano. Ma nella documentazione che è stata pubblicata in due volumi voi troverete la verità su questo caso”.

Secondo le ricostruzioni pubblicate da numerosi quotidiani argentini, nel 2010 il cardinale Bergoglio era un severo critico del governo della signora Kirchner, soprattutto per le questioni della corruzione e del narcotraffico. Per rendersi conto del clima politico argentino del tempo è bene ricordare che qualche anno dopo il giudice Nisman fu assassinato mentre si preparava per andare a deporre in Parlamento contro il governo della signora Kirchner. Vicenda torbida e che coinvolgeva trattive segrete internazionali.

Ma c’è un altro elemento che chi ha parlato delle accise a Bergoglio ha raramente omesso. Il ruolo svolto, accanto al governo Kirchner, da un giornalista definito da molti “il grande accusatore di Bergoglio”, da altri, il “grande nemico dei militari”. Si tratta di Horacio Verbitsky, che grande accusatore di Bergoglio lo è stato certamente. Nella sua storia stride un po’ però il fatto che al tempo della giunta Videla lui collaborò alla realizzazione, per mano governativa, di un libro sulla storia dell’aviazione argentina. Il giornalista Gabriel Levinas sostiene, secondo quanto pubblicato da Internazionale nel 2015, che “Verbitsky abbia lavorato per la forza aerea e che abbia scritto alcuni discorsi dei comandanti in capo Orlando Ramón Agosti e Omar Domingo Rubens Graffigna, membri della prima e della seconda giunta militare”. Verbitsky ha smentito.

Se ogni capitolo di questa storia meriterebbe una trattazione e un’attenzione specifica, non v’è dubbio che la decisione di aprire gli archivi della Chiesa argentina e del Vaticano sia quella che ha prodotto la novità più importante. Senza dover aspettare i 70 anni previsti dalle regole vigenti, abbiamo già oggi, poco più di 40 anni dopo i fatti, una pubblicazione impressionante per quantità di fonti e testimonianze sin qui riservate su quanto accadde in Argentina prima e durante una delle dittature più feroci. Forse qui abbiamo uno dei prodotti politico culturali più importanti del pontificato di Jorge Mario Bergoglio, di cui sarebbe opportuno valutare l’impatto sull’Argentina, ma non solo. La trasparenza infatti appare un metodo che l’odierno pontefice suggerisce anche in altri campi molto importanti. Ecco allora che colpisce la natura del terzo volume, quello non ancora pubblicato, dell’opera sugli anni della giunta militare: una serie di riflessioni sui tanti significati di quanto pubblicato nei due volumi presenti.



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