Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Forza e debolezza della Strategia europea dei dati in vista del Data Act. L’analisi di I-com

È stato presentato a Bruxelles lo studio “The EU’s Data Strategy from a multifaceted perspective. Views from Southern Europe”, realizzato da PromethEUs, la rete di think tank dell’Europa meridionale composta dall’Elcano Royal Institute per la Spagna, dall’I-Com per l’Italia, dalla Foundation for Economic and Industrial Research (Iobe) per la Grecia e dall’Institute of Public Policy per il Portogallo. Ecco un bilancio di questi tre anni della Strategia europea dei dati varata dalla Commissione europea

A tre anni e mezzo dal varo della Strategia europea dei dati da parte della Commissione europea (febbraio 2020) si può iniziare a fare un primo bilancio e guardare alle prossime tappe, alcune delle quali imminenti. Con un angolo visuale dal Sud Europa e dunque dall’Italia (ma non solo). Con questo spirito è stato presentato ieri a Bruxelles lo studio “The EU’s Data Strategy from a multifaceted perspective. Views from Southern Europe”, realizzato da PromethEUs, la rete di think tank dell’Europa meridionale composta dall’Elcano Royal Institute per la Spagna, dall’Istituto per la Competitività (I-Com) per l’Italia, dalla Foundation for Economic and Industrial Research (IOBE) per la Grecia e dall’Institute of Public Policy per il Portogallo.

L’obiettivo della strategia europea dei dati era quello di far acquisire all’Ue, con un orizzonte iniziale al 2025, una posizione di leadership nella cosiddetta data-driven innovation, al tempo stesso fattore essenziale di competitività e di sovranità tecnologica per un sistema economico al passo con i tempi. Attraverso opportuni investimenti, a partire dalle infrastrutture di connettività e per i dati, puntando soprattutto su un modello di cloud decentrato (“edge computing”), di fatto intaccando il dominio dei grandi player tecnologici statunitensi (e cinesi), e una serie di provvedimenti legislativi, che avrebbero dovuto favorire la nascita di un mercato unico dei dati basato sui principi di trasparenza, libertà di circolazione, condivisione e interoperabilità.

Il ritardo dell’Ue nei confronti di Usa e Cina

La strategia europea prevedeva che l’economia dei dati nei 27 Paesi dell’Unione europea raggiungesse entro il 2025 un valore complessivo di 829 miliardi di euro (quasi triplicando i 301 miliardi del 2018) e richiedesse un numero di data professionals pari a 10,9 milioni (un quasi raddoppio rispetto ai 5,7 milioni del 2018). I dati più aggiornati ci raccontano una realtà meno rosea di quella immaginata nel 2020. Secondo le recenti stime di IDC (febbraio 2023), il valore della data economy Ue ha superato solo nel 2022 i 500 miliardi di euro e nel 2025 raggiungerà i 640 miliardi di euro mentre il numero dei data professional si fermava nel 2022 a poco più di 7 milioni, con una crescita nel corso degli anni molto più modesta del previsto. Difficile se non impossibile a questo punto pensare che agli attuali ritmi possa essere raggiunta la soglia dei 10 milioni entro il 2025.

Ma quel che è peggio è che l’Europa non sta recuperando, se non molto marginalmente, la posizione di svantaggio iniziale rispetto agli Usa ed è apertamente sfidata dalla Cina. Se consideriamo solo gli impatti diretti della data economy sul Pil, nel 2022 questi incidevano negli Usa per l’1,2%, in Cina per lo 0,9% e nell’Unione europea per appena lo 0,6%, la metà esatta rispetto alla performance statunitense. Anche rispetto ai professionisti dei dati, le statistiche risultano amare per l’Europa, che ne impiega meno della metà rispetto agli Usa, che già nel 2021 avevano varcato la soglia delle 16 milioni di unità, e considerevolmente di meno rispetto alla Cina, che ha già raggiunto nel 2021 quota 10 milioni.

I divari territoriali all’interno dell’Ue

I numeri europei rivelano un secondo punto di debolezza, per certi versi attesa ma che non può essere in alcun modo sottovalutata, specie da una prospettiva sud-europea. Quella dei divari tra Stati membri (e tra imprese di diversa dimensione).

L’incidenza complessiva della data economy sul Pil va dal 10% dell’Estonia a meno del 2% per la Grecia (dati 2022). Ma sono tutti i Paesi del Sud e molti dell’Est (specie quelli a latitudini più meridionali) a trovarsi nella seconda parte della classifica, Italia inclusa. Limitandoci agli Stati membri coperti dal network PromethEUs, il Portogallo è quattordicesimo, la Spagna sedicesima e l’Italia diciassettesima (posizione peraltro coerente con l’indice Desi di digitalizzazione dell’economia e della società elaborato dalla Commissione europea nel quale il nostro Paese, dopo avere peraltro recuperato diverse posizioni in classifica negli ultimi anni, l’anno scorso non è andato comunque oltre il diciottesimo posto). Tanto per dare un’idea, il mercato dei dati combinato dei 4 Paesi sud-europei (Italia, Spagna, Portogallo e Grecia) raggiungeva nel 2022 una cifra totale di 13,4 miliardi di euro, solo di poco superiore alla Francia e meno dei due terzi della Germania (con un mercato di poco superiore ai 20 miliardi di euro).

Secondo l’indice di sviluppo della data economy elaborato da I-Com e basato su 6 variabili, i Paesi sud-europei sono nel terzo tier della classifica Ue dopo i super avanzati Paesi nordici, guidati in questo caso dalla Danimarca, e il secondo gruppo nel quale si collocano tra gli altri Francia e Germania. In fondo al ranking, Ungheria, Bulgaria e Romania. L’Italia è tredicesima e fa meglio di Portogallo (diciassettesimo), Grecia (diciottesima) e Spagna (a sorpresa solo ventiquattresima). Ma la distanza rispetto al gruppo dei Paesi più avanzati è decisamente maggiore rispetto a quella che divide la Spagna da noi. Il che significa che se non proveremo a muoverci rapidamente, accelerando lo sviluppo della data economy, rischiamo non solo di non recuperare posizioni ma di essere scavalcati da un bel po’ di Paesi.

I pilastri della legge Ue (Data Governance Act, Data Act e gli spazi europei dei dati) e le principali criticità da affrontare

Come detto, ci troviamo di fronte ad alcuni passaggi fondamentali sul piano regolamentare e delle policy dalle quali passa una parte importante dell’attuazione della Strategia europea.

Il file legislativo più importante già chiuso è il Data Governance Act, approvato un anno fa ma che avrà effetto dal settembre 2023 e deve essere in larga parte ancora attuato. Tra gli altri aspetti, il provvedimento prevede una serie di obblighi per il riuso dei dati pubblici, disciplina i fornitori di servizi di intermediazione dei dati e le organizzazioni di altruismo dei dati, richiede che siano designate le autorità nazionali competenti e crea European Data Innovation Board (Edib).

Per il Data Act dovrebbe concludersi nel mese di giugno il trilogo tra Commissione, Consiglio e Parlamento europei, con un accordo politico che dovrebbe preludere a una fumata finale. Anche se sono diversi i punti controversi o che lasciano perplessi. Dagli incentivi (tra carota e bastone) per richiedere agli operatori economici una reale condivisione di dati alla coerenza del quadro regolamentare risultante dalla sua approvazione intanto, in via più generale, con le regole attuali della concorrenza e della privacy ma anche con quelle in itinere del Dma e Dsa, approvati l’anno scorso ma ancora in via di implementazione, e anche della cybersecurity, capitolo sul quale si stanno succedendo negli ultimi anni diversi interventi sempre su impulso europeo (da ultimo la direttiva Nis2, appena approvata e da recepire negli ordinamenti nazionali, e la proposta di Cyber Resilience Act attualmente in discussione in Parlamento e Consiglio Ue). Il rischio concreto è quello di avere un quadro regolamentare fortemente ambiguo, con tutti i costi che questo comporta, in particolare per le piccole e medie imprese, o che crea distorsioni che anziché aiutare il mercato o l’innovazione la ostacola.

Infine, per completare il panorama dei principali pilastri normativi non si possono non citare gli spazi europei dei dati, una delle iniziative più strategiche della Strategia, che ne immagina ben nove, corrispondenti ad altrettanti settori (manifattura, green, mobilità, salute, finanza, energia, agricoltura, pubblica amministrazione e competenze). Tuttavia, l’avvio degli spazi dei dati procede molto lentamente, soprattutto in alcuni casi, e numerosi sono gli ostacoli sul loro cammino (alcuni dei quali si spera siano rimossi o quantomeno depotenziati grazie ai primi due interventi normativi).

Motivo per il quale, come sta provando a fare la Francia, potrebbe aver senso anticipare i tempi del processo normativo europeo, portandosi avanti per prepararsi prima e meglio alle nuove sfide.

Per le quali, almeno dal punto di vista sud-europeo, la criticità principale sembra essere quella delle competenze. Derivante non solo dalla carenza di professionisti dei dati ma anche dalle skill digitali di base di chi dovrebbe assumerli e/o collaborare con loro. Con l’evidente risvolto che spesso i dati potrebbero già essere a disposizione per essere elaborati e guidare le decisioni delle organizzazioni ma non sono sfruttati perché non si sa ab origine come farlo e quali benefici concreti potrebbe generare.

Per questo il treno dei Piani nazionali di ripresa e resilienza, che con diversi gradi trasferisce molte risorse ai Paesi del Sud Europa, non può essere perso se si vuole provare a chiudere i divari esistenti. Utilizzando al meglio le risorse e, almeno sul digitale, indirizzandole in particolare verso le piccole e medie imprese, che hanno accumulato ritardi enormi nei confronti di quelle di grandi dimensioni. Basti pensare che sono appena il 13% le piccole imprese in Europa che analizzano i dati internamente o in outsourcing contro il 24% delle medie e oltre il 40% delle grandi. Un numero assolutamente sconfortante, tenuto conto della struttura produttiva dell’Italia e degli altri Paesi del Sud Europa.

Dunque, bene fare in modo che le piccole imprese possano accedere a larghe basi di dati, grazie al Data Act e agli altri interventi legislativi, ma se poi la stragrande maggioranza non sa cosa farci dell’impatto non avremmo fatto grandi passi in direzione di una data economy degna di questo nome.

 

×

Iscriviti alla newsletter