Nel volume “In mare aperto” la rivista dei gesuiti pubblica i discorsi di papa Francesco rivolti ai loro autori che dieci anni fa furono ricevuti dal pontefice. Ecco il senso delle sue parole lette da Riccardo Cristiano
Proprio dieci anni fa Francesco riceveva i suoi scrittori, quelli che compongono un collegio di autori che ogni quindici giorni pubblicano una rivista, La Civiltà Cattolica. Ora i suoi discorsi a questi gesuiti sono raccolti in un volume, intitolato “In mare aperto”.
Per coglierne il senso occorre ricordare che quando si compirono i 170 anni dalla decisione di Pio IX di chiedere alla Compagnia di Gesù di fondare La Civiltà Cattolica, il 30 dicembre 2019, papa Francesco ha scritto a quelli che costituiscono il collegio degli scrittori (e giornalisti) del papa: “Continuate a vivere la dinamica tra vita e pensiero con occhi che ascoltano, sapendo che la «civiltà cattolica» è quella del buon samaritano. Vi auguro di essere creativi in Dio esplorando nuove strade, anche grazie al nuovo respiro internazionale che anima la rivista: si sentono salire dalle pagine le voci di tante frontiere che si ascoltano. Fate discernimento sui linguaggi, combattete l’odio, la meschinità e il pregiudizio. E soprattutto non accontentatevi di fare proposte di rammendo o di sintesi astratta: accettate invece la sfida delle inquietudini straripanti del tempo presente, nel quale Dio è sempre all’opera”.
Queste parole spiegano il titolo e ci rimandano a due terne di vocaboli-guida che il papa nel corso degli anni ha dato ai suoi scrittori, vocaboli-chiave. Dunque dieci anni dopo la prima udienza accordata dal papa al collegio dei suoi scrittori, La Civiltà Cattolica, raccogliendo i discorsi e i messaggi indirizzatigli da Francesco ce le ricorda. E non è un lavoro che riguarda solo loro. Facile capire perché. Infatti la prima terna è “dialogo, discernimento, frontiera”, la seconda “inquietudine, incompletezza, immaginazione”. Si scorge poi una variante della prima, “ponte, frontiera, discernimento”.
A mio avviso si tratta di indicazioni che, prese nel valore culturale e metodologico che hanno, appaiono indicazioni valide per tutto il giornalismo, non soltanto per quello “degli scrittori del papa”. Non tutto il giornalismo può essere chiamato a seguire la consapevolezza che la “civiltà cattolica” è quella del buon samaritano, questo è ovvio: nessuno più propone una confessionalizzazione dell’informazione, tanto meno Francesco. Qui c’è però la capacità di spiegare a se stessi chi i cattolici siano, quale la loro “civiltà”. E non sempre accade così chiaramente in quello come in altri campi culturali. Ma l’indicazione va colta nel senso complessivo di queste riflessioni del papa, a partire ovviamente dal plauso al “respiro internazionale”acquisito dalla rivista, pubblicata in più lingue e dotata di corrispondenti che portano letture a Roma più che riceverne da essa: un’indicazione che può valere per l’informazione in sé come sollecitazione, raccomandazione metodologica soprattutto in questi tempi nei quali l’incontro tra cosmo e polis, tra globale e locale appare decisivo e richiede la capacità di leggere il mondo non con un occhio unico.
Le urgenze che Bergoglio presenta, discernere sui linguaggi, combattere l’odio, la meschinità e il pregiudizio, ci portano infatti nel cuore dei fatti odierni e presumibilmente di domani. Dunque sono le due attitudini che emergono di qui a fare la differenza: far sentire le voci delle tante frontiere che si ascoltano e accettare le inquietudini straripanti del tempo presente. Francesco, con l’usuale forza comunicativa , al riguardo delle frontiere, dice che non vanno addomesticate! “Ma non cadete nella tentazione di addomesticare le frontiere: si deve andare verso le frontiere e non portare le frontiere a casa per verniciarle un po’ e addomesticarle”. Sono queste le indicazioni che mi sembrano una road map urgente per tutti, sebbene il papa si spieghi in termini di fede che gli scrittori del papa devono compiere con visione cattolica: “Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, è urgente un coraggioso impegno per educare a una fede convinta e matura, capace di dare senso alla vita e di offrire risposte convincenti a quanti sono alla ricerca di Dio”.
Siamo dunque alla prima terna: dialogo, discernimento, frontiera. Fu indicata da Francesco agli scrittori de La Civiltà Cattolica nell’udienza di dieci anni fa, il 14 giugno 2013, a ridosso della sua elezione a Pontefice, e al riguardo del dialogo padre Spadaro nel commento sottolinea che “la vis polemica resta un valore se diretta contro «le ipocrisie frutto di un cuore chiuso, malato». La Civiltà Cattolica è chiamata in questo senso a una missione di denuncia. Ma la pars destruens non è affatto sufficiente. Il primo scopo della rivista è quello di «costruire ponti», di dialogare con la cultura contemporanea, con l’uomo di oggi”.
Dopo la parola dialogo, la seconda parola è discernimento. È proprio dei gesuiti parlare di discernimento. Dunque nulla di sorprendente, ma il senso dato alla raccomandazione è fortissima: «Con intelligenza umile e aperta “cercate e trovate Dio in tutte le cose”, come scriveva sant’Ignazio. Dio è all’opera nella vita di ogni uomo e nella cultura: lo Spirito soffia dove vuole. Cercate di scoprire ciò che Dio ha operato e come proseguirà la sua opera». Commenta Spadaro: “Il discernimento spirituale evangelico che deve guidare La Civiltà Cattolica è quello capace di riconoscere «la presenza dello Spirito di Dio nella realtà umana e culturale, il seme già piantato della sua presenza», ha affermato il Papa. L’inserimento nel mondo è esigente: significa direttamente esercitare «studio, sensibilità, esperienza», ma significa anche esercitare un’osservazione informativa ampia, obiettiva e tempestiva”.
Il discorso rimane profondamente bergogliano passando al terzo vocabolo, frontiera. È forse il punto più importante per cogliere il metodo raccomandato a chi informa, perché non serve soltanto la cartina geografica per trovare le frontiere: lo spiega in modo sintetico e brillante padre Spadaro: “Quali sono queste frontiere? Certamente un sinonimo di «frontiere» molto caro a papa Francesco è quello di «periferie esistenziali». Ricordiamo ciò che l’allora cardinale Bergoglio ha scritto e consegnato all’arcivescovo dell’Avana, il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, contenente quattro punti essenziali dell’intervento tenuto in occasione delle Congregazioni generali che hanno preceduto il conclave: «La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mistero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e dell’indifferenza religiosa, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria».
È però l’altra terna quella che comunque dovrebbe colpire chiunque abbia a che fare con la comunicazione e l’informazione: inquietudine, incompletezza, immaginazione. Qui lo dirò cercando con parole mie di collegare i tre elementi. Il papa, un tempo definito “pastor angelicus”, se raccomanda l’inquietudine deve essere inquieto. L’inquietudine è l’inquietudine della ricerca, senza la quale saremmo sterili. Dunque non c’è sospetto verso la ricerca in virtù di una sicurezza della dottrina. Se usciamo dal campo cattolico, troviamo in questo un’indicazione importantissima comunque, perché ogni dottrina (o ideologia) dovrebbe o potrebbe essere accolta così.
Si arriva allora all’incompletezza, o meglio alla consapevolezza di essa, che a mio avviso ci salva: si tratta della consapevolezza dell’incompletezza del proprio pensiero. Solo cosi ci si può aprire, uscire dalle gabbie dei preconcetti, dall’assolutismo, cioè dal pensiero rigido. In virtù di questo, io credo solo così, si riesce a vivere e operare con immaginazione, consapevoli delle “ necessarie ambiguità della vita”. Osserva padre Spadaro: “Ma bisogna penetrare questa ambiguità, non restarne fuori. E in questo senso Francesco intende l’espressione poetica come porta di ingresso in questo territorio”.