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Supply chain, Usa e Uk espandono la protezione sulle materie prime

Washington e Londra hanno annunciato un nuovo accordo per rafforzare gli sforzi comuni nella diversificazione e sicurezza delle supply chain delle materie prime critiche. L’obiettivo: rendere le imprese britanniche esigibili per i fondi federali statunitensi

L’incontro tra il premier britannico, Rishi Sunak, e il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, la settimana scorsa è stato un altro passo verso l’ampliamento del friendshoring alla Gran Bretagna.

L’Atlantic Declaration, annunciata dai due leader e dettagliata in due comunicati stampa, si pone l’obiettivo di abbassare le barriere al commercio, rafforzare e integrare maggiormente la base industriale anglo-americana e collaborare sulla protezione dei dati, soprattutto nell’ottica di una cooperazione sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Nonostante le opportunità che l’economia globale sta sperimentando con “le più grandi trasformazioni dalla Rivoluzione Industriale” si legge nella nota della Casa Bianca, “allo stesso tempo la natura della sicurezza nazionale sta cambiando. Tecnologia, economia e sicurezza nazionale sono più interconnessi che mai”.

La dichiarazione congiunta pone dunque le basi per un dialogo più stretto su temi economici, tecnologici e commerciali, con un focus prioritario sulle materie prime critiche (CRMs) e la dipendenza dalla Repubblica Popolare Cinese che rende palesi i rischi di affidarsi ad unico fornitore – competitor strategico ed “entità estera pericolosa”, come richiama la definizione dell’Inflation Reduction Act (IRA).

Il tentativo di diversificare le forniture è diventato un tema scottante, soprattutto con il progressivo peggioramento delle relazioni bilaterali tra Washington e Pechino su numerosi dossier, da quello dei chip, passando per le pressioni militari su Taiwan e la mancata condanna ufficiale della Cina sull’invasione russa dell’Ucraina.

In questo contesto di tensioni, la necessità di adottare una strategia di de-risking nei confronti di Pechino ha portato gli Stati Uniti ad un dialogo sempre più approfondito con i partner d’oltreoceano: in primis con l’Australia, Paese esportatore di materie prime e con il quale esiste già un accordo di massima per consentire alle compagnie minerarie australiane di accedere agli importanti incentivi dell’Ira.

Al pari di Camberra, anche Londra gode di una relazione privilegiata con Washington, soprattutto per quanto riguarda le supply chain di materiali critici per l’industria della difesa e non solo: secondo un recente studio del dipartimento dell’Energia, sono 12 gli elementi critici per la transizione energetica nel medio termine (2025-2035), tra cui i battery metals (litio, cobalto, nichel, manganese e grafite) e le terre rare. Anche la Gran Bretagna guarda ai CRMs attraverso la lente dell’interesse e della sicurezza nazionale, avendo istituito un centro d’intelligence dedicato.

La cooperazione nella fornitura di CRMs verrà inquadrata all’interno di un accordo dedicato tra i due Paesi, con il quale verrà estesa l’esigibilità dei crediti fiscali e degli incentivi previsti dall’Ira per aziende che acquisteranno materie prime critiche processate e lavorate in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Questa accessibilità ai benefici del pacchetto legislativo – che rimane un nodo critico nelle relazioni con l’Unione europea, non esistendo al momento un free trade agreement (FTA) che possa consentirne l’estensione anche alle aziende europee – aprirà ulteriormente il mercato statunitense ai fornitori di CRMs britannici, incluse aziende che commerciano litio, nichel e terre rare. Allo stesso modo, produttori downstream britannici potranno accedere ai materiali prodotti negli Usa beneficiando allo stesso modo degli incentivi federali.

Gli Stati Uniti hanno siglato in precedenza accordi simili con il Canada e il Giappone per assicurare l’accesso alle materie prime e a materiali raffinati, utilizzati in tecnologie chiave per la transizione energetica come le batterie al litio, i magneti permanenti di terre rare e i semiconduttori.

Vi sono tuttavia alcune critiche mosse all’amministrazione da parte del Congresso, che vede questi accordi esecutivi un tentativo di bypassare l’iter legislativo che ha, secondo la Costituzione americana, il potere e l’autorità di ratificare i FTAs, ma anche delle unioni minerarie statunitensi che temono che l’estensione dell’Ira ad aziende private estere possa compromettere il revival minerario domestico.

È evidente che la questione possa essere facilmente ridiscussa con le elezioni presidenziali del gennaio 2024. L’Ira, infatti, è passata ad agosto del 2022 senza l’appoggio dei repubblicani, che rimangono fortemente ostili alla misura legislativa. Il nuovo credito fiscale per accelerare l’adozione dei veicoli elettrici (EV) – 7,500$ per ogni vettura assemblata negli Usa ma con il 40% dei materiali processati entro il 2026 di origine statunitense o da paesi partner con cui sia in vigore un FTA – è stato introdotto dal senatore Joe Manchin, democratico centrista del West Virginia.

Manchin, partecipando all’evento GigaUSA 2023 organizzato a Washington da Benchmark Minerals Intelligence, ha inoltre sottolineato le difficoltà operative che l’industria mineraria americana si trova di fronte, soprattutto per i permessi e gli studi d’impatto ambientali. Di recente è stato approvata una riforma che snellisce gli iter autorizzativi sia dei siti minerari che degli impianti di raffinazione. “La comunità degli ambientalisti deve fare i conti con la realtà” ha affermato il senatore democratico. Secondo le stime di Benchmark, gli Usa potrebbero catturare il 3.4% del mercato della produzione di idrossido di litio e meno dello 0.5% di ossido di cobalto, solfato di nichel e grafite entro il 2030, ovvero materiali precursori per la produzione di catodi e anodi per le batterie elettriche.

Si tratta di cifre irrisorie rispetto alla domanda prevista solo negli Stati Uniti. Dal passaggio dell’Ira a maggio 2023, sono stati annunciati 49 progetti lungo la supply chain delle batterie, con circa 50 miliardi di dollari di investimenti inclusi quelli esteri da Corea del Sud, Giappone e Germania, per un totale di 909 GWh di capacità industriale per le celle di batterie entro il 2030. Otto nuovi siti minerari sono stati annunciati, per litio, grafite e cobalto.

La Gran Bretagna ha di recente lanciato un’iniziativa per mappare il potenziale minerario dell’isola. Il British Geological Survey ha prodotto per il Critical Minerals Intelligence Centre (CMIC) un report che identifica i siti d’interesse geologico. Il governo ha indentificato 18 metalli e minerali nell’elenco delle CRMs, tra cui metalli per batterie come cobalto, manganese, nichel e grafite. Attualmente, sono ottenuti quasi esclusivamente da operazioni di estrazione e raffinazione in altri Paesi. È attualmente operativo solo un sito industriale per la raffinazione del litio, mentre con il fallimento di Britishvolt il governo si interroga sui limiti della strategia industriale per le batterie.

In conclusione, la dichiarazione congiunta getta le basi per un futuro accordo commerciale tra i due paesi, che nel caso statunitense dovrà essere discusso al Congresso. La Gran Bretagna già è un netto esportatore di materie prime per batterie negli USA, seppur in volumi esigui. La possibilità di estensione dell’IRA alle aziende britanniche potrebbe dunque essere un vero e proprio booster per siglare un FTA con il partner storico d’oltreoceano, obiettivo dichiarato del Partito Conservatore inglese già nel manifesto per le elezioni del 2019.



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