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Come leggere la vittoria di Erdogan in funzione degli equilibri regionali

La vittoria di Erdogan è un tassello della conservazione degli equilibri, in questa fase in cui la regione del Mediterraneo allargato “è suscettibile a cambiamenti”, spiega Dentice (CeSI). Ed è “funzionale al sistema”

Conservazione. La parola chiave dietro la vittoria di Recep Tayyp Erdogan al ballottaggio presidenziale di domenica 28 maggio è conservazione. Del suo ruolo, del sistema di potere che rappresenta, del complesso status quo che si è creato attorno alla Turchia. Erdogan è un leader complicato da gestire, ha posizioni assertive e interessi nazionali e personali che gli hanno creato poco apprezzamento nel Mediterraneo allargato, soprattutto sulla sponda mediorientale del quadrante geostrategico. E però, una sua vittoria conserva equilibri che una sua sconfitta avrebbe potuto alterare, sia direttamente — sulla base delle differenti visioni con cui il suo rivale, Kemal Kilcdaroglu, avrebbe guidato il Paese anche nei rapporti internazionali — sia indirettamente, con l’accettazione della sconfitta che avrebbe potenzialmente comportato un processo complicato di riadattamento del potere interno e fenomeni di instabilità in uno dei più determinanti Stati della regione.

Mentre Iran e Arabia Saudita avviano un processo di normalizzazione dei rapporti; mentre il Golfo dimostra la volontà di tornare a muoversi in modo coordinato e meno belligerante, anche riqualificando i rapporti con il Qatar; mentre pesano gli effetti  della pandemia e la moltiplicazione degli stessi prodotta dalla guerra russa in Ucraina; mentre la Lega Araba re-integra il sanguinario rais siriano; mentre si cerca la gestione di crisi e guerre, dallo Yemen all’Iraq, dal Libano alle relazioni con l’Afghanistan talebano; mentre Paesi leader regionali come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, cercano di sfruttare il contesto internazionale per implementare la loro capacità di proiezione negli affari globali; mentre da Riad, Abu Dhabi, Cairo, Gerusalemme si sono riavviate forme di dialogo e contatto con Ankara e con Erdogan. Ecco, mentre avviene tutto questo contemporaneamente, ci si poteva confrontare con una Turchia diversa, uscente da vent’anni di potere erdoganiano diffuso su tutte le sfere interne e proiettato all’estero?

”Più o meno ci si aspettava una vittoria di Erdogan, e da un certo punto di vista era anche plausibile auspicarsi questa vittoria per alcuni degli attori regionali: dal Golfo all’Egitto, fino a Israele, dove tutti i discorsi sulla normalizzazione dei rapporti sono ancora in cantiere, e senza un reale soggetto che potesse guidare questi progressi, che in sostanza toccano molti dei dossier regionali, si rischiavano problemi nel portare avanti certe situazioni”, risponde Giuseppe Dentice, Head del Mena Desk del CeSI. Per Dentice, c’è una questione di pragmatismo politico che porta la regione ad “auspicare una conservazione degli equilibri, ed Erdogan è un tassello di questa conservazione degli equilibri”. Differentemente, Kilicdaroglu non ha mai esplicitato troppo le visioni in politica estera, e inoltre fa notare Dentice che qualcosa poteva cambiare nei rapporti della Turchia con alcuni attori esterni, con effetti anche sui dossier mediorientali.

“In definitiva – continua l’esperto del CeSI – la vittoria è utile al contesto regionale attuale, che è molto suscettibile ai cambiamenti e una modifica profonda del potere in Turchia avrebbe potuto innescare trasformazioni non controllabili, cosa che comunque potrebbe succedere nel medio-lungo periodo. Ma la vittoria di Erdogan a oggi, e nel breve periodo, è per certi aspetti confortevole per gli equilibri in campo, in continuità con il trend regionale e fondamentalmente funzionale al sistema”. Sono anche le prime pagine dei quotidiani del Golfo a mostrare ottimismo riguardo al risultato delle presidenziali turche: la regione guardava al voto di Ankara con interesse, voleva evitare eccessivi cambi di registri ed equilibri, e così è successo. Erdogan ha contratto le libertà democratiche in Turchia, ha avviato questo terzo mandato con un discorso violento che non fa pensare a niente di buono (o di nuovo), ma il discorso riguardo alla democrazia e ai diritti non è così centrale nella regione.


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