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Il corto circuito di Putin e l’ansia della Cina. L’analisi di D’Anna

Intrighi russi e ombre cinesi. Il presunto avvistamento in un albergo di Minsk di Yevgeny Prigozhin non dirada i molti misteri che avvolgono il clamoroso corto circuito verificatosi nel fine settimana scorso della leadership di Vladimir Putin e dei vertici militari russi. Un corto circuito che oltre all’occidente allarma soprattutto la Cina. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Putin? Prigozhin? Shoigu? “Non fate domande e non vi verranno dette bugie”, dicono a Mosca, capitale dell’indefinito, delle ombre e delle trame, dove sembrano pronunciate oggi le parole con le quali Winston Churchill, 80 anni addietro, affermava che la Russia era “un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”. A metà strada fra una polveriera e una nebulosa che si espande nel caos, la Russia ha messo a nudo in meno di 72 ore tutti i limiti e le crepe di un regime tanto feroce quanto fallimentare, in equilibrio sempre più instabile.

Le molteplici chiavi di lettura sull’indebolimento o il rafforzamento di Putin, sulla lotta per la successione, sulla tracotanza e i passi falsi di Prigozhin, sulle sue complicità occulte al Cremlino, sull’eventuale defenestrazione del ministro della Difesa Shoigu e del generale Gerasimov, lasciano tutte intravedere scenari convergenti sulla constatazione che la Federazione Russa non è riuscita a liberarsi del Dna stalinista cioè intrinsecamente dittatoriale dell’Unione Sovietica e, incapace di trasformarsi in un Paese di democrazia compiuta, è rimasta un gigante dai piedi d’argilla. Una polveriera nucleare.

Quale che sia il destino di Putin a preoccupare è il contesto di una apparente superpotenza con un esercito convenzionale disfunzionale, scoordinato e inefficiente. Minaccia reale o messinscena, la marcia su Mosca dei mercenari della Wagner ha dei precedenti storici che preannunciano la fine di Yevgeny Prigozhin, fermatosi alle porte di Mosca. Un epilogo che non eviterà il tramonto di Vladimir Putin. Pur con le enormi differenze umane e militari rispetto al fondatore e padrone dell’esercito di mercenari della Wagner, i precedenti sono quelli di Annibale e di Spartaco. Dopo la grande vittoria di Canne, il cartaginese Annibale rinunciò a conquistare l’ormai indifesa Roma ed alla fine fu costretto a ripiegare in Africa, dove venne sconfitto. Singolare in proposito l’ipotetico rifugio africano di cui si parla per Prigozhin.

Analogamente, alla testa di una più volte vittoriosa rivolta popolare di schiavi, Spartaco invece di assediare Roma disperse le sue forze e venne sopraffatto dalle ricostituite legioni. Per il presidente russo il pericolo finora scampato di Prigozhin segna in ogni caso una irrecuperabile perdita di immagine e di potere. Lo Zar, insomma, è nudo e tutti prevedono che sarà destituito, tragicamente o meno. I tempi saranno scanditi dall’esito della ormai fallita invasione, scatenata dal presidente russo contro l’Ucraina. Kiev spera che la guerra civile della porta accanto, che stava scatenandosi oltre la frontiera russa, acceleri l’incidenza della controffensiva. Ed in effetti secondo l’intelligence britannica, le forze armate dell’Ucraina stanno facendo progressi tattici in aree chiave avanzando da nord e sud, in particolare a Bakhmut, ed è improbabile – sostengono a Londra – che la Russia abbia riserve in grado di evitare la ritirata.

Sull’armata russa incombe anche l’effetto delle dure accuse lanciate da Prigozhin contro Putin, accuse rilanciate dai social e per le quali nonostante “l’amnistia” promessa dal Cremlino la magistratura russa prosegue l’inchiesta per alto tradimento: “Mosca ha mentito sapendo di mentire – ha gridato il capo della Wagner – l’invasione è totalmente ingiustificata ed è stata decisa per saccheggiare le risorse dell’Ucraina e per smania di potere”. Dunque una guerra personale di Putin che sta costando la vita di intere generazioni di russi. Tutti fattori che aggiunti agli applausi della folla dei cittadini tributati durante la marcia su Mosca della Wagner, applausi che evidenziavano un intento liberatorio rispetto alla situazione della guerra in corso e dei continui arruolamenti, rendono ancora più incerta la leadership di Putin e il consenso al regime.

Vera Politkovskaja, figlia della giornalista antiregime Anna Politkovskaja, assassinata il 7 ottobre 2006 a Mosca, ha osservato che invece dei carri armati per tentare di fermare la marcia della Wagner erano disponibili soltanto degli autocarri e sono state distrutte delle strade. “È evidente che c’era paura ed in Russia – ha sottolineato Vera Politkovskaja – la paura viene percepita dalla popolazione come una cosa negativa, soprattutto se è determinata da un leader autoritario che mostra di sapere sempre cosa fare. Ma in questo caso specifico Putin non sapeva cosa fare”. Impotenza e indeterminatezza che, fra le molte reazioni internazionali traspaiono dietro le quinte degli incoraggiamenti formulati a Mosca da Pechino.

È evidente come la Cina tema che i  problemi strutturali del corto circuito della leadership e degli equilibri militari della Russia rappresentino segnali di sommovimento delle linee di faglia del regime moscovita. Una spia di inaffidabilità o, molto peggio, di un possibile terremoto che sovraesporrebbe il gigante cinese a pesanti ricadute economiche e strategiche sul fronte del braccio di ferro con gli Stati Uniti e dei rapporti commerciali con l’Europa. “La Russia è tempesta”, recitano i versi del poeta di San Pietroburgo Aleksandr Blok, una tempesta che rischia di cogliere impreparata una Cina adagiatasi sulla consapevolezza di essere al centro del mondo.



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