Il capo del dipartimento per le relazioni internazionali del Partito comunista cinese ha incontrato alcuni imprenditori a Milano. Anche lui, come l’ambasciatore Jia la scorsa settimana, ha avvertito Roma: rinnovare il memorandum è la scelta “corretta”, altrimenti…
Fiducia è la parola che il Partito comunista cinese e i funzionari di Pechino ripetono più spesso di questi tempi agli interlocutori italiani. Il governo Meloni è chiamato a decidere entro la fine dell’anno cosa fare del memorandum d’intesa sulla Via della Seta firmato dal governo Conte nel 2019: senza un passo indietro, l’intesa si rinnoverà a marzo per altri cinque anni. E così Pechino è al lavoro per avvisare delle conseguenze di un’eventuale mancanza di fiducia. Se non addirittura minacciare un boicottaggio.
L’ha fatto da ultimo Liu Jianchao, capo del dipartimento per le relazioni internazionali del Partito comunista cinese, una struttura centrale nella nuova era cinese di Xi Jinping: l’ex direttore Song Tao (oggi a capo dell’Ufficio Taiwan del Consiglio di Stato cinese) l’ha definito uno strumento di “scambi e cooperazione con i partiti politici stranieri” per “influenzare gli atteggiamenti e le politiche degli altri verso la Cina, e far sì che gli altri comprendano, rispettino e approvino i nostri valori e le nostre politiche”.
Nella sua visita in Italia, il diplomatico e politico cinese ha incontrato a Milano anche una comunità di imprenditori italiani, alla presenza di Mario Boselli, presidente dell’Italy China Council Foundation, nata l’anno scorso dall’integrazione tra Fondazione Italia Cina e Camera di Commercio Italo Cinese. Si è parlato, ovviamente, della Via della Seta. Una nota del Partito comunista cinese ha raccontato il confronto, partendo dalla “lunga storia di amicizia tra Italia e Cina” e dalla “cooperazione economica e commerciale che ha strettamente legato i due Paesi”. Liu ha affermato di “apprezzare il ruolo positivo svolto dalla Fondazione Italia Cina e dagli imprenditori italiani nello sviluppo di una cooperazione pragmatica tra i due Paesi”. Ha definito “corretta” la cooperazione sancita dalla nuova Via della Seta, all’insegna di “un percorso strategico, lungimirante e reciprocamente vantaggioso”. E ha auspicato un clima di “fiducia” tra imprenditori italiani e cinesi. Quelli italiani presenti all’incontro, almeno secondo la ricostruzione cinese, hanno evidenziato come la Cina “non sia solo un enorme mercato per le imprese italiane per investire e sviluppare il proprio business, ma anche una base strategica per le imprese italiane per entrare in Asia”. Come, al contrario, l’Italia “è anche una porta d’ingresso per le imprese cinesi in Europa”. In questa ottica, si legge ancora nella nota del Paritto comunista cinese, “gli imprenditori italiani sostengono fermamente Italia e Cina nel rinnovo” della Via della Seta. L’unico passaggio dedicato alla Via della Seta nella nota diffusa dall’Italy China Council Foundation, che specifica che l’incontro si è tenuto a porte chiuse, nell’elenco dei “numerosi argomenti affrontati” nell’incontro.
Nei giorni scorsi era toccato a Jia Guide, ambasciatore cinese in Italia, lanciare avvertimenti simili in una lunga intervista rilasciata a Fanpage. Se il governo Meloni decidesse “incautamente” di non rinnovare il memorandum d’intesa sulla Via della Seta, “una piattaforma che accentua la fiducia politica e l’alto profilo strategico della cooperazione”, “certamente significherebbe smorzare l’entusiasmo della cooperazione in molti ambiti, tra cui quello politico, economico-commerciale e culturale”, ha detto. Una simile decisione “avrebbe una ripercussione negativa sull’immagine del proprio Paese, sulla sua credibilità e prospettive di cooperazione”, ha aggiunto. Come Liu, anche Jia ha usato invitato l’Italia a fare la cosa “corretta” auspicando che “possa prendere le corrette decisioni in modo autonomo e indipendente e in linea con i propri interessi nazionali e con quelli fondamentali del popolo italiano”. Parole che stonano con gli appelli alla non ingerenza/interferenza negli affari interni ribaditi per ben tre volte nella stessa intervista, come notavamo su queste pagine.
Pechino minaccia il boicottaggio in caso di uscita dalla Via della Seta e lo fa facendo leva sul mondo imprenditoriale. Ma come spiegavamo su Formiche.net nei giorni scorsi, le reazioni a suon di misure coercitive con Australia (proprio sulla Via della Seta) e Lituania (su Taiwan), che pur sono uscite a testa alta, non possono essere rappresentare un precedente: oltreché di Nato e Unione europea, l’Italia è un Paese del G7 e che una simile risposta otterrebbe una durissima contro-reazione da parte del club che nell’ultimo summit ha adottato un’importante dichiarazione su sicurezza economica e resilienza economica. Inoltre, Xi potrebbe non voler reagire duramente per evitare di dare pubblicità al passo indietro italiano e dunque gettare una macchia sulla Via della Seta proprio nel decennale del suo lancio.
Ecco allora che i contorni visita di Liu, di cui il Partito comunista cinese ha scelto di comunicare l’incontro con gli imprenditori a Milano e non quelli politici a Roma, ben fotografa uno degli ultimi tentativi di Pechino di evitare che Roma lasci la Via della Seta.