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Chip, ecco perché il mercato cinese conta per Stm (e non solo)

L’azienda italo-francese ha stretto una joint venture con la cinese Sanan Optoelectronics per costruire un nuovo impianto a Chongqing. L’obiettivo: catturare la crescente domanda interna di semiconduttori per veicoli elettrici, applicazioni industriali e infrastrutture energetiche green. Un segno che il decoupling è più selettivo di quanto si immagini…

Il secondo più grande chipmakers europeo, STMicroelectronics – azienda con partecipazione dello Stato italiano e quello francese, con sede ad Agrate Brianza e Crolles, Francia – ha siglato una partnership con Sanan Optoelectronics.

Fondata nel 1993 a Xiamen, nella regione del Fujian, Sanan è un’azienda di chip che opera in diversi segmenti del business dei semiconduttori, tra cui i wafer per celle solari e leader nella produzione di chip per Led. Tra i suoi clienti si annoverano i produttori di monitor, dispositivi per l’illuminazione e mobile, i display dei computer e delle Tv. L’azienda è quotata alla borsa di Shanghai, con un market cap di circa 12 miliardi di dollari.

L’azienda vede tra i suoi azionisti di maggioranza lo Stato cinese, attraverso le quote detenute dalla Sasac (State-owned Assets Supervision & Administration Commission) di Changsha. Proprio per le sue connessioni con Pechino, l’azienda era stata inizialmente inserita nella ‘Unverified List’ dalle autorità federali americane nel corso della guerra commerciale e tecnologica con Huawei, salvo poi essere depennata nel 2019. Nello stesso anno, l’azienda ha ricevuto un totale di 95 milioni di dollari in sussidi dal governo.

Nel dicembre del 2022, Sanan aveva annunciato che attraverso la sua sussidiaria Hunan Sanan si era assicurata una letter of intent (Loi) per siglare contratti di fornitura di chip al carburo di silicio (SiC) per i produttori cinesi di veicoli elettrici dal valore di oltre 524 milioni di dollari. L’azienda, nella fonderia esistente a Chanhsha e l’unica verticalmente integrata esistente in Cina, possiede una capacità produttiva di 500.000 wafer di SiC.

Il contesto di rapida crescita del mercato dei veicoli elettrici (Ev) in Cina e dell’adozione su scala delle energie rinnovabili ha dunque convinto STM a rafforzare la sua presenza industriale nel paese, considerando la crescente domanda di dispositivi SiC. Solo nel 2022, le vendite dell’azienda italo-francese al settore automotive e dei chip discreti hanno contato per il 37%, seguiti dai microcontrollori al 32% circa e dal 30% dei dispositivi analogici. La maggior parte delle vendite sono state effettuate in Asia, con il 63% seguite dall’Europa (23%) e dalle Americhe (14%).

La divisione automotive, infatti, continua a trascinare il gruppo con la crescente adozione dei dispositivi al carburo di silicio – nonostante la scelta di Tesla, tra i principali clienti di STM, di ridurne il consumo nei suoi Ev. In Cina, la popolarità dei modelli elettrici di BYD e Nio, due altri produttori di auto che utilizzando i SiC, costituisce un chiaro segnale per l’espansione del mercato. Secondo i calcoli della US International Trade Commission, un tipico modello Ev contiene chip per un valore di 1.000 dollari, rispetto ai soli 330 di un auto convenzionale. Un mercato in espansione, che rimane per vendite controllato da aziende europee, giapponesi e americane (Figura 1, Rhodium Group).

Stm e Sanan, dunque, hanno siglato un accordo per investire circa 3.2 miliardi di dollari in un impianto per produrre questi dispositivi, come specifica in una nota l’azienda europea, inclusi un investimento Capex di circa 2.4 miliardi nei prossimi cinque anni. Stm ha specificato, inoltre, che si aspetta di ricevere supporto finanziario dalle autorità locali.

La joint venture produrrà wafer al carburo di silicio da 200 mm con le tecnologie STM, con la produzione che potrebbe iniziare a partire dal quarto trimestre del 2025 e piena capacità operativa nel 2028, a supporto dell’elettrificazione della flotta automotive in Cina oltre a dispositivi industriali ed energeici. In parallelo, Sanan costruirà un impianto parallelo, utilizzando i propri processi industriali, che si aggiungerà a quelli già esistente a Chanhsha (Sasan) e a quello di Shenzhen di proprietà di STM.

“La Cina si sta muovendo velocemente verso l’elettrificazione dell’auto e dell’industria e questo è un mercato dove STM è già ben posizionato con numerosi programmi e clientela”, ha dichiarato Jean-Marc Chery, ceo dell’azienda. “Creare una fonderia dedicata con i clienti locali è il modo piùefficiente per servire la rapida crescita della domanda dei produttori cinesi”. STM si aspetta entrate per oltre 5 miliardi di dollari solo dal segmento automotive entro il 2030 per i suoi dispositivi al carburo di silicio.

Parole che evidenziano molto bene le difficoltà insite nel processo di decoupling nell’industria dei semiconduttori, specialmente in quei segmenti tecnologici dove ad oggi, la scure del Dipartimento del Commercio americano non è ancora calata. Da una parte, la Cina – e in generale l’Asia-Pacifico – rimane un mercato imprescindibile per chipmakers come STM e Global Foundries, che hanno da poco annunciato un nuovo impianto in Francia. Secondo Bai Ming, direttore di un’agenzia di ricerca presso la Chinese Academy of International Trade and Economic Cooperation, la joint venture dimostra come la Cina rimanga un mercato attraente per i chipmakers esteri, nonostante i tentativi di Washington di bypassare Pechino.

In questo settore specifico, si tratta di una mezza verità. I chip più maturi (28, 45 o 90 nanometri) sono quelli più impiegati per applicazioni industriali, automotive e dell’IoT. Settori che rimangono ben al di sopra del radar americano, e che dunque non pongono secondo le autorità statunitense un rischio diretto per la sicurezza nazionale. Tuttavia, da un punto di vista di resilienza e sicurezza della supply chain i dati di Rhodium Group dimostrano che gli investimenti in nuove capacità produttive (fab) si sono concentrati tra Taiwan e Cina, con rispettivamente il 33 e il 27% dello share per chip tra i 20 e i 45 nanometri. Inoltre, le aziende americane che disegnano chip su questa scala nanometrica dipendono quasi esclusivamente da contratti di fornitura da fonderie concentrate all’estero.

È per questo che l’importanza strategica dei semiconduttori da un punto di vista industriale (e ingegneristico) non deve necessariamente crescere al diminuire dei nanometri, che coincide con applicazioni come l’IA, il 5G e il supercalcolo che sono, al contrario, sottoposti alla rigidissima supervisione e controllo secondo le restrizioni poste in essere dal governo statunitense lo scorso ottobre.

 

 

 

 

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