Dopo la visita all’Eliseo e in vista del Consiglio europeo l’analisi dell’ambasciatore, già presso l’Ocse, la Nato e in Libano, sottolinea la visione che muove il governo nelle relazioni internazionali, in Europa e fuori. “È portatrice di una visione che fa dell’interesse nazionale la stella polare della propria azione”
Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron credo si sono capiti e continueranno a capirsi, pur a fronte di dissidi che continueranno comunque periodicamente ad affiorare in vista soprattutto delle elezioni europee del 2024. Lo dice a Formiche.net Gabriele Checchia, già ambasciatore d’Italia presso l’Ocse, alla Nato, in Libano, che analizza l’elemento di discontinuità che affiora dopo il bilaterale all’Eliseo, utile per comprendere le prossime mosse sullo scacchiere geopolitico, tra Consiglio europeo, dossier migranti, guerra in Ucraina e relazioni con i Paesi emergenti: “L’Europa ha capito che l’Italia con Meloni è cambiata in meglio, ci possiamo caratterizzare come la punta di diamante di un approccio europeo ai temi africani basato sul rispetto reciproco e per quanto riguarda il tema migratorio”.
Come cambia il processo di avvicinamento al prossimo Consiglio europeo, dopo la presa di coscienza, anche da parte di Macron, che l’immigrazione ormai non è più solo un tema da gestire con generiche assunzioni di impegni?
Io credo che la nostra presidente del Consiglio si stia rivelando donna e statista, in grado di esprimere una visione di insieme, di lungo periodo e strutturata cosa che non si è sempre verificata in passato e comportandosi da portatrice di una visione che fa dell’interesse nazionale la stella polare della propria azione. Al di là delle differenze valoriali che può avere con il presidente Macron o con il cancelliere Scholz o con altri interlocutori europei e non solo, emerge questa sua capacità di farsi espressione dell’interesse nazionale che prescinde dalle affiliazioni ideologiche. A mio avviso non può che essere apprezzata in Europa: ha capito che l’Italia con Meloni è cambiata in meglio. I segnali non mancano.
Ovvero?
Ne è prova, ad esempio, l’eccellente rapporto che ha saputo stabilire con la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Ma secondo me trova anche sensibile una figura come quella di Macron, che comunque rappresenta un’alta espressione culturale francese che trova nell’interesse dello Stato con la S maiuscola da sempre uno dei punti qualificanti. Quindi sono due figure che riescono a parlarsi, al di là delle rispettive appartenenze e dei rispettivi percorsi culturali ideologici. Si legge spesso, anche nelle pagine di autorevoli commentatori, che Meloni e Macron sono divisi sotto il profilo valoriale e dunque guardano in direzioni opposte. Questo è vero, ma sino a un certo punto.
Per quali ragioni?
Perché io credo ci sia un punto di convergenza che è, a mio avviso, il seguente. Sia Giorgia Meloni come espressione più qualificata del pensiero conservatore attualmente in Europa, che Emmanuel Macron, sono portatori l’uno di una cultura liberale con venature tecnocratiche, l’altro, appunto di una visione del conservatorismo classico. Tant’è vero che Macron, nel corso del contatti con la stampa e richiamando la visita a Parigi poche settimane fa del Presidente Mattarella, ha detto che i disaccordi che pure esistono tra Italia e Francia sono gestibili in un quadro sempre rispettoso, perché si iscrive in una storia più grande e profonda di noi. Ora, questa cultura del tempo lungo della storia, che non può essere azzerata dal principio di tabula rasa caro a una certa sinistra massimalista, a mio avviso rappresenta un punto di convergenza tra la visione liberista di Macron e quella più valoriale e conservatrice di Meloni. E credo che i due si siano capiti e continueranno a capirsi, pur a fronte di dissidi che continueranno comunque periodicamente ad affiorare in vista soprattutto delle elezioni europee del 2024.
Con quale vantaggio complessivo?
È, a mio avviso, un capitale di compatibilità e di reciproco rispetto che va preservato: il vertice di Parigi mi sembra confermi la qualità di questo rapporto al di là ripeto delle legittime diversità di visione, ideologica e culturale.
Qualcuno si sta spingendo a parlare delle crisi che hanno alimentato il risentimento dell’Africa per un’Europa arrivata seconda, se non terza, nel continente nero dopo la Cina e la Wagner. Come questo apporto culturale dell’azione di Giorgia Meloni in Europa potrebbe stimolare l’Europa stessa a fare meglio?
Giorgia Meloni sta già facendo quello che deve fare e di ciò le ha dato atto Emmanuel Macron nel corso dei colloqui di Parigi, allorché caldeggia un approccio verso l’Africa che non sia basato, come lei stessa ha detto, su una visione predatoria. Non a caso il richiamo al Piano Mattei è proprio espressione di quella visione rispettosa anche degli interessi dell’interlocutore africano che fece di Mattei un personaggio unico nei rapporti tra Occidente e mondo africano. Tale visione non predatoria di cui lei si fa portatrice è stata espressa ripetutamente anche attraverso le visite in Tunisia, Algeria e Libia: mi sembra questo il fattore che può fare la differenza tra l’apporto italiano e quello europeo consolidato che si porta dietro anche pregressi storici non sempre a noi favorevoli. E questo vale in particolare, ma non solo, per la Francia, con un suo passato coloniale difficile da far dimenticare. Basti pensare al rapporto altalenante e sempre scivoloso che Parigi mantiene con Algeri.
Come può cambiare la percezione italiana?
Credo che in questo senso ci possiamo caratterizzare come la punta di diamante di un approccio europeo ai temi africani basato sul rispetto reciproco e per quanto riguarda il tema migratorio, ovviamente sulla necessità di avvicinare le leadership africane in maniera concreta e diretta, con iniziative che consentano ai potenziali migranti di esercitare il diritto a non emigrare. Quindi, al di là del diritto a emigrare, Meloni giustamente caldeggia un diritto a non emigrare, a restare nel proprio Paese in condizioni degne di essere umano, degne di una cultura che affonda le proprie radici nella cristianità, della quale l’Italia è certamente oggi nel mondo una delle espressioni più alte, grazie alla voce anche del Santo Padre, ma anche per la nostra storia nazionale. Di questo credo che Macron sia consapevole. Su questo punto che considero nevralgico, l’intesa che sarebbe stata trovata tra i due leader per affrontare insieme e con una voce convergente il tema migratorio al Consiglio europeo di fine mese: mi sembra un segnale incoraggiante.
Quali i punti fondanti?
Difesa del confine esterno dell’Unione europea come premessa indispensabile per affrontare, in maniera costruttiva, anche la questione dei flussi secondari, cioè quelli all’interno dell’Unione europea. Un passaggio che Macron ha finalmente capito, sperando che qualche suo ministro non dica il contrario di qui a pochi giorni: per cui se l’Italia non verrà aiutata a difendere le frontiere esterne dell’Unione, ciò che dovrebbe essere una priorità per tutti i Paesi membri, difficilmente potrà dare un contributo di qualità alla gestione corretta dei flussi secondari, perché saremmo travolti da masse importanti di migranti irregolari dal Nord Africa.
La visita di Lula a Roma, in Vaticano, al Quirinale e a Palazzo Chigi, come come si inserisce in questo preciso momento geopolitico e considerate le sensibilità diverse su vari temi e alleanze?
Credo che la presidente Meloni anche con il presidente Lula saprà stabilire un rapporto corretto. Lula è portatore di una visione altermondialista, ma il Brasile resta una delle grandi potenze emergenti dalla quale non si può prescindere anche all’interno dei Brics e credo che dovremo con Lula mantenere il dialogo più costruttivo possibile. Si è proposto anche come mediatore tra Ucraina e Russia, ma non so quanto questo potrà essere gradito a Zelensky, che lo percepisce, a torto o a ragione, più vicino alle posizioni di Mosca che non a quelle europee. Resta comunque una grande potenza di quel Sud globale verso il quale la presidente Meloni e il governo italiano nel suo complesso, dal settembre dello scorso anno a oggi, hanno dato e stanno continuando a dare segnali di attenzione innovativi e non scontati. Questo vale per l’Africa e anche per l’India come per importanti realtà dell’Estremo Oriente e vale, ovviamente, per tutto l’importante scacchiere sudamericano, di cui il Brasile è elemento centrale e imprescindibile.
Vi sono margini per un’interlocuzione adeguata?
Sì. Sono convinto che Meloni e Lula sapranno far prevalere sulle proprie visioni ideologiche l’interesse nazionale e l’interesse di un mondo che deve andare verso la ricerca di un’uscita diplomatica alla tragedia Ucraina. Se si può riprendere un’espressione di Max Weber, io direi che anche nel caso del rapporto col Brasile di Lula, il mio auspicio è che entrambi i leader sappiano far prevalere all’etica del dovere, che è quella della fedeltà assoluta in qualsiasi condizione ai propri principi e la propria visione ideologica, l’etica della responsabilità che è quella che si addice agli statisti che debbono avere come obiettivo prioritario il prevalere dell’interesse collettivo.