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Il grande gioco dell’Asia centrale. Cronache da Astana dell’amb. Stefanini

La presidenza italiana del G7 deve puntare al dialogo con i Paesi emergenti: la partita per un ordine internazionale fondato sul multilateralismo si gioca anche nel rapporto con loro, oltre che nei campi insanguinati dell’Ucraina e nella protezione delle acque di Taiwan. Scrive l’ambasciatore Stefano Stefanini, già rappresentante dell’Italia alla Nato e consigliere diplomatico del presidente della Repubblica

Al G7 del 2024 in Puglia l’Italia vuol far comprimari i Paesi emergenti. Che cercano già di far sentire la loro voce. Proviamo ad ascoltarla. Dall’Asia centrale ha echeggiato all’Astana International Forum (Aif) appena conclusosi. Sommessamente, per non svegliare gli ingombranti vicini, ma chiaramente. Ha confermato la scelta di non schierarsi. Ma non è una scelta filorussa né un ammiccamento alla Cina. Semmai una mano tesa all’Occidente, soprattutto all’Europa a cui spera di agganciarsi strutturalmente attraverso il “Middle Corridor”, via Caspio, Azerbaijan, Mar Nero.

La geopolitica dell’Asia centrale sta tutta qui. È la geopolitica della strada che un tempo ci fu e adesso si cerca di riaprire. Per capirla bisogna andare per la strada, dove la gente la vive. A due passi dall’Aif, circondata dall’architettura futuristica della capitale kazaka, la Mega Silkway è un vasto, luminoso e affollato centro commerciale di segmento alto. Ci sono tutte le firme, molte italiane: nulla da invidiare a qualsiasi città europea o americana. Né questa Via della Seta versione shopping si priva di….Marc O’ Polo, nel bel mezzo del centro, strategicamente piazzato sotto un grande schermo che proietta le gesta dei ciclisti kazaki.

Qui tutto è centrale e strategico. Dove chiamare uno shopping centre “Via della Seta” se non dove passava la leggendaria Via della Seta che degli shopping centre è un pur lontanissimo antenato? Felice intuizione commerciale, ma non casuale. In questa città dall’urbanistica programmata, una trentina d’anni fa quasi inesistente, inventata come capitale del Kazakhstan dopo l’indipendenza post-sovietica, nulla è lasciato al caso. Passeggiando fra le vetrine della Mega Silkway si scopre molto sul Kazakhstan e sull’Asia centrale. La popolazione è giovane, con un tasso di natalità ancora fra i più alti nel mondo. Di russo c’è solo un po’ di alfabeto cirillico, lo sguardo è rivolto oltre, non a occidente ma all’Occidente. Ma per arrivarci bisogna scavalcare l’immane massa continentale che circonda la Mega Silkway, la città, il Paese, la regione. E ne fa isole in un oceano terrestre.

L’isolamento si avverte negli orizzonti piatti a perdita d’occhio di albe e tramonti dalla luce rasa, nel vento asciutto che soffoca d’estate e gela d’inverno, nella cappa infinita del cielo. Era l’isolamento del solitario pastore errante dell’Asia, intuito magicamente dalla poesia di Giacomo Leopardi. Oggi, tutto è cambiato ma non l’immutabile geografia. Gli ingegneri minerari hanno preso il posto dei pastori. La tirannia delle distanze è rimasta identica. E determina la geopolitica.

Il Kazakhstan e l’Asia centrale vogliono ancorarsi al resto del mondo. Lo sono già come non mai in passato, grazie a due rivoluzioni nell’arco di pochi decenni. Politica: la disintegrazione dell’Urss li ha liberati dalla camicia di forza zaristo-sovietica – di cui hanno zero nostalgia. Tecnologica: internet e digitalizzazione gli hanno aperto porte e finestre sul globo. La globalizzazione, finche’ dura, aiuta a spalancarle. Ma le distanze restano. E corrono fra due macigni, l’Orso russo e il Dragone cinese. Fra condizionamento geografico e rapporti di forza sfavorevoli, la politica estera diventa una corsa a ostacoli: non essere schiacciati; convivere; aggirare; diversificare.

L’Astana International Forum parlava a una vasta ed eterogenea platea. Oltre 5.000 partecipanti, giovani e stagionati, molta presenza regionale, asiatica e del Golfo, con il forte diretto coinvolgimento delle Nazioni Unite e, sul piano mediatico, della Cnn. Presenti tutti i grandi dell’energia che operano in Kazakhstan, fra i quali l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi. Tenuta al minimo indispensabile e con poca visibilità la partecipazione russa e cinese. Passato da “economic” a “international”, anche qui nulla di casuale, il Forum ha offerto una piattaforma politica ai soli Paesi emergenti, lasciando però ampi spazi a numerosi americani ed europei su tutte le altre tematiche, puntualmente evocate dal padrone di casa, il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev nel discorso inaugurale: sostenibilità, cambiamenti climatici, biodiversità; acque; transizione energetica. Dopo aver perso un “mare” (di Aral, quasi scomparso), fra Kazakhstan e Uzbekistan, l’Asia centrale non si può permettere altri disastri ecologici.

E la politica estera? Va cercata in quello che Tokayev ha detto: una difesa a spada tratta del multilateralismo – presente in forze (Nazioni Unite, Unesco, Fmi – con Kristalina Georgieva) – e dell’interdipendenza regionale e internazionale, assicurando anche un “Kazakhstan oggi diverso da quello di due anni fa”, grazie a riforme e Costituzione, e “relazioni regionali amichevoli”. E in quello che non ha detto: sulla “situazione geopolitica senza precedenti” ha steso una coltre di silenzio. Conferma tanto tacita quanto netta che il Kazakhstan è neutrale e lo vuole rimanere: fra Occidente e Russia, fra Occidente e Cina.

Certo, avremmo voluto sentire almeno qualche parola in difesa dei principi della Carta Onu, violati sistematicamente dalla Russia in Ucraina dal 24 febbraio del 2022. Ma prima di metterci cattedra, proviamo a pensare. La neutralità ci pare poco con la razza di vicinato in cui il presidente kazako si ritrova? Con 7.000 indifendibili chilometri di frontiera con la Russia, un paio di migliaia con una Cina che, all’indomani del vertice Ue-Asia centrale che aveva stanziato 9 milioni di euro in progetti di fattibilità, ha messo sul tavolo finanziamenti per 22 miliardi? La “neutralità strategica” di Kazakhstan, e di Uzbekistan, i due Paesi guida della regione, è strategica proprio perché, a dispetto dei condizionamenti, prende le distanze da Mosca e da Pechino. Rifiuta la longa manus della Russia per tenderla all’Europa. Che farebbe bene a non ignorarla.

Non sappiamo cosa ci aspetta nei prossimi dodici mesi, né dal clima né da Putin. Possono sconvolgere qualsiasi agenda. Ma, a bocce più o meno ferme, una presidenza italiana G7 che punti al dialogo con i Paesi emergenti è una scelta intelligente. La partita per un ordine internazionale che continui a essere fondato sul multilateralismo, evocato ripetutamente da Tokayev e da altri leader intervenuti al Forum, si gioca anche nel rapporto con loro, oltre che nei campi insanguinati dell’Ucraina e nella protezione delle acque di Taiwan. Ed è importante che l’Asia centrale sia coinvolta in questo dialogo. La Via della Seta che vuole percorrere verso l’Occidente è un sentiero molto stretto. Per arrivare a destinazione ha bisogno di tutto il nostro aiuto.


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