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L’acqua si ritira, emergono i responsabili. Cosa succede sulla diga di Kakhovka

La diga di Kakhovka continua ad essere costante fonte di preoccupazione a due settimane dall’esplosione. Mentre le acque si ritirano, iniziano ad emergere conseguenze non immediate. E i dubbi sulle responsabilità si riducono sempre di più. La foto dal drone di un’auto (forse) piena di esplosivi nei giorni prima del danneggiamento

A distanza di quasi due settimane dalla breccia riportata nella diga della centrale idroelettrica di Novaya Kakhovka, la situazione continua ad essere critica. Mentre l’acqua inizia lentamente a ritirarsi dalla regione di Kherson, la stima dei danni causati dall’inondazione diventa sempre più evidente. Il numero di vittime civili ammonta a 52 (35 nell’area controllata dai russi, 17 nei territori in mano alle forze ucraine), mentre risultano ancora 11 dispersi. Più di 11.000 sono le persone sfollate. Lo United Nations Development Programme, assieme al Kyiv School of Economics Institute, ha anche provato a fornire una quantificazione (almeno parziale) dei danni economici.

Le Nazioni Unite si sono subito messe in moto anche per soccorrere le vittime della tragedia.
Tuttavia, nonostante la gravità dell’emergenza, la coordinatrice delle Nazioni Unite per gli affari umanitari in Ucraina Denise Brown ha affermato che è stato negato al personale di soccorso l’accesso ai territori occupati dalle forze armate russe. “Esortiamo le autorità russe ad agire in conformità con gli obblighi previsti dal diritto umanitario internazionale,” ha commentato Brown: “Gli aiuti non possono essere negati alle persone che ne hanno bisogno.”

Ma gli esiti infausti del collasso del bacino idrico si stanno espandendo ben oltre la relativamente circoscritta area direttamente colpita dall’inondazione. La grande massa d’acqua è infatti stata contaminata da materiale organico ed inorganico durante le prime ore successive alla rottura della diga per poi riconfluire all’interno del fiume Dnepr, miscelandosi alle correnti e andando a sfociare direttamente nel Mar Nero. Le istituzioni ucraine hanno già diramato l’allarme: a Odessa fonti ufficiali asseriscono che la linea di costa dell’area cittadina si è trasformata in “una discarica e un cimitero di animali”, promulgando un divieto di balneazione a causa della rilevata presenza di agenti patogeni biologici che costituiscono una grave minaccia per la vita e la salute della popolazione locale; anche la compravendita di pesce e di altri prodotti marini è stata soggetta a forti limitazioni, poiché tali merci potrebbero essere entrate in contatto con fonti di contaminazione. Misure simili sono state prese anche nella cittadina di Mykolaiv e nel suo oblast, dove è anche stato fortemente sconsigliato il consumo di acqua proveniente dalle condutture.

Continuano nel frattempo le discussioni e le reciproche accuse su chi sia il colpevole del cedimento della diga di Kakhovka, un fatto con risvolti militari tutt’altro che trascurabili in questo preciso momento del conflitto. Ma mentre le accuse che Mosca rivolge a Kyiv vacillano di fronte ad un’analisi tecnica dell’evento, quelle rivolte dall’Ucraina alla Russia assumono sempre maggior vigore. Un team di giuristi internazionali che assiste i pubblici ministeri ucraini nelle loro indagini ha definito “altamente probabile” che il crollo della diga sia stato causato da esplosivi piazzati da soldati russi, secondo un’abitudine molto diffusa di minare infrastrutture critiche nell’eventualità di una prossima ritirata.

L’analisi delle immagini satellitari e delle registrazioni di un drone da ricognizione ucraino che sorvolava la centrale idroelettrica di Kakhovka nei giorni dell’incidente sembra avallare questa tesi: secondo queste testimonianze un veicolo civile, contenente barili di presunto esplosivo e collegato alle linee russe da un cavo, sarebbe stato parcheggiato in prossimità del punto esatto di cedimento della diga. Nonostante la forza esplosiva di questo ordigno improvvisato da solo non avrebbe potuto rompere il muro di cemento in uno stato di perfetta manutenzione, i danneggiamenti precedenti (visibili nelle immagini precedenti al giorno dell’esplosione) potrebbero aver reso la struttura della diga molto più vulnerabile, permettendo così all’autobomba di dare il colpo di grazia alla tenuta del muro.



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