Gli sforzi di Nato e Unione Europea a sostegno di Kyiv stanno dando i loro frutti. Ma la lezione ucraina ha molto da insegnarci, ed è necessario assumere un approccio da “forward presence” a “forward defence” per gestire al meglio il processo di stabilizzazione post-bellica. Colloquio con il diplomatico estone Margus Kolga, direttore del Dipartimento pianificazione del ministero degli Esteri
In questa intervista con Formiche.net, il direttore del Dipartimento pianificazione del ministero degli Affari Esteri di Tallin Margus Kolga ha rimarcato come il sostegno militare all’Ucraina sia necessario per permettere a Kyiv di difendersi con successo dall’aggressione russa, ma allo stesso tempo non sia sufficiente a garantire il mantenimento della pace e ad evitare il ripetersi di situazioni simili. Secondo il diplomatico, che è stato ambasciatore estone alle Nazioni Unite e in Svezia, un rafforzamento militare di tutti i membri dell’Alleanza atlantica (specialmente lungo il confine con la Federazione Russa) e un veloce allargamento della stessa sono requisiti indispensabili per neutralizzare ogni futura velleità di espansionismo militare da parte di Mosca.
L’Invasione dell’Ucraina iniziata nel Febbraio 2022 è stato uno degli eventi che hanno destabilizzato maggiormente il sistema internazionale. Quali pensa che siano le conseguenze principali?
È ancora troppo presto per dirlo. Per adesso sappiamo che definirà il futuro dell’intero ordine internazionale, non solo di quello dell’Europa. L’unica cosa certa è che Vladimir Putin ha fallito nel realizzare i suoi obiettivi originari: se gli intenti di quest’invasione fossero stati il ‘punire’ l’Ucraina, di rallentare l’espansione del mondo libero o di rimodellare gli equilibri internazionali a favore del Cremlino, hanno tutti fallito miseramente. Basti pensare al caso della Svezia e della Finlandia. Ma a su questo avremo tempo di riflettere in un secondo momento. Adesso quello che conta è concentrarci sul vincere questa guerra.
Ritiene che quest’invasione sia stata come un fulmine a ciel sereno?
L’attacco russo non è stata una sorpresa. Già in passato la Russia, uno dei membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha deciso di impiegare lo strumento militare per perseguire i suoi obiettivi, basti pensare alla Crimea o alla Georgia. Anche se non ci aspettavamo un’operazione militare di tale portata, da quando abbiamo cominciato a notare gli ingenti ammassamenti di truppe lungo i confini tra Ucraina, Russia e Bielorussia abbiamo capito che qualcosa stesse per succedere.
Come considera la postura assunta dall’Unione Europea nei confronti della Russia?
La strategia dell’Unione Europea per sostenere l’Ucraina e rispondere alla Russia è stata ottima. Certo, soprattutto all’inizio è stato difficile trovare un terreno comune per mettere d’accordo tutti gli stati membri. Ma le istituzioni europee hanno agito in modo veloce ed efficace. Sia nel sostenere militarmente l’Ucraina e nel programmare il suo accesso all’Unione Europea, ma anche nel mantenere coeso, assieme agli alleati Nato, il fronte delle sanzioni ad una portata senza precedenti. L’unità è forza, e soltanto preservandola potremo arrivare a una vittoria e costruire la pace. Ma dobbiamo essere pronti a ogni evenienza, e il conflitto potrebbe perdurare ancora a lungo, così come potrebbe finire in brevissimo tempo.
Quale pensa siano le priorità per ristabilire una situazione di sicurezza in Ucraina, e in generale lungo tutto il fianco est della Nato?
Prima di tutto, è necessario che la Russia venga respinta militarmente fino alle posizioni che occupava prima del 2014. In ogni altro caso si legittimerebbe, anche parzialmente, l’atto di aggressione che la Russia ha portato avanti negli ultimi 10 anni. Inoltre, è necessario fare in modo che la Russia inebolisca le sue capacità militari, cosa che sta avvenendo esattamente in questo momento: in Ucraina le Forze Armate russe si stanno lentamente dissanguando, e a questo punto del conflitto si cominciano a vedere i risultati. Un altro punto fondamentale è perseguire come criminali coloro che hanno messo in atto questa guerra, anche tramite l’istituzione di un tribunale internazionale. Ma su questo dobbiamo adoperarci ancor prima della fine del conflitto. Dobbiamo rendere giustizia agli ucraini, ma anche a noi stessi. La Russia deve capire una volta per tutte che nessun crimine resterà impunito: Bucha e Irpin non possono essere dimenticate.
Crede che l’Estonia possa in qualche modo sostenere la Svezia e la Finlandia nel processo di integrazione con l’Alleanza Atlantica?
Sul piano tecnico, sia Finlandia che Svezia sono già pronte per entrare nella Nato. Saranno membri a pieno titolo dell’alleanza e pienamente operativi sin dall’inizio. Quello che dobbiamo fare è incrementare ulteriormente il livello della nostra cooperazione militare, sia a un livello apicale che in un contesto quotidiano, soprattutto considerando la nostra posizione geografica. Le capacità aereonavali svolgono un ruolo importante nel contesto baltico, e sia Stoccolma che Helsinki possono dare un apporto importante in questo senso. Ma senza dimenticare l’importanza delle forze terrestri. La Finlandia ha un grande esercito di leva, necessario a difendere i suoi lunghi confini con la Federazione Russa; ma con l’entrata nella Nato, dovrà riformarne la struttura per accrescerne la sinergia con quelli degli altri stati membri. Fino ad ora, la difesa della regione baltica si basava sul concetto di “Forward Presence”: un piccolo contingente Nato presente sul campo con la responsabilità di svolgere un ruolo di deterrenza (grazie al cosiddetto tripwire mechanism) e, in caso di attacco russo, di supportare gli eserciti nazionali nel rallentare l’offensiva nemica in attesa dell’arrivo dei rinforzi. Dopo l’Ucraina, dobbiamo parlare di “Forward Defence”.
L’Estonia si sta già muovendo in questa direzione?
Assolutamente sì. Fino ad ora, il nostro esercito era organizzato avendo come unità di base la brigata, molto più adatta a conflitti di dimensioni ridotte e più facilmente gestibile. Adesso stiamo passando alla struttura divisionale. Allo stesso tempo, stiamo lavorando per ottenere a livello nazionale capacità di difesa aerea a medio raggio, che fino ad ora sono state fornite su base rotazionale dagli altri membri dell’alleanza. Ma sono necessarie le giuste risorse: per questo motivo tutte le forze politiche dell’Estonia si sono accordate per alzare il budget destinato alla difesa dal 2% al 3% del Pil. E speriamo che i nostri alleati facciano lo stesso, anche se non subito. Il problema, per l’Estonia e non solo, non è la scarsa disponibilità di armamenti, ma le basse capacità di produzione degli stessi.
Pensa che l’esistenza di un tripwire mechanism in Ucraina avrebbe prevenuto quanto accaduto nel febbraio scorso?
L’appartenenza dell’Ucraina alla Nato avrebbe prevenuto l’aggressione, non il tripwire mechanism. Nel 2008 siamo stati troppo vaghi: se ci fosse stata una roadmap per l’adesione di Kyiv alla Nato, forse le cose sarebbero andate diversamente.
L’Estonia ospita all’interno dei suoi confini una forte minoranza russa, fonte di timori per vari osservatori internazionali. Eppure non si sono verificati incidenti. Qual è stato l’approccio del vostro governo al riguardo?
Sin dall’indipendenza, abbiamo creato un clima di fiducia con tutte le minoranze non estoni (e specialmente quelle russe). Per capire il problema si deve guardare al passato. C’è sempre stata una minoranza russa in Estonia. Nel periodo tra le due guerre ammontava al 7% della popolazione, poi in epoca sovietica ha raggiunto il 34-35% grazie alle immigrazioni promosse dal governo di Mosca. All’inizio questi immigrati non erano benvisti, erano considerati alla stregua di occupanti e c’erano difficoltà relazionali tra i due ceppi. Dopo la caduta dell’Unione sovietica c’è stato il rischio di un conflitto etnico, ma abbiamo evitato la caccia alle streghe. Così abbiamo creato una fiducia reciproca.
Mostrare questa attitudine ha aiutato molto: la minoranza russa ha capito di far parte della nostra società. Dall’inizio del conflitto in Ucraina queste questioni sono tornate a galla, e quindi abbiamo cercato di limitare la propaganda del Cremlino. Abbiamo chiuso i canali russi, ma abbiamo creato canali estoni in lingua russa. Sono liberi, controlliamo solo che non ci sia alcuna forma di propaganda a favore di Mosca. In generale, i media estoni sono aperti e trasparenti, siamo quarti nel World Press Freedom Index. Non diciamo bugie ai nostri concittadini. Lavoriamo anche per accogliere i giornalisti russi che scappano dal regime, creando dei visti ad hoc. Siamo piccoli, ma facciamo quel che possiamo.
Quali sono, secondo lei, le priorità per il Summit della Nato che si terrà a Vilnius, in Lituania, tra poco più di un mese?
Per prima cosa, dobbiamo implementare sul piano pratico le decisioni prese lo scorso anno a Madrid. In secondo luogo, dobbiamo dare una prospettiva concreta all’Ucraina per l’adesione alla Nato, tenendo in considerazione l’evolversi della situazione al fronte. Dobbiamo essere preparati a cosa succederà al termine del conflitto, e l’adesione dell’Ucraina alla Nato, è la miglior forma di garanzia. Il terzo punto, l’ho già menzionato prima, è quello di discutere in modo sostanziale l’aumento al 3% del budget della difesa di ciascun paese membro. Un’altra priorità sarebbe la partecipazione della Svezia come stato membro effettivo, ma vedremo…