In un documento di poche pagine inviato alla Commissione Esteri in vista del primo passaggio alla Camera, a fine mese, Via XX Settembre allontana i rischi di una ristrutturazione dei conti a valle della ratifica. Anzi, i mercati potrebbero gradire
Gene Wilder in Frankenstein junior avrebbe detto sì può fare. E allora sì, il Mes si può ratificare. Sono giorni delicati per l’Italia di Giorgia Meloni, l’unica rimasta a non aver detto di sì alla riforma del Meccanismo di stabilità. Da sempre Palazzo Chigi rivendica un cambio di natura del Mes, più al servizio della crescita piuttosto che mero strumento di salvataggio in caso di crisi dei conti pubblici. L’Europa nelle ultime settimane ha timidamente cominciato a prendere in considerazione le istanze italiane, anche grazie alla sponda, non scontata della Germania. La quale, è bene ricordarlo, chiede in cambio una cura dimagrante del debito pubblico dell’1% all’anno.
Il vento improvvisamente a favore deve aver avuto il suo effetto anche sul Tesoro, che in due pagine spedite alla Commissione Esteri, presieduta da Giulio Tremonti, ha rotto gli indugi, proprio in vista di quella discussione generale incardinata per fine mese, a Montecitorio. E dunque, no, la riforma del Mes non spinge verso la ristrutturazione del debito. Non è, insomma, un pericolo per un debito che vale 2.800 miliardi di euro, in Italia, si intende.
E no, non aumenta nemmeno il rischio percepito dai mercati sui nostri titoli di Stato, ora che i mercati soffiano in poppa all’esecutivo. Anzi, “sulla base dei riscontri ricevuti da analisti e operatori di mercato, è possibile che la riforma del Mes, nella misura in cui venga percepita come un segnale di rafforzamento della coesione europea, porti ad una migliore valutazione del merito di credito degli Stati aderenti”. Parola del ministero dell’Economia guidato da Giancarlo Giorgetti, che ha trasmesso alla Camera la valutazione chiesta dallo stesso Tremonti, sulla ratifica del Trattato in discussione con i disegni di legge presentati da Luigi Marattin (Italia Viva) e Piero De Luca (Pd).
Il documento preparato dai tecnici del ministero mette in fila una serie di elementi piuttosto ovvi quando ricorda che Moody’s, Fitch e S&P Global Ratings “conferiscono al Mes la tripla A o valutazione equivalente”, quella che i nostri Btp vedono lontanissima dalla tripla B (o valutazione equivalente) che li caratterizza. O quando sottolinea che “dalla ratifica del suddetto accordo non discendono nuovi o maggiori oneri” per la finanza pubblica.
Problema. Il 30 giugno è in programma la discussione generale proprio sui due decreti che portano in dote la ratifica. La maggioranza vorrebbe allungare i tempi, ma un parere del Mef non può non avere il proprio peso. Sul Meccanismo europeo di stabilità, noto anche come Fondo salva-Stati, la maggioranza fino ad oggi ha rimandato la questione, ma il documento prodotto dal Ministero dell’Economia aggiunge ulteriore pressione alla decisione che Meloni e il suo governo sono chiamati a prendere. Si vedrà.