L’eventuale egemonia cinese a livello mondiale nei due settori non deve essere considerato un problema di competizione commerciale fisiologica con gli Stati Uniti, ma un rischio in termini di sicurezza nazionale per tutte le nazioni
Il cloud computing è al centro della guerra fredda digitale che oppone Stati Uniti e Cina, sottolinea il New York Times. Alibaba, Tencent, Baidu, Huawei e Zte sono le cinque ammiraglie cinesi che (favorite dagli incentivi pubblici del Dragone e dai bassi salari) stanno cercando di occupare quote di mercato sempre più grandi in tutti i continenti vendendo a bassi prezzi le loro piattaforme, servizi e infrastrutture cloud.
In Cina, inoltre, le ricerche molto avanzate nel campo dell’Intelligenza artificiale si intersecano sempre più strettamente con i più avanzati progetti di cloud computing. Questa convergenza è confermata dall’impostazione di Alibaba che punta con decisione in questa direzione sia in campo commerciale che della ricerca tecnologica.
L’eventuale egemonia cinese a livello mondiale nel binomio cloud/Ai non deve essere considerato un problema di competizione commerciale fisiologica con gli Stati Uniti, ma un rischio in termini di sicurezza nazionale per tutte le nazioni date le potenziali implicazioni in termini di spionaggio economico, politico e scientifico.
L’Europa dovrebbe lanciare con molta più energia l’allarme sui pericoli rappresentati dal Dragone rispetto ai valori propri delle società aperte: libertà politiche e civili, libertà di pensiero, iniziativa privata, diritti del lavoro pluralismo culturale e religioso. Negli ultimi tempi un primo passo concreto è aver aperto alle big tech americane ponendo giustamente la condizione che i loro data center siano collocati all’interno dell’Unione europea.
Si tratta di un passo importante non tanto per i profili giuridico-regolamentari (è praticamente impossibile controllare i flussi di dati ai sensi del Gdpr), ma perché si tratta di investimenti che favoriscono il trasferimento di know-how, la collaborazione e lo scambio tecnologico tra Stati Uniti e Unione europea. Identico discorso dovrebbe valere oggi per l’Intelligenza artificiale. I cittadini europei che andranno a votare alle elezioni del 2024 per il Parlamento non devono farsi illusioni. Con buona pace dei giuristi di fronte al tumultuoso sviluppo della tecnologia le regolamentazioni servono sino a un certo punto. L’ulteriore penetrazione digitale cinese in Europa non si ferma certo con il rispetto formale delle regole.
I politici sanno (o dovrebbero sapere) quanto sia difficile e affannoso per le norme rincorrere processi e scoperte quando lo sviluppo tecnologico si muove a ritmi super accelerati. Per quanto riguarda il breve e medio dopo anni di incertezze la Commissione europea ha finalmente scelto una strada realistica che tiene conto dei gravi ritardi del nostro continente. Nel corso dell’ultimo anno si è deciso di cooperare in ambito euroatlantico coinvolgendo il governo e le imprese statunitensi.
Ma se in un futuro non troppo lontano se i leader europei volessero davvero raggiungere l’autonomia strategica e la sovranità tecnologica europea il fattore decisivo non è la produzione di regole, ma la produzione di tecnologie ai livelli più avanzati. Per farlo inutile continuare con i finanziamenti a pioggia o inseguire programmi inconsistenti tipo GaiaX e Open Ran. Serve concentrare gli sforzi per lanciare un progetto vincente: l’Europa c’è riuscita con Airbus in campo aeronautico perché non provarci sul serio anche nel comparto digitale?