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Cinque volte Erdogan. È l’ora per una pax del gas? L’auspicio di Politi

Conversazione con il direttore della Nato Defense College Foundation: “Erdogan? Un capo politico formidabile, ma lui stesso sa che non è eterno. Tutti sappiamo quale è il peso della storia, ma al contempo esiste la necessità di vivere e sopravvivere in un’epoca che è estremamente difficile. Siamo alla fine di un ordine mondiale dove emerge una nuova costellazione di ordini”

Un capo politico formidabile, dice di Recep Tayyip Erdogan il direttore della Nato Defense College Foundation, Alessandro Politi, che coglie l’occasione della vittoria del leader al ballottaggio di ieri per iniziare a tratteggiare come sarà il quinto lustro di amministrazione erdoganiana. Molteplici i settori di interesse, come la fronda finanziaria interna, il rapporto con l’occidente e il Golfo, gli affari con Russia e Cina, passando per un fronte al momento critico come il gas ma che, in prospettiva, potrebbe essere il passepartout per sanare ferire e riaprire canali di dialogo.

Quali saranno i primi passi di Erdogan, visto che la vittoria è stata diversa rispetto alle altre?

Continuerà la sua politica che in Asia centrale verrebbe chiamata multi vettoriale. Da un lato deve consolidare questa vittoria di misura, con un segnale chiaro di una parte di elettorato sul fatto che forse non tutto va bene come prima, un problema di tantissimi altri governanti in giro per il mondo.

Biden sta facendo lo stesso per ricostruire gli Stati Uniti, quindi c’è un tema di ricostruzione interna non solo del consenso ma anche proprio dell’economia, dei rapporti sociali, del benessere che è stato liquidato per decenni come un costo inutile. Invece oggi si scopre essere una cosa importante politicamente.

Come verranno gestire le relazioni con Ue e Usa?

Esiste un contenzioso, adesso meno visibile, ma sempre presente con gli Stati Uniti che complica la vita per quello che riguarda i prestiti da parte di Fmi, Banca mondiale. Forse la Bers potrebbe fare qualcosa di più, però bisogna capire se c’è la volontà politica. Certo, quest’Europa è molto divisa e concentrata, apparentemente, su un solo versante che è naturalmente il sostegno all’Ucraina, ma il resto del mondo non aspetta certo che l’Europa faccia una cosa alla volta. Quindi esiste l’esigenza di tenere assieme una politica molto complessa, in cui bisogna dialogare con il mondo arabo per due motivi: l’interesse concreto nell’avere la Turchia come elemento di sostegno per una serie di politiche interessanti; la normalizzazione degli Accordi di Abramo che non tocca soltanto Israele. Potremmo dire con una punta di ironia che l’accordo con l’Iran e l’Arabia Saudita è stato preparato dalla normalizzazione come causa indiretta.

Come conciliare l’esigenza di maggiori fondi in vista del post sisma e per combattere l’inflazione?

La ricostruzione non dovrebbe essere gestita secondo criteri troppo clientelari e penso che anche Erdogan sappia molto bene che determinate operazioni, a cominciare da quella di piazza Taksim, rischiano di alienargli ancora altre fette di elettorato. Ora è importante per lui gestirlo in un modo più più strutturato.

Veniamo alle spine: gas e Mediterraneo. In Russia i giornali sottolineano il ruolo turco di gas-hub.

Quando parlo di Mediterraneo mi riferisco ovviamente a Mediterraneo e al Mar Nero che è una continuazione del Mediterraneo. In questo senso è chiaro che Erdogan continuerà ad avere una politica di doppio binario con Mosca, aspettando pazientemente l’occasione di poter inserire un suo contributo, non di porsi come mediatore ma di essere un facilitatore. Occorre pazienza perché i tempi non li decide Erdogan: l’Ucraina non può oggettivamente essere la sola che può decidere quando si fa la pace. Da secoli la pace si fa non nel vuoto, ma in un contesto internazionale.

Nel Caucaso e in Asia centrale Ankara punterà a confermare un ruolo o a potenziarlo?

Le idee iniziali di una certa influenza pan turca dovranno essere calibrate su realtà molto concrete, quali appunto la crisi dell’economia turca e il momento della cooperazione, anche perché la Turchia vuole essere un punto di transito privilegiato per il gas. Ora è chiaro che ci sono dei progetti che sono finora in aperta opposizione tra di loro, come quelli turchi o l’EastMed ma credo che se alla fine ci fosse l’occasione giusta quale solo le élites di Atene e di Ankara possono creare, si potrebbe trovare un punto di equilibrio.

Partendo da dove?

A cominciare dai gasdotti per finire con la questione cipriota, che resta molto irrigidita ma che in realtà sta assorbendo energie che vanno dedicate ad altro, credo. Tutti sappiamo quale è il peso della storia quando la politica decide di ricordarsi della storia stessa, ma al contempo esiste la necessità di vivere e sopravvivere in un’epoca che è estremamente difficile. Siamo alla fine di un ordine mondiale dove emerge una nuova costellazione di ordini. Il punto fondamentale è nella capacità di far politica aumentando le proprie opportunità: in questo contesto Erdogan ha delle opportunità, ma bisogna vedere quanto si traducano in un consolidamento del consenso interno. Il sogno velato di essere un nuovo Ataturk è stato messo in discussione da un voto elettorale meno soddisfacente del passato.

Per quali ragioni?

Il nervosismo del governo turco si è visto in modo molto evidente. Certo, per carità, qualunque governo è nervoso quando non è sicuro di vincere, per cui ora sarà interessante valutare quanto tutto ciò riesca a consolidare una politica che forse dovrebbe porsi il problema anche della successione. Erdogan è un capo politico formidabile, ma lui stesso sa che non è eterno: come tutte le personalità di calibro tende in genere a fare il vuoto intorno a sé. Anche la Merkel, come abbiamo visto, ha fatto il vuoto intorno a sé.

Perché?

Perché le figure dominanti difficilmente lasciano emergere dei successori capaci, almeno fin quando sono sulla piazza. Certo, questo è un grosso problema per Erdogan circa la continuità del futuro del progetto turco nel suo complesso. D’altro canto noi che avevamo immaginato anche altri scenari, sapevamo che in realtà la politica estera turca avrebbe avuto una grande continuità. Per cui la vittoria può essere salutata oppure accettata come buona grazia, ma quello che poi alla fine importa per il popolo turco è che il cambiamento deve essere funzionale all’obiettivo della ripresa complessiva. Si apre, a mio avviso, una stagione molto interessante perché la Turchia è un attore silenzioso ma tutt’altro che assente sul Mar Nero, è confinante con una Siria di cui adesso si sta parlando anche di ricostruzione e che ha fatto ritorno nella Lega Araba.

Con quali scenari?

La considero un’altra opportunità che, naturalmente, ha le sue differenze di vedute piuttosto nette tra Turchia e Siria, ma anche punti di convergenza e sicuramente il governo di Assad punta a recuperare il pieno controllo di tutto il territorio. Come lo farà è una buona domanda perché anche lì la guerra civile è stata la dimostrazione che un determinato modo di gestire la politica interna forse non ha aiutato. Sicuramente la Turchia non smetterà di essere un Paese interessante e soprattutto non smetterà di essere un alleato nella Nato che, nonostante gli attriti bilaterali, è un alleato molto importante. La Nato non è l’Unione europea e non deve dare dei bollini di democrazia.

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