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Le purghe di Putin, i ripensamenti di Kirill. Mosca indecisionista con Zuppi

Putin ha bisogno di un Kirill meno appiattito, impedirglielo sarebbe un omaggio al passato, all’idea insostenibile che i conflitti sono eterni, immodificabili. Sostenere Francesco, da posizioni non filo russe, nel suo sforzo negoziale con la Russia che esiste oggi può voler dire aiutarla a cambiare, a uscire dai suoi parametri zaristi e medievali. La riflessione di Riccardo Cristiano

Le parole del patriarca di Mosca rivolte al cardinal Zuppi, con le quali ha auspicato che le Chiese collaborino alla costruzione della pace e della giustizia, hanno stranamente destato sorpresa. È vero che il patriarca è un sostenitore radicale della guerra di Putin, che ha radiato dalla sua Chiesa alcuni preti pacifisti con l’accusa di eresia tolstoiana, l’autore di Guerra e Pace, e che non ha mai eccepito al fatto che da questo primo luglio in Russia si cureranno gli omosessuali. Ma il 22 giugno di quest’anno, proprio lui, il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, accusato carte alla mano di essere stato un agente del Kgb, ha scritto ufficialmente che “i tragici sviluppi in Ucraina sono ciò che mi fa male al cuore: chiediamo di prevenire un’ulteriore escalation del conflitto. Nessuno sforzo dovrebbe essere risparmiato per garantire che la pace benedetta sia ripristinata nel paese devastato dalla guerra e che sia posta fine allo spargimento di sangue, insieme a qualsiasi persecuzione per motivi religiosi, politici o linguistici”.

Ne ha testualmente dato conto il Sismografo, autorevole sito di notizie sulle fedi, che ha riportato le parole del patriarca contenute in un messaggio di congratulazioni inviato a Jerry Pillay, segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese. Dell’ammutinamento di Prigozhin ancora non vi era traccia. Quindi la scelta di inviare il cardinal Zuppi a Mosca non era un azzardo, né un prodotto delle evidenti nuove difficoltà del leader russo.

Le parole di Kirill in quelle ore non devono essere sfuggite neanche a Kiev, dove il primate greco cattolico, Shevchuck, ha subito chiesto che Mosca “riconosca il nostro diritto ad esistere”. Si tratta del punto che le parole di Kirill potrebbero implicare e che conterebbe, per muoversi.

Il passato parla di tutt’altro, ovviamente, e in una intervista molto importante proprio Schevchuck lo ha esplicitato. Anche questo testo è stato divulgato in Italia dal Sismografo e così abbiamo appreso che Francesco aveva pensato a un convoglio umanitario per mettere in salvo i civili assediati a Mariupol, ma Mosca alla fine non lo consentì, portando alla morte di migliaia di civili. È uno dei risvolti sin qui sconosciuti di un impegno del papa messo in ombra da racconti che riducono tutto a chi sta da una parte e chi dall’altra, trasformando i soggetti terzi in colonne o avversari del proprio campo. Schevchuk parla anche di un’offensiva russa per conquistare alla propria propaganda il Vaticano. Una trappola che evidentemente esiste e nella quale anche Kiev avete è caduta. Si ricordi la nota vicenda del Venerdì Santo dello scorso anno, quando il papa volle che due donne, una russa e una ucraina, portassero la Croce.

Kiev vi lesse una equiparazione delle sofferenze, non il pieno riconoscimento dell’esistenza dell’Ucraina, anche da parte della russa, proprio come chiesto dall’arcivescovo di Kiev quale punto cruciale di partenza. Anche pensando a questo le parole del primate Schevchuk nella citata intervista appaiono molto significative: “Il papa non capisce l’Ucraina e l’Ucraina non capisce il papa”. C’è il peso delle rappresentazioni, delle propagande, io direi di alcuni usi deformanti da parte di troppi soggetti interessati a uno schematismo “bianco o nero” ad allontanare il Vaticano da Kiev. C’è anche l’origine di Francesco, osserva Schevchuk: chi viene dall’Argentina, dice nel testo avendo conosciuto molto bene quel Paese, difficilmente può avere una profonda fiducia interiore verso gli Stati Uniti. Ma le sue parole sono importanti perché raddrizzano un quadro che molti hanno visto pencolante da una parte mentre non è così. La sua ricostruzione della visita di Francesco all’ambasciatore russo poche ore dopo l’invasione restituisce a quel gesto la forza e il coraggio che ebbe. Fu Francesco stesso a rompere il suo protocollo, ad andare e non a convocare come accade normalmente. Era la scelta di cercare un contatto, di esercitare una pressione, di intervenire con forza per fermare un processo drammatico, di cui pochi hanno parlato come Shevchuk.

Anche il racconto del ritardo di un’ora e mezza di Putin all’appuntamento con Francesco in Vaticano per attardarsi a un festeggiamento romano fa capire quanto il papa abbia dato, non avuto. Tutte cose che un racconto in bianco e nero omette, tralascia, per fare del papa un nemico o un amico, in un mondo a due campi. E in questa rappresentazione per Schevchuk la propaganda russa si infiltra, tenta di conquistare spazi nel mondo cattolico e vaticano. Un altro punto di grande importanza è l’idea di “grande cultura russa” che Francesco coltiva e avverte e della quale il primate della Chiesa greco cattolica ucraina ci dice di avergli detto, “non esiste”. Ecco quel che disse al papa: “Oggi tutti sentiamo semplicemente che tutte le idee su una grande cultura russa sono un mito. Perché noi in Ucraina possiamo testimoniare una realtà completamente diversa. Purtroppo oggi la Sede Apostolica, anche l’Europa, altre istituzioni internazionali sono in pericolo, come prima dell’inizio della seconda guerra mondiale. A quel tempo, quando filosofi e personaggi della cultura sentivano le parole “tedesco”, “nazione tedesca”, immaginavano poeti, filosofi, musicisti tedeschi, la grande cultura tedesca, che era la pietra angolare della cultura europea. Invece i nazisti, cioè i criminali, erano al potere in Germania”.

Ogni rappresentazione di cavalieri perfetti, senza punti deboli, è fuorviante. Questa intervista merita attenzione proprio perché nessuno è così. Ma qui si dà a Francesco quel che il campo filo-ucraino di solito non vede e che quello filo-russo deforma. Anche per via della guerra ibrida di Mosca. Questo è importante, perché dopo la visita del cardinal Zuppi a Mosca un incontro tra Francesco e Kirill è possibile, sebbene ancora si debba aggiungere “forse”. Lo ha fatto capire Francesco tramite l’invio del cardinale, lo ha fatto capire Kirill con quel che ha fatto sapere delle sue parole.

Il patriarca di Mosca dall’inizio del conflitto si è presentato come il cantore di tutto ciò che a mio avviso non può andare: i buoni contro i cattivi, i figli della luce contro i figli delle tenebre, l’Occidente portatore del male, il mondo russo che gli resiste, uno, eterno e immodificabile, sotto Mosca. Se c’è un documento che viene opportunamente celato è quello che Roma firmò con Mosca in occasione del primo incontro tra Francesco e Kirill. Mosca ottenne parole ancorate al passato, alla chiusura, ma il fatto rilevante era l’incontro, l’uscita dall’isolamento, dalla chiusura; era questo a giustificare il prezzo. Ora il quadro qual è? Kirill deve dire parole opposte, parlare di pace, quella pace per cui lui stesso ha punito sacerdoti accusati di eresia tolstoiana. È un buon inizio? Occorre capirlo nel contesto politico. Cosa accade a Mosca è difficile da decifrare.

L’Ucraina va riconosciuta e la sua distruzione da parte di Mosca rende impossibile negarlo. Ogni attardarsi nella discussione sulla reale esistenza di questo Paese è aria fritta davanti alla realtà del sangue e delle macerie. È Mosca che ha dimostrato quanto esista il Paese che nega che esista. Ma questa esistenza non va negata nella sua natura di cerniera tra Oriente e Occidente, terra complessa, da rispettare proprio nella sua complessità. Le Chiese possono fare molto da questo punto di vista perché il patriarcato di Mosca incarna il cristianesimo pre-conciliare, per usare il nostro linguaggio, l’opposto di quello di Francesco.

È ferma al costantinismo, l’imperatore che presiedeva i concilii come Putin potrebbe presiedere i sinodi russi. Nella visione del confessore di Putin il capitalismo predatore occidentale è nato con la IV crociata, il sacco di Costantinopoli. Il fatto è storico ma letto così definisce un odio che non potrà mai finire, un fatto ontologico, immodificabile, come i conflitti. E’ anche per questo che il recente importantissimo documento su sinodalità e primato nel secondo millennio redatto dalla commissione mista per il dialogo teologico, che sa ricostruire la storia dei reciproci errori con un coraggio che consente di guardare al futuro con occhi nuovi, è stato firmato da tutte le grandi Chiese cattoliche e ortodosse tranne che da Mosca e dalle Chiese ad essa ancora legate.

L’errore che Francesco non può fare è diventare il chierichetto di Biden come Kirill è quello di Putin; ma ora Kirill ha dato qualche segno di voler (o dover) aprire un po’, viste le condizioni in cui si trova la Russia e che sono difficilmente decifrabili ma non certo forti. La debolezza va studiata, può produrre come negare.

Putin, che ha lasciato in vita solo lo spazio ultranazionalista, ha forse bisogno di un Kirill meno appiattito; impedirglielo sarebbe un omaggio al passato, all’idea insostenibile che i conflitti sono eterni, immodificabili. Sostenere Francesco, da posizioni non filo russe, nel suo sforzo negoziale con la Russia che esiste oggi può voler dire aiutarla a cambiare, a uscire dai suoi parametri zaristi e medievali.



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