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Dopo la Wagner, l’esercito privato di Gazprom entra in guerra

Il gigante degli idrocarburi offre più soldi e condizioni migliori dell’esercito regolare, anche se Prighozin si lamenta delle scarse forniture militari. Ma in caso di un collasso del potere centrale, lo scenario di uno scontro tra eserciti privati sarebbe una naturale e pericolosissima conseguenza

Fakel – parola russa per ‘Torcia’, che è sia il nome di una competizione culturale organizzata dall’azienda che quello della squadra di tennis da tavolo – e Potok – traducibile nel lemma italiano ‘Flusso’ ma soprattutto in quello inglese ‘Stream’, lo stesso che dà il nome ai celeberrimi gasdotti di proprietà dello stesso ente.

Sono questi i nomi dei battaglioni di contractors affiliati a Gazprom, il colosso energetico russo.
Nati nei mesi scorsi sulla scia del successo della sempre più nota Wagner, questi battaglioni si sono visti impiegati in alcune degli scontri più intensi del conflitto in Ucraina, da Bakhmut a Soledar. Nonostante essi siano, almeno al livello formale, dei corpi di sicurezza privati costituiti con lo scopo di proteggere gli impianti e le infrastrutture critiche dell’azienda.

Ma l’utilizzo delle cosiddette Private Military Companies è un escamotage che il Cremlino non può permettersi di ignorare in questo momento della cosiddetta Operazione Militare Speciale. I pesanti costi umani che la Russia sta sostenendo richiedono un afflusso costante di nuovi soldati lungo tutta la linea del fronte. Il ricorso alla mobilitazione si è rivelato solo parzialmente in grado di soddisfare queste necessità, oltre ad essere estremamente deleterio per il mantenimento del sostegno della popolazione verso il conflitto e l’establishment governativo. Ricorrendo ai contractors, Mosca riesce a schierare in Ucraina uomini che hanno scelto volontariamente di andare a combattere, seppur dietro una serie di benefici importanti.

Stando alle fonti del Financial Times, Gazprom avrebbe promesso a coloro che avessero deciso di arruolarsi nei suoi ‘corpi di sicurezza’ un compenso di un milione di rubli, la garanzia del  mantenimento del posto di lavoro e lunghe ferie retribuite una volta tornati a casa dall’Ucraina. Il tutto in cambio della disponibilità ad essere distaccati in prima linea per un periodo che oscilla tra i tre e i sei mesi. Inoltre, Gazprom avrebbe assicurato equipaggiamenti di prima qualità pagati dall’ente stesso al contrario della ‘zuppa di cavolo’ fornita dal Ministero della Difesa.

La grande partecipata statale non avrebbe certamente problemi a sostenere spese simili grazie all’immenso patrimonio di cui dispone. Ma le notizie che arrivano dal fronte sembrano sconfessare le promesse di Gazprom. A denunciare quest’evidenza non è una fonte ucraina od occidentale, ma il leader del gruppo Wagner Evgenij Prigožin: in uno dei suoi ormai celeberrimi video, rilasciato il 24 aprile, lo Chef di Putin (un nomignolo conferitogli da Associated Press per le sue precedenti attività da ristoratore dove ha avuto stretti contatti con Vladimir Putin, fino a divenire un membro della sua cerchia interna) ha denunciato la pessima situazione logistica in cui versavano i battaglioni sponsorizzati dalla Gazprom, a cui era stato dato il compito di difendere i fianchi delle linee della Wagner durante l’infuocata battaglia per Bakhmut. Cosa che non avevano potuto fare a causa della carenza di armi, munizioni ed equipaggiamento di ogni tipo, che li aveva costretti a ripiegare, esponendo così il fianco della sua PMC agli attacchi delle forze ucraine. Il leader del gruppo Wagner ha tutto l’interesse nello screditare i suoi rivali emergenti, ma forse le motivazioni sono più profonde di quel che sembrano.

La denuncia di Prigožin non può essere isolata dall’inusuale contesto storico in cui è avvenuta. La frammentazione nel monopolio della forza è una delle grandi costanti della storia russa: sin dai tempi degli zar, passando per il secolo sovietico e arrivando fino alla Russia post-comunista, lo stato russo è sempre stato caratterizzato da una multipolarità di strutture militari indipendenti e spesso rivali. Nell’ottica dei vari governanti questa suddivisione delle capacità militari era finalizzata ad evitare un eccessivo accentramento di forza nelle mani di una sola gerarchia, che avrebbe potuto in questo modo sfidare il potere centrale. Niente di più che l’applicazione del classico principio di Divide et Impera.

L’emersione di compagnie di contractors così forti segna però un punto di rottura con il passato. Mentre fino ad ora ogni organizzazione militare o paramilitare faceva comunque riferimento al vertice statale, le PMC sono degli strumenti militari in mano a individui od organizzazioni private, che non sarebbero costretti a rimanere fedeli alla leadership statale qualora si presentassero per loro condizioni abbastanza vantaggiose. Grazie al potere coercitivo di cui dispongono, i leader di queste compagnie potrebbero mettere in atto dei veri e propri colpi di stato.

In caso di un collasso del potere centrale (cosa tutt’altro che improbabile, secondo vari analisti), lo scenario di uno scontro tra esercivi privati sarebbe una naturale conseguenza. Secondo dinamiche molto simili a quelle dell’impero romano, per tornare agli esempi dell’antichità. E, al netto di queste riflessioni, certe parole di Prigožin potrebbero essere interpretate sotto una luce totalmente diversa.


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