Washington vuole far sapere che si sta impegnando per dialogare con Pechino. I contatti negli ultimi quattro mesi, dopo il gelo del pallone-spia, ci sono stati, ma la Cina dimostra di volersi impegnare di più sul lato commerciale che in quello strategico. Il ruolo del capo della Cia potrebbe essere quello di creare una rete di relazioni ampie e discrete
William “Bill” Burns è un diplomatico di carriera, esperto e apprezzato, che adesso è direttore della Cia. Ossia è il capo della più importante agenzia di intelligence del mondo: e questo ruolo, unito alle capacità di gestire i contatti diplomatici acquisite negli anni, lo hanno reso l’uomo perfetto per testare sul campo la situazione delle relazioni con la Cina. Per tale ragione l’amministrazione statunitense ha deciso di inviarlo a Pechino, a maggio, per parlare con alti funzionari del Partito e dello Stato e capire come sarebbe stato possibile procedere a quel “disgelo” che — pochi giorni dopo del rientro a Langley di Burns — il presidente Joe Biden avrebbe annunciato al G7 di Hiroshima come un obiettivo e un impegno sul breve termine. La diplomazia parallela condotta dall’uomo dell’intelligence non è una novità. I direttori della Cia hanno più volte vestito i panni di ambasciatori usando canali discreti.
Narrazioni e interessi
Burns si trova in una posizione unica per intraprendere un dialogo che può potenzialmente contribuire all’obiettivo dell’amministrazione Biden di stabilizzare i legami e di mettere una base alle relazioni. Se avrà raggiunto il suo obiettivo sarà il tempo a dircelo. Quello che sembra chiaro è che Washington intende fare sul serio. E non solo perché Biden lo ha annunciato davanti al leader del Gruppo dei Sette, cuore delle alleanze internazionali americane, ma perché la volontà di far uscire la notizia del viaggio di Burns è evidente. Poteva restare segreto, come fino a qualche ora fa. Poi una fonte ne ha rivelato alcuni (pochi in realtà) dettagli al Financial Times e la notizia è stata ripresa e analizzata da tutti i media del mondo.
Significa che Washington vuol far sapere pubblicamente, innanzitutto alla sua controparte, che il suo impegno c’è. Allo stesso modo il Pentagono ha reso pubblico il rifiuto di Pechino di far incontrare il segretario alla Difesa statunitense con il ministro omologo cinese. Dovevano parlarsi, e non solo incontrarsi di sfuggita, alla Shangri-La Dialogue di Singapore, conferenza a cui partecipano entrambi come panelist di eccezione: sarebbe stato un buon modo per recuperare il dialogo military-to-military, ma Pechino non ha voluto. Anche quando il Consigliere per la sicurezza nazionale americano e il capo della diplomazia del Partito Comunista cinese si sono incontrati a Vienna, meno di tre mesi fa, sono stati gli americani a far uscire la notizia. E sempre gli americani hanno ospitato il ministro al Commercio cinese una dozzina di giorni fa, annunciandolo con ampio anticipo. È tutto un gioco di comunicazione, psicologia, percezione, in definitiva narrazione.
E tutto unito a un interesse: non aprire una nuova Guerra Fredda, perché sarebbe molto più complessa di quella contro i sovietici. Se è vero che la vicenda del pallone spia cinese intercettato, abbattuto sui cieli americani ha fatto saltare (a inizio febbraio) la visita a Pechino di Antony Blinken, è anche vero che lo stesso segretario di Stato si è incontrato due settimane dopo dell’annullamento con Wang Yi, perché il capo della diplomazia del Partito/Stato era ospite con Blinken della Munich Security Conference. E però è anche vero che la Cina sta traccheggiando sulla riorganizzazione del viaggio, adesso che gli Stati Uniti sarebbero disponibili (è un braccio di ferro di nervi e diplomazia su cui per esempio Burns avrà potuto usare le sue capacità).
Contatti e attenzioni
Dopo il non-viaggio di Blinken, ad andare in Cina era stato il vice segretario di Stato Rick Waters, la terza settimana di marzo, seguito dall’incontro di Vienna tra Wang e il consigliere Jake Sullivan. In quei giorni, stando al taccuino di chi scrive, anche il ministro degli Esteri cinesi, Qin Qiang, aveva ospitato a Pechino un incontro con la business community statunitense. La prima settimana di aprile, due funzionari senior del dipartimento del Commercio, Elizabeth Economy e Scott Tatlock, si sono recati a Pechino e Shanghai per gettare le basi per il successivo incontro tra Gina Raimondo e Wang Wentao (quello di di pochi giorni fa). E a metà maggio il climate czar John Kerry ha parlato con l’omologo cinese, Xie Zhenhua.
In definitiva, il reale blocco dei contatti c’è stato in quelle settimane di febbraio in cui a Pechino si riuniva la Conferenza politica consultiva del popolo cinese e l’Assemblea nazionale del popolo, ossia nel momento in cui il Partito/Stato aveva bisogno di dimostrare ai suoi cittadini, con la narrazione, una linea dura con gli Usa durante la doppia assise istituzionale. Però, Pechino sta privilegiando i contatti organizzati sul fronte economico e commerciale (non vanno dimenticati gli incontri in queste ore di Jamie Dimon ed Elon Musk), mentre Washington ha cercato di allargarli al lato strategico (politico e militare). Il ruolo di Burns è probabilmente quello di aprire un ulteriore canale, discreto e silenzioso, per gestire l’insieme delle relazioni. Un’opportunità anche per la Cina, che potrebbe continuare a tenere una linea apparentemente più severa ma nei fatti più disponibile a certi dialoghi.