All’evento Formazione, tecnologia e connettività ospitato nella sede romana di Comin&Partners, la compagnia telefonica ha presentato il suo progetto Iliadship, con cui prevede di dare dieci borse di studio da quindicimila euro l’una per accompagnare gli studenti nel loro periodo di formazione e prepararli al mondo del lavoro
Dieci borse di studio per (almeno) i prossimi dieci anni, dal valore di 15 mila euro ciascuna, da destinare a neolaureati triennali e studenti iscritti ai corsi di laurea magistrale a ciclo unico. È questa l’idea partorita da Iliad con l’istituzione di Iliadship, il progetto da un milione di euro a lungo – anzi, lunghissimo – tempo, per dare un approccio differente alla formazione universitaria. Con un obiettivo: promuovere gli studi nelle materie Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics), Scienze sociali e Arts&Literature, per accompagnare le nuove generazione nel loro percorso di formazione. A ciascuno studente verrà infatti affiancato un tutor, scelto tra i manager di Iliad, e un mentore dell’Advisory Board, per conoscere meglio le dinamiche del lavoro, prima di mettersi alla prova con un tirocinio formativo alla fine del periodo coperto dalla borsa di studio.
Il progetto è stato presentato durante l’evento Formazione, tecnologia e connettività, ospitato da Comin&Partners, nella sua sede a Roma. “Non è solo una borsa di studio”, ha sottolineato l’amministratore delegato di Iliad Italia, Benedetto Levi durante l’incontro. A margine, si è soffermato con Formiche.net. “L’obiettivo è creare una community, composta da dieci studenti ogni anno per dieci anni che beneficeranno di altrettante borse di studio (6 Stem, 2 Scienze Sociali e 2 Arts&Literatyre). Insieme a un supporto finanziario per i loro studi, ma soprattutto”, aggiunge l’ad, “del confronto con tutor e mentor di Iliad. Sarà quindi possibile confrontarsi con persone già all’interno del mondo del lavoro, usufruendo di tirocini all’interno delle aziende”. Un’iniziativa a trecentosessanta gradi, quindi che può aprire orizzonti e “generare valore per tutti”. La convinzione di Iliad è che le telecomunicazioni non comprendo solamente una rete asettica, invisibile, ma rappresentano uno strumento concreto per accorciare i divari economici e relazionale tra le persone.
Questo non è l’unico progetto per la formazione professionale pensato dall’azienda, approdata nel nostro Paese nel 2018. Iliad College, ad esempio, offre un contributo concreto per abbattere le barriere delle disuguaglianze educative sposando e portando avanti le attività pensate da “Il Cielo Itinerante”, associazione no profit che sperimenta metodi innovativi per l’insegnamento della matematica. Quello più interessante è il metodo Youcubed, pensato all’Università di Stanford. Troppo spesso, quando ci si trova di fronte ai numeri, si getta la spugna con rassegnazione. “Rispetto a questa materia si alza un muro di diffidenza ma, soprattutto, si instaura troppo presto l’idea di essere o meno portati”, afferma Ersilia Vaudo Scarpetta durante la tavola rotonda, che ha posto l’accento sulla “essenzialità dell’alfabetizzazione” riguardo questa disciplina. Quella sul digitale arriverà, aggiunge, ma nel frattempo “bisogna investire sulle menti dei più giovani”.
Un dato la dice più lunga di mille parole. Lo ha evidenziato nel corso dell’evento Laura Di Raimondo, direttrice generale Asstel, sostenendo come l’età media di coloro che lavorano nelle telecomunicazioni è di 53 anni. Un segnale di quanto questo rimanga un settore ancora poco attraente per i giovani, sebbene siano le ultime generazioni a masticare meglio argomenti legati al mondo digitale. “La scuola ha bisogno di essere aperte alla società ma deve essere anche realizzata attraverso attività esterne. Abbiamo bisogno di un’educazione che vada più in là della formazione”, ha affermato Francesco Profumo, presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo.
“Formare persone, dargli gli strumenti per accedere al mondo del lavoro e costruirsi il proprio futuro è l’obiettivo di ogni democrazia”, gli ha fatto eco Marcella Panucci, capo gabinetto del ministro dell’Università e della Ricerca, che in questo senso ha posto l’accento sull’importanza del Pnrr, un’opportunità irripetibile per rafforzare il sistema universitario italiano.
Tuttavia, “il vero grande problema riguarda la riqualificazione delle competenze. L’unico modo è lavorare molto sullo scambio generazionale o capire che nel momento in cui le competenze si danno per assodate, o comunque colmabili, ciò che manca davvero sono le capacità di ascolto, di gestione, di intercettare i bisogni. Quelle competenze che si acquistano con l’età. C’è quindi bisogno di uno scambio di conoscenze”, spiega Lorenzo Maternini, cofounder nonché vice presidente di Talent Garden.
Per farsi capire meglio fa l’esempio di Digital Restart, un progetto per centottanta disoccupati che, nel giro di pochi mesi, ha trasformato queste persone in data analyst, reinserendole nel mondo del lavoro. “Ad oggi, siamo riusciti a reinserire il 68%, mentre per il restante 32% c’è un problema di curriculum”. E quindi, ha concluso schiettamente, siamo davanti a un grande problema sociale. “Sono abbastanza sicuro che vinceremo la sfida digitale, meno su quella culturale”.