La corsa alla Casa Bianca è partita e l’Intelligenza Artificiale rivestirà un ruolo centrale per l’intera campagna elettorale. Da Biden (ad oggi leader indiscusso dei democratici) a Trump, passando per Ron DeSantis, Tim Scotto, Nikki Halley e Mike Pence: ecco i loro approcci alle questioni tech
Se le scorse presidenziali americane hanno visto come grandi protagonisti i social network, quelle del prossimo anno avranno inevitabilmente l’Intelligenza Artificiale come tema se non primario, quantomeno centrale. La lotta che gli Stati Uniti hanno lanciato alle Big Tech è tutto fuorché vicina dall’essere risolta. Al contrario, in seno all’America convivono approcci differenti, tra chi vorrebbe più lassismo e chi invece predica maggior controllo. Su una questione sembrano essere tutti d’accordo: tenere gli strumenti prodotti in Cina, come TikTok, lontano dal territorio statunitense o quantomeno vivisezionarli nel profondo prima di ammetterli, sebbene questo voglia dire correre il rischio di mettersi contro parte dell’elettorato più giovane.
La restante fetta di votanti, invece, vorrà capire eccome cosa intende fare il futuro presidente del loro Paese in merito all’IA. La questione è diventata ancor più urgente nel momento in cui a chiedere una stretta, seppur equa, sono stati proprio i vari Ceo di aziende leader del settore, che hanno provato a rassicurare sui benefici delle loro invenzioni ma hanno anche messo in guardia sui loro aspetti più negativi, da evitare tramite regole chiare e a vantaggio di tutti – cittadini, privati, Stato. Ecco dunque una panoramica del rapporto tra l’IA e i più rilevanti politici che hanno presentato la loro candidatura per le elezioni del novembre 2024.
Joe Biden
Iniziamo dal presidente in carica, nonché front runner dei democratici alle prossime elezioni. Salvo sorprese clamorose, sarà lui a guidare nuovamente il partito. Joe Biden ha ripreso i discorsi iniziati, ma poi accantonati, da Donald Trump su TikTok, per cercare di trovare un accordo tra la società cinese e il governo americano. Ad oggi non è ancora stato stipulato, essendoci in corso delle trattative che dovrebbero portare al Project Texas, ovvero alla costruzione di un data center dove conservare le informazioni degli oltre 100 milioni di americani registrati sulla piattaforma. Il capo della Casa Bianca ha anche chiesto una ristrutturazione interna all’app per poter continuare a operare sul territorio americano, una condizione accettata dalla controparte, che per rassicurare ha perfino inviato il suo Ceo, Zi Chew, a testimoniare di fronte il Congresso sui potenziali rischi del social network, così come avevano fatto altri suoi omologhi tempo addietro. Il problema risiede però nel governo cinese. L’amministrazione Biden è convinta che sia Pechino a muovere i fili di TikTok – con prove più o meno concrete alla mano – e questo rappresenta un ostacolo non di poco conto. Washington ha anche innescato una guerra di export con la Cina, bloccando tutti gli strumenti che possano aiutarla nel perseguire i suoi interessi poco democratici. Nel frattempo, cerca di dare una regolata generale all’intero settore. Testimonianza ne è il suo Bill of Right e altre misure per promuovere gli aspetti positivi dell’IA e ridurre i suoi pericoli. Dovrà tuttavia farsi capire anche dagli alleati europei, un po’ scettici sul suo approccio.
Donald Trump
Se c’è un candidato che punta tutto sul consenso digitale, quello è sicuramente The Donald. L’ex presidente americano è stato bandito dai social network dopo i fatti del 6 gennaio 2021, inerenti all’assalto al Capitol Hill. L’esilio forzato lo ha spinto a creare la sua piattaforma, Truth, che già dal nome lascia capire cosa voglia promuovere. La libertà di parola è un elemento fondante per Trump, sposato a pieno anche da Elon Musk che infatti lo ha invitato a tornare su Twitter. Offerta rifiutata, perché al former presidente non conviene per una serie di motivi (che abbiamo sintetizzato qui). Ciononostante il tema rimane, in quanto un ritorno alla Casa Bianca di Trump potrebbe davvero combaciare con un lassismo nei confronti di ciò che viene pubblicato sui social network. Il tycoon di Manhattan, quando era a Washington, aveva promosso di revocare l’immunità alle Big Tech, prevista nella sezione 230. Inoltre, aveva lanciato l’American AI Initiative con cui incentivava la ricerca, promuoveva la formazione di nuovi lavoratori, prometteva linee guida partorite dal governo per regolare l’IA e collaborazione con altri Paesi, sempre tenendo fede agli interessi nazionali. Il che lo ha portato a combattere la Cina anche in tema tecnologico, forse una delle poche somiglianze che lo accomuna al suo successore.
Ron DeSantis
Se Biden può dormire sonni tranquilli in vista delle primarie, molto meno sereno può stare Trump. Non solo per i processi che lo vedono imputato – che, secondo la legge americana, anche in caso di condanna non gli impedirebbero di venire eletto – ma anche per via della concorrenza interna. Quella più forte è inevitabilmente rappresentata da Ron DeSantis. Il governatore della Florida è passato da delfino a nemico principale di The Donald, sebbene abbia sottoscritto un disegno di legge per vietare alle piattaforme social la sospensione degli account dei candidati nel periodo pre elettorale. Probabilmente, un’idea nata con il caso Trump ma anche figlia della sua lotta alle Big Tech californiane. Da governatore ha cercato per quanto possibile di limitare lo strapotere delle grandi aziende, promuovendo la carta dei diritti del digitale per verificare la loro imparzialità. Forse anche perché preoccupato che le sue guerre culturali possano togliergli questo importante mezzo di propaganda. Fatto sta che per lanciare la sua candidatura ha scelto bene il luogo e chi avere al suo fianco: su Twitter, con niente meno che il suo Ceo Elon Musk.
Tim Scott
È Tim Scott l’altro candidato tra le fila dei repubblicani. Il senatore della Carolina del Sud, un tempo deputato, corre senza troppe aspettative, sebbene debba giustamente essere tenuto in considerazione – come gli altri – vista l’incertezza che regna all’interno del Gop. In tema IA, Scott ha promosso un’iniziativa per informare gli utenti sulla provenienza delle app straniere che vengono scaricate, così da contenere le loro paure; si era fortemente battuto per far sì che i fornitori di Gmail (di proprietà di Google) filtrassero lo spam in modo equo, visto che ai politici conservatori i messaggi venivano spostati in questa cartella con più frequenza dei democratici; aveva spalleggiato Trump nella lotta alle Big Tech per rivedere la sezione 230, affinché tutti gli utenti potessero dire la loro liberamente. Da ultimo, non per importanza, è molto amico di Larry Ellison, fondatore di Oracle: nella partita con TikTok, questo elemento potrebbe giocare a suo favore.
Nikki Halley
Chi è sicuramente contraria all’app cinese è Nikki Halley. Quello che sappiamo sulla sua visione di IA è che, sostanzialmente, ciò che arriva da fuori i confini nazionali debba essere controllato nel dettaglio, mentre ai social network locali va lasciato spazio. Non di certo alle Big Tech. Lo ha dimostrato quando si è scagliata contro il salvataggio della Silicon Valley Bank, considerato un salvavita anche per “Big Tech e aziende cinesi” e, ancora, appoggiando l’idea trumpiana di cancellare l’immunità Google e via dicendo. Allo stesso modo, però, una maggiore regolamentazione sui social “andrebbe nella direzione opposta”, aumentando il setaccio di ciò che viene pubblicato.
Mike Pence
L’ultimo arrivato è l’ex numero due di Trump, Mike Pence. La storia tra i due è finita malissimo, con il vicepresidente che ha rinnegato la fedeltà al suo capo, voltandogli le spalle nel momento più duro della sua carriera politica. Molti pensavano che lo stesse facendo per evitare di compromettersi in vista del 2024 e, a quanto pare, lo affermavano a buon ragione. Qualora dovesse essere lui il nuovo presidente americano, l’approccio che avrebbe con l’IA sarebbe tuttavia simile a quello di Trump, sebbene più moderato. Anche Pence infatti vorrebbe che “nella moderna piazza pubblica, le aziende di Internet siano soggette allo stesso quadro di responsabilità delle tradizioni società di stampa e radiodiffusione”. Tutte sullo stesso piano, dunque, per “porre fine alla sorveglianza digitale senza un consenso significativo”. Concetti espressi nella sua Freedom Agenda, con cui si è presentato all’America.