Alla presentazione del nuovo volume della rivista della Fondazione Craxi si parla di Ucraina e di Presidenza Biden. Ma anche di multipolarismo e di competizione tecnologica. Con un occhio alle divisioni interne
“Destino Americano” è il titolo del dodicesimo volume di “leSfide – Non c’è futuro senza memoria”, la rivista periodica della Fondazione Craxi. Il convegno organizzato in data 27 Giugno presso il Centro Studi Americani (Stati Uniti: polarizzazione interna e conseguenze sulla politica estera) è stata teatro di dibattito tra i membri di un variegato parterre, che comprendeva gli Ambasciatori Sergio Vento e Giovanni Castellaneta (entrambi distaccati in passato a Washington), il direttore di Aspenia online Roberto Menotti e l’analista Alessandro Aresu. A guidare le danze Federico Niglia, professore di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università per Stranieri di Perugia. Dopo i saluti di Roberto Sgalla (Direttore del Csa), la discussione ha iniziato subito ad animarsi.
Castellaneta si basa sulla crisi in Ucraina per portare avanti il ragionamento. In mezzo a quest’esperienza drammatica infatti l’ex-ambasciatore riesce a vedere due fenomeni positivi: il primo è quello di un’Europa solidale in difesa dell’Ucraina e dei principi valoriali europei; l’altra è la rivalutazione statunitense del ruolo dell’Europa, seguita dal riavvicinamento allo storico alleato, seppur su basi meno “romantiche” e più “utilitaristiche”. Secondo Castellaneta, è stata la presenza della Nato a permettere ai russi di non espandersi più di quanto abbiano effettivamente fatto, e proprio per questo è necessario integrare Kyiv all’interno della struttura euroatlantica.
Il suo intervento si conclude con uno spunto sulle prossime elezioni presidenziali americane, che saranno caratterizzate da divisioni più marcate, per via della semplificazione del processo informativo e della “sparizione delle ideologie”.
Lo spunto sulle elezioni di Castellaneta viene ripreso da Menotti, che articola un’analisi sulla situazione politica americana. Il ticket Biden-Harris, seppur impopolare e freddo a differenza della candidatura di Trump, vince perché gli elettori hanno potuto riconoscere nel loro team la competenza e le conoscenze. Ma Biden è cosciente di questo suo scarso appeal, perciò decidere di lavorare sul fronte interno tramite quello esterno, attraverso la “politica estera per la classe media” (che è il bacino di voti principale di Biden). Secondo il giornalista, il Partito Democratico continua ad avere questi problemi perché ha paura di cambiare, mentre al contrario il Partito Repubblicano è cambiato e sta cambiando fin troppo, ritrovandosi schiacciato in una battaglia culturale per la sua stessa anima.
Sui cambiamenti in atto dentro e fuori gli Stati Uniti la parola passa all’ambasciatore Vento, che denota come “gli Usa non siano più mainstream come in passato”. Con la fine della guerra fredda a Washington trionfa l’illusione del sistema unipolare, ma in realtà la globalizzazione porta alla nascita di un sistema decentrato e multipolare che a distanza di anni gli Stati Uniti non sono ancora riusciti ad accettare. Anche se dalla presidenza Obama in poi la politica estera statunitense ha assunto un approccio più prudente e realista. Vento conclude affermando che “non è un declino americano, ma una crescita di soggetti potenzialmente competitivi. E l’Europa potrebbe essere uno di questi soggetti.”
A chiudere il giro di interventi è Alessandro Aresu, che si concentra sulla competizione tecnologica tra Washington e Pechino. In questo caso non ci troviamo davanti a un elemento di polarizzazione interna negli Usa ma anzi un argomento di consenso trasversale, tanto tra gli addetti ai lavori quanto tra gli elettori. Anche perché vanno oltre la corsa alla tecnologia tra le due superpotenze. Basti pensare che gli investimenti che ha realizzato Biden in chiave anti-cinese stanno già avendo un ritorno importante, con la creazione di tanti nuovi posti di lavoro. D’altronde, it’s the economy, stupid.