I fondali marini sono sempre più strategici, crocevia di cavi per la trasmissione dei dati e di condotti per l’energia e fonte per l’estrazione di risorse. Per proteggere queste infrastrutture, ci sarà bisogno di tecnologie e soluzioni nuove e all’avanguardia. L’intervista di Airpress a Dario Buttitta, executive vice president di Engineering
La dimensione sottomarina è ormai riconosciuta a livello nazionale come uno spazio strategico per la crescita, lo sviluppo e la sicurezza del Paese. Sotto la superficie del mare, infatti, passano cavi Internet e condotte energetiche che uniscono tra loro i continenti., infrastrutture che dovranno essere protette e difese. Di recente, all’inaugurazione dell’ottava edizione del forum internazionale dedicato alle tecnologie per il mare, SeaFuture, a La Spezia, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha sottolineato l’importanza strategica della dimensione underwater: “Nei prossimi decenni, sarà il mondo subacqueo a porci la sfida della sicurezza”. Un mondo, quello subacqueo, che avrà bisogno di nuove tecnologie e soluzioni per poter essere sfruttato appieno in modo efficace e sostenibile. Di questo, Airpress ha parlato con Dario Buttitta, executive vice president Pa and healthcare di Engineering, digital transformation company italiana con oltre settanta sedi in tutto il mondo specializzata in innovazione digitale.
Quali sono le principali proprietà della futura azione umana sotto la superficie del mare?
Finora la dimensione subacquea è stata utilizzata prevalentemente per lo sfruttamento del sottosuolo e come principale via di comunicazione per il passaggio dei cavi: gran parte delle fibre ottiche che trasportano segnali telefonici e dati internet passano sott’acqua, così come le linee di alimentazione energetica e di rifornimento. Per il resto, i fondali sottomarini sono un mondo per lo più inesplorato, che apre diversi possibili scenari all’azione umana. Negli ultimi anni, si è riconosciuta l’importanza delle attività marine nell’economia del Mediterraneo e nel suo potenziale sviluppo, in particolare per l’Italia, favorita com’è dalla sua geografia. In parallelo emerge la sfida di bilanciare la crescita economica con la sostenibilità ambientale, poiché gli ecosistemi marini sono sempre più minacciati dalla pressione umana, e le coste e le infrastrutture costiere sono estremamente vulnerabili al cambiamento climatico.
Come riuscire a tenere insieme sviluppo e sostenibilità?
È fondamentale che qualsiasi sviluppo futuro al di sotto della superficie del mare non prescinda da un approccio sostenibile: che si tratti di estrazione delle risorse minerarie, di cui i fondali sono ricchissimi, di agricoltura sottomarina, che sembra possa avere un minore impatto ambientale rispetto a quella sulla terraferma, o della realizzazione di strutture fisse sul fondale marino adatte per la vita umana, ogni strategia di intervento va valutata in termini di impatto ambientale e di rispetto dell’ecosistema marino. Per questo le grandi aziende che operano in questo settore sono chiamate a ripensare il business cercando opportunità sostenibili, ad esempio attivando partnership con le università o con biologi marini per definire insieme strategie a lungo termine volte a sostenere una crescita economica intelligente, sostenibile e inclusiva nei settori marino e marittimo.
Questo approccio è in linea con l’iniziativa Blue growth della Commissione europea, che riconosce il potenziale inutilizzato degli oceani, dei mari e delle coste dell’Europa come motore dell’economia verde europea: un volano per la creazione di nuove opportunità di lavoro e di nuove aziende maniera sostenibile, attraverso la promozione della ricerca, del trasferimento tecnologico e del partenariato tra ricerca scientifica e settore industriale.
Quando si parla di underwater, ci si riferisce a uno spazio amplissimo, che dovrà essere monitorato costantemente per garantire la sicurezza delle infrastrutture che passano sui fondali marini. Questo richiederà piattaforme sempre più autonome, con capacità di intelligenza artificiale all’avanguardia…
La capacità di monitorare vaste aree sottomarine, prima ancora che di proteggerle, richiede alcune caratteristiche fondamentali per i sistemi underwater del futuro. La principale è probabilmente l’autonomia: poiché nel mondo underwater sarà sempre più importante il ruolo dei droni subacquei, capaci di immergersi a grandi profondità e destinati alla sorveglianza e alla protezione delle infrastrutture, va da sé che dovranno essere dotati di grande autonomia in termini di range, distanza e di ore di movimento. Questo apre un problema legato al rifornimento: i motori endotermici sott’acqua non sono utilizzabili perché hanno bisogno di ossigeno. Tutto ciò che deve funzionare sott’acqua funziona con alimentazione elettrica, per cui c’è la necessità di avere delle batterie capaci di garantire una grande autonomia, molto maggiore rispetto a quella disponibile attualmente. Il concetto di autonomia si può declinare anche nella capacità di operare in maniera indipendente. In questo senso diventa fondamentale il contributo delle nuove tecnologie informatiche come l’Intelligenza artificiale per programmare una missione o per riprogrammarla in autonomia in caso di eventi imprevisti.
Quali altre caratteristiche dovranno avere i sistemi underwater del futuro?
È importante che i sistemi subacquei siano dotati di resilienza, sia ai fattori ambientali di utilizzo che dal punto di vista della sicurezza. Un’altra caratteristica strategica dei sistemi underwater del futuro è la capacità di geolocalizzazione: un drone sottomarino non può fare affidamento alle tecnologie utilizzate sulla terra (il Gps sott’acqua non funziona), per cui bisognerà investire su altri sistemi efficienti di geolocalizzazione al di sotto del livello del mare. L’ultimo aspetto che vale la pena citare è l’interoperabilità. Anche se la legge internazionale prevede delle suddivisioni di responsabilità territoriale, il mare non ha confini, per cui garantire l’interoperabilità di sistemi e dati a livello almeno europeo sarebbe importante se si vuole garantire una efficiente capacità di sorveglianza e intervento.
Il mondo subacqueo è caratterizzato da un ambiente estremo, con pressioni elevatissime e difficoltà di visione e monitoraggio dello spazio sottomarino. Come dovranno configurarsi, allora, i sensori dei nuovi sistemi underwater, per permettergli di identificare e tracciare le potenziali minacce?
Si sta esplorando in letteratura la possibilità di utilizzare i cavi in fibra ottica, già collocati al di sotto del mare con altri scopi primari, per monitorare quello che accade: si è scoperto che lo spostamento di masse d’acqua entro certe distanze dalle infrastrutture di comunicazione viene registrato dai cavi in fibra ottica. Utilizzando questi dati, in linea teorica, è possibile determinare se lo spostamento di masse d’acqua in prossimità delle infrastrutture subacquee sia causato da fenomeni naturali come i terremoti o da target subacquei in movimento.
E per quanto riguarda le nuove soluzioni?
Proprio perché le distanze sono molto ampie, probabilmente in futuro bisognerà immaginare una rete di sensori collocati stabilmente sotto il livello del mare, tra loro interconnessi e in grado di aggiornare la situazione subacquea in tempo reale e in modo molto preciso. Associata a questa rete di sensori, che siano quelli che conosciamo oggi o altri più innovativi come quelli in fibra ottica, sarà necessario affiancare una rete di “attuatori”, ossia dei dispositivi che possano intervenire in tempo molto breve per verificare con più precisione quello che sta accadendo ovvero per scongiurare una possibile minaccia. Immaginiamo quindi il lavoro congiunto di queste reti subacquee di sensori e degli attuatori, oggetti autonomi che possono essere comandati e raggiungere un determinato punto al di sotto della superficie del mare per acquisire informazioni aggiuntive o per scongiurare una minaccia.
La gestione di questa rete formata dalle piattaforme classiche e dai sensori e i veicoli automatizzati di nuova generazione richiederà l’utilizzo anche di nuovi sistemi di gestione dei mezzi. Un compito non facile, vista la difficoltà di comunicare sott’acqua e l’aumentata quantità di dati restituita dai nuovi sistemi. Quali sono le principali difficoltà, e quali le soluzioni, per gestire le operazioni sottomarine?
Il principale problema con cui ci si confronta sott’acqua è la comunicazione, perché le onde elettromagnetiche non si propagano e c’è scarsa visibilità. Possiamo fare affidamento solo alle onde acustiche, che tuttavia sono variabili a causa dell’impatto delle condizioni meteo marine, della temperatura e della salinità del mare. Una possibile risposta a queste criticità è quella di creare le cosiddette Sea bed infrastructure, ossia delle infrastrutture residenti sul fondale marino, connesse a terra per gli aspetti di potenza, energia e trasmissione dati, che fungono da centri di appoggio per tutti i sensori, le tecnologie, i droni che operano sotto al mare. In questa direzione sta andando anche la Commissione europea con il Fondo europeo della Difesa (Edf), che quest’anno mette a bando 45 milioni di euro proprio per proposte relative alla realizzazione di Sea bed infrastructure.