Il viaggio del presidente statunitense in Cina sarebbe un’occasione per dare sia a Washington che a Pechino spazi per raccontarsi vincitori in questo braccio di ferro tattico. Speculazioni mentre il disgelo sembra complicatissimo
Da qualche giorno tra i corridoi di Washington circola un’idea affascinante: il presidente Joe Biden potrebbe viaggiare in Cina nei prossimi mesi. Si tratta di una speculazione ragionata, abbinata a qualche rumor che per ora è davvero impossibile da decifrare. Tuttavia ci sono stati almeno due deboli segnali che il presidente degli Stati Uniti potrebbe visitare Pechino e che potrebbe farlo tra non troppo.
Vale la pena raccontate il contesto perché rispetto a qualche settimana fa, quando un potenziale viaggio sembrava lontano, qualcosa potrebbe cambiare, e tutto va nell’ottica di quel complicatissimo “disgelo” delle relazioni con la Repubblica popolare cinese di cui lo stesso Biden ha parlato con gli altri leader del G7 a Hiroshima. Disgelo che tuttavia si muove parallelamente a posizioni severe come quelle prese dai sette in Giappone o a delicatissime attività militari come l’incrocio tra navi da guerra cinese e americana nello Stretto di Taiwan, due giorni fa, oppure l’assenza di comunicazione military-to-military.
In primo luogo, l’idea del viaggio è stata discretamente ventilata sul suo Substrack da Bill Bishop, non certo l’ultimo dei commentatori che seguono la politica cinese, due settimane fa: il leader cinese Xi Jinping, “piuttosto che incontrare Biden a Nuova Delhi (per il G20, ndr) o a San Francisco (per l’Apec, ndr), potrebbe invitare sinceramente il presidente [statunitense] a visitare la Cina”. Certi slanci non sono casuali, di solito.
Poi, durante il fine settimana è stato annunciato da Foggy Bottom il viaggio in Cina (e Nuova Zelanda) di Daniel Kritenbrink, l’assistente del segretario di Stato per gli Affari dell’Asia Orientale e del Pacifico. La sua visita arriva a valle di una serie di contatti di medio e alto livello che vedono nel viaggio cinese del capo della Cia, Bill Burns, il loro culmine. Biden ha spesso usato Burns — volato a Pechino a maggio, prima del G7 — per gestire una diplomazia parallela molto delicata. Girano voci che Kritenbrink abbia come obiettivo quello di verificare se ci sono le condizioni per una visita di Biden.
Nei confronti dell’attuale tentativo di disgelo tra Stati Uniti e Cina c’è un generale scetticismo: le posizioni difficilmente cambieranno presto, il confronto ha assunto da tempo il valore narrativo strategico e tornare indietro è difficile perché diventa un’operazione da inculcare nel dibattito pubblico (e dunque politico). Tuttavia va sottolineato che una visita di Biden a in Cina “spunterebbe” un bel po’ di caselle nelle relazioni, forse lasciando contente sia Washington che Pechino.
Tutto sarebbe utile nei confronti delle proprie collettività, all’interno delle quali ci sono diversi angoli che chiedono una distensione. Ma anche per farsi vedere come potenze responsabili agli occhi di un’ampia schiera di Paesi terzi che vuole evitare di subire i contraccolpi di una nuova, più aspra Guerra Fredda — e che percepisce i recenti rischi ventilati dai leader della Difesa di Cina e Usa a proposito di una guerra combattuta tra i due Paesi attorno a Taiwan.
La visita porrebbe Biden nella posizione quasi supplicante di andare da Xi, piuttosto che il contrario. Ma l’americano potrebbe rivendicare quella responsabilità e ragionevolezza come ragione alla base dell’eventuale viaggio. La visita darebbe a Xi anche la scusa per ricambiare partecipando al vertice Apec di San Francisco a novembre, al quale alcuni hanno ipotizzato che la parte cinese voglia essere presente (probabilmente per controllare meglio la propria narrativa). Ma allo stesso tempo l’americano potrebbe rivendicare di aver sbloccato la relazione in una doppia direzione.