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Pechino ospita Iran e Pakistan per parlare di terrorismo. Ecco perché

Pechino vuole aumentare il dialogo con Teheran e Islamabad per coordinare la risposta a un depauperamento delle condizioni di sicurezza nella zona del Baluchistan, dove i gruppi armati attaccano i cinesi che lavorano al Cpec perché li vedono come inviati di una potenza sfruttatrice

Il Pakistan, l’Iran e la Cina hanno deciso di “istituzionalizzare le consultazioni trilaterali sulla lotta al terrorismo e sulla sicurezza”, spiega un comunicato congiunto che racconta la decisione presa durante la prima riunione della consultazione trilaterale sull’antiterrorismo e la sicurezza, che si è svolta a Pechino mercoledì 7 giugno.

L’incontro è stata a livello tecnico, via hanno partecipato funzionari interni alle strutture ministeriali che per i tre Paesi seguono le questioni securitarie (un problema comune), e secondo el fonti sono state “discussioni dettagliate sulla situazione della sicurezza regionale, in particolare sulla minaccia del terrorismo che la regione deve affrontare”. Tuttavia non sfugge anche il valore politico che Pechino intende dare a certe consultazioni.

C’è un elemento internazionale comune: lo Stato islamico nel Khorasan, la provincia afghana dell’organizzazione baghdadista, che è ragione di preoccupazione regionale. Tuttavia, il principale dei problemi comuni tra questi tre Paesi è la provincia sud-occidentale pakistana del Baluchistan. La regione, ricca di risorse naturali – ma come spesso accade impoverita internamente, sfruttata, vissuta da collettività insoddisfatte – è il territorio in cui si snoda un programma multimiliardario finanziato dalla Cina, il Corridoio economico Cina-Pakistan (Cpec).

L’istituzione di un meccanismo di sicurezza trilaterale tra Cina, Pakistan e Iran riflette le preoccupazioni condivise per la sicurezza dell’area. La sicurezza e dunque la stabilità di quel territorio è fondamentale per il successo del Cpec, che è il corridoio geo-strategico attraverso cui la Belt & Road Initiative si affaccia nell’Oceano Indiano. Dunque è fondamentale per la Bri.

La collaborazione tra questi Paesi può potenzialmente contribuire a migliorare la sicurezza regionale e a contrastare le attività degli insorti che trovano rifugio in Iran. Per la Cina è fondamentale. Pechino sta percependo i rischi collegati al configurarsi come potenza globale, e uno di questi è diventare oggetto di attacchi da parte di gruppi combattenti – anche collegati alle sigle di matrice jiahdista.

I cinesi con il Cpec hanno costruito reti stradali e centrali elettriche in tutto il Pakistan fino al punto di sbocco strategico, il porto di Gwadar, situato appunto nel Baluchistan e bagnato dal Mar Arabico. I ribelli baluci si oppongono ai progetti e accusano il governo pakistano di privare la popolazione locale delle risorse naturali della regione. La Cina e il Pakistan respingono tali accuse come infondate e sostengono che il mega progetto di sviluppo stia portando prosperità economica alla provincia colpita dalla povertà e al Pakistan in generale.

Il Baluchistan è da tempo teatro di un’insurrezione di basso livello, guidata da gruppi etnici locali. Uno degli obiettivi degli insorti è destabilizzare il progetto sino-pakistano, visto come simbolo di una globalizzazione che stupra il territorio e gli interessi delle collettività locali. All’interno di queste narrazioni c’è spazio anche per istanze radicali islamiche, penetrazioni qaediste e interessi diversi.

Il Baluchistan confina con la provincia sud-orientale iraniana del Sistan-Baluchistan, dove le forze di sicurezza iraniane stanno combattendo contro i militanti interni di matrice sunnita, accusati di attacchi mortali nel Paese maggioranza sciita. Teheran sostiene che Islamabad non stia facendo abbastanza per impedire ai militanti di condurre il terrorismo transfrontaliero in Iran, accuse che i funzionari pakistani respingono. Islamabad sostiene invece che gli insorti utilizzino rifugi in territorio iraniano per orchestrare attacchi transfrontalieri. Il ruolo più politico che Pechino intende svolgere riguarda anche il tentativo di appianare certe polemiche storiche.

Le autorità iraniane negano la presenza di militanti baluci sul loro territorio, ma non sarebbe una caso unico che Teheran fornisce protezione ai gruppi armati che compiono attacchi sui territori dei propri vicini. Val la pena ricordare che per anni i leader talebani e qaedisti si sono mossi sul territorio iraniano in relativa libertà. Per la Repubblica islamica questa è una forma di controllo, un modo per esercitare pressioni e avere leve da muovere nelle relazioni. Anche i pakistani, in particolare attraverso l’intelligence (Isi), hanno avuto rapporti ambigui con i gruppi combattenti.

Il mese scorso, il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, e il primo ministro pakistano, Shehbaz Sharif, si sono incontrati per inaugurare insieme un centro di scambio commerciale e una linea di trasmissione elettrica (l’Iran fornirà altri 100 megawatt di energia). Durante la cerimonia, i due leader hanno promesso di espandere la cooperazione economica bilaterale e la sicurezza dei confini, che si estendono per oltre 900 chilometri. In quella zona doveva passare anche un gasdotto che pensato per irrobustire la sicurezza energetica pakistana, ma le sanzioni contro l’Iran hanno bloccato il progetto. La Cina può giocare da potenza di riferimento in modo ampio sul dossier irano-pakistano, ma per ora è inserita a titolo di interesse diretto.


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