Conversazione con l’esponente centrista dell’Udc: “Mattarella, Meloni e Tajani sono assoluta garanzia per la centralità italiana nello scacchiere internazionale”. Il dialogo Ppe-Ecr? “Lo predisse Cesa a Weber in tempi non sospetti”
L’Italia, dice a Formiche.net l’ex senatore dell’Udc Antonio Saccone, è tornata al centro del dibattito internazionale anche grazie ad un formidabile tridente: l’autorevolezza del Presidente Mattarella, il carisma del premier Meloni e l’esperienza del ministro degli Esteri Tajani. “La considero una squadra di altissimo profilo in termini di politica estera”. Il governo? Non solo dinamismo di facciata, “ma strategia lungimirante accompagnata da una visione nella gestione delle relazioni internazionali”.
Mattarella da Macron, Macron da Scholz e il cancelliere giovedì a Roma da Meloni: è questa una settimana molto densa di vertici e riflessioni. Come procede il dialogo italiano con Francia e Germania? Con quali risultati e con quali difficoltà?
Io partirei dal presupposto che la politica estera del governo italiano è tornata al centro del dibattito politico. Erano anni che l’Italia nello scacchiere internazionale non riusciva ad avere un ruolo centrale: questo non è semplicemente un dinamismo di facciata, ma è corrisposto, a mio modo di vedere, da una strategia lungimirante del governo italiano accompagnata da una visione nella gestione delle relazioni internazionali. Questo è il frutto di un tridente fantastico, dato dall’autorevolezza del Presidente Mattarella, dal carisma del premier Meloni e anche dall’esperienza del ministro degli Esteri Tajani. La considero una squadra di altissimo profilo in termini di politica estera.
Il Trattato del Quirinale è stato decisivo?
Io ritengo che, al netto delle dinamiche domestiche, come ha detto bene il presidente Meloni che ha avuto l’intelligenza di non appesantire di più la polemica, il Trattato abbia favorito rapporti molto più solidi rispetto a quello che si vuol far intendere alle rispettive opinioni pubbliche. Il presidente del Consiglio supremo della difesa e della politica estera, ovvero il Capo dello Stato, ha avuto la visione di comprendere come il futuro assetto europeo di questi due grandi Paesi fondatori dell’Ue sarà centrale per un rilancio strategico dell’Unione stessa. Per cui, non solo il Presidente Repubblica è garante dei rapporti ma, mi si permetta di dire, si è aggiunto anche un ruolo lungimirante della premier Meloni.
Quando Scholz dice che non bisogna lasciare soli i Paesi che sono frontiera esterna dell’Ue, certifica che sull’immigrazione servono politiche comuni? E come la Commissione dovrebbe attuarle?
Uno degli ultimi giganti italiani in politica estera, il presidente Giulio Andreotti, ripeteva che non bisogna semplicemente avere ragione ma bisogna che te la riconoscano anche gli altri. Credo che negli altri Paesi europei abbia preso piede un lento riconoscimento del ruolo strategico dell’Italia, come una delle porte d’ingresso per l’immigrazione clandestina. Mi auguro che nessuno si illuda che l’Italia possa rimanere isolata nella gestione di questo fenomeno, che è un fenomeno globale.
Nelle stesse ore in cui monsignor Zuppi è a Kiev, vediamo che Macron intanto sull’Ucraina coordina le sue posizioni con la Cina: è un vantaggio per il possibile negoziato oppure rafforza l’idea che l’Ue abbia ancora molte differenze di sensibilità al suo interno?
Se lei chiedesse a un qualunque cittadino italiano chi sia il rappresentante europeo della politica estera, nessuno saprebbe rispondere. Ciò la dice lunga sul tema del mancato completamento dell’Unione europea nella politica di difesa e di energia. Qualunque passo finalizzato all’avvicinamento di un negoziato passa innanzitutto da un cessate il fuoco, se concordato insieme agli alleati. Non si tratta di ledere il prestigio di qualcuno o di essere invidiosi del prestigio altrui, ma si tratta semplicemente di capire che, senza un’azione di concerto, il tutto sarà destinato a un fallimento.
Oltre all’Ucraina è l’Africa a preoccupare: dopo il viaggio a Tunisi, Meloni riceverà a Palazzo Chigi il premier libico Dbeibeh. Le elezioni in Libia e il prestito del Fmi a Tunisi sono fattibili nel medio periodo?
Dipenderà dalla volontà politica. Oggi l’Italia può guidare un’inversione di rotta rispetto agli anni precedenti, quando ha avuto un atteggiamento superficiale, in cui talvolta sono prevalsi gli interessi particolari. Io mi auguro che questa volta, invece, prevalgano gli interessi generali. Il mantenimento di un equilibrio nei Paesi del Maghreb, compreso il loro benessere, è strategico per il futuro dell’Europa e il fatto che l’Italia possa condurre questa iniziativa è sinonimo del prestigio del governo italiano nello scacchiere internazionale. Un traguardo che penso sia dovuto anche a fattori economici che conferiscono autorevolezza. L’Italia oggi è un Paese rispettato e sta facendo bene i suoi compiti: lo dimostrano, tra le altre cose, i dati del pil, tra i migliori dell’Unione europea. Questo è significativo.
Giovedì e venerdì a Roma si svolgerà la giornata di studio del gruppo del Ppe: sul tavolo il potenziale accordo popolari, conservatori, liberali per la futura commissione. Quali sono gli scogli?
Nell’incontro bilaterale che avemmo con Manfred Weber a Roma in occasione della campagna elettorale delle scorse politiche, incontrò la delegazione dell’Udc guidata da Lorenzo Cesa e ricordo bene che Cesa disse a Weber di non sottovalutare la presidente Meloni. Al netto delle polemiche, degli attacchi e della narrazione dei media, disse Cesa, “sappiate che Meloni avrà un punto di equilibrio che difende la concorrenza e gli interessi nazionali nel rispetto dei trattati internazionali, sarà fondamentale per il Ppe”. Ciò accadde prima della vittoria elettorale del centrodestra. Per cui, in questa direzione, ritengo che avere una base omogenea di valori, di idee e di progetti, anche in termini socioeconomici, non faccia che bene all’Unione europea.
@FDepalo